lunedì 3 aprile 2006

Legge Biagi? Io ci pago il mutuo. Valentina Meliadò

Da precaria in piena regola, sono stanca di sentir parlare della Legge Biagi come causa delle incertezze e delle paure dei giovani italiani rispetto al futuro. Tanto per cominciare la scelta delle parole ha la sua rilevanza: «precarietà» al posto di «contratto a termine» o «flessibilità» contiene un giudizio negativo e suggerisce l'idea di uno stato permanente. Ed anche la dicitura - usata spesso dal centrosinistra - di «Legge 30» invece che «Legge Biagi» contiene in sè un'ipocrisia, perché, omettendo il nome di colui che, ideandola, ha firmato la sua condanna a morte, si cerca di denigrarla creando una distanza che non esiste tra ciò che la legge effettivamente è, e ciò che Marco Biagi avrebbe voluto che fosse.
Se il centrosinistra predilige la terminologia più vaga è solo perché la Riforma del lavoro è uno dei capitoli più controversi del programma dell'Unione, che rispecchia la diversità di posizioni al suo interno. Tutta la sinistra radicale vorrebbe abolirla in toto, Ds e Margherita solo riformarla, mentre da Confindustria parte il monito a non toccarla e, in questo contesto, l'ambiguità dei leader dell'Unione impedisce di farsi un'idea chiara sul futuro di questa legge in caso di vittoria dell'attuale opposizione. Intanto, però, le si spara grosse: è meglio la precarietà o lo stare a casa? La precarietà, grazie, perché io (ma certo non solo io) ci pago le rate del mutuo, vivo comunque un'esperienza lavorativa, «ingrasso» il mio curriculum, vedo sento e parlo con tanta gente, vengo a conoscenza di notizie, fatti e cose che standomene a casa forse non saprei, e tutto questo aumenta considerevolmente le mie possibilità di trovare in futuro un lavoro magari più vicino ai miei desideri, o semplicemente meglio retribuito e più garantito.
Si vedrà, ma intanto non mi abbrutisco e non passo la giornata ad arrovellarmi e disperarmi. Tutto questo astio della sinistra nei confronti della legge Biagi poi è proprio fuori luogo; fu il pacchetto Treu della precedente compagine governativa ad introdurre la flessibilità in Italia, e fu una cosa buona, ma mentre i Co.Co.Co non prevedevano alcuna garanzia relativa alla maternità, le ferie e l'assistenza sanitaria, la legge Biagi è un considerevole passo in avanti in questo senso, senza contare che i tipi di contratti che prevede non si possono reiterare a vita, e quindi buona parte si trasformano, in un certo arco di tempo, in occupazioni stabili.
La sinistra non è credibile quando asserisce che il governo Berlusconi ha fatto della flessibilità (una sorta di male necessario) una condizione permanente; è una sciocchezza smentita dai dati del Sole24Ore di qualche giorno fa, secondo cui in Italia la percentuale di lavoro precario si attesta sotto il 12%, soglia invece superata sia da Francia che Gran Bretagna, per non parlare della Spagna tanto cara alla sinistra radicale, che vanta una percentuale più che doppia rispetto all'Italia. Il lavoro è certamente un diritto che un qualsiasi governo deve cercare di facilitare e tutelare. Ma il terrorismo psicologico sparso a piene mani contro la flessibilità è servito, negli anni, solo a rafforzare l'idea secondo cui i giovani, magari appena conclusi gli studi universitari, devono trovare un posto che duri tutta la vita, presumibilmente con le stesse garanzie di intoccabilità, a prescindere dei loro padri, che poi sono forse la causa principale dell'immobilismo e della difficoltà del mercato del lavoro italiano.
Non può più essere così perché, in un mondo globalizzato che produce nel segno della concorrenza, della capacità e dell'innovazione, i Paesi che non sono in grado di concorrere con gli altri affrontano crisi economiche che si ripercuotono sul livello di vita di milioni di persone. Forse non è del tutto giusto, ma imbarcare il pianeta in qualche utopia alternativa al capitalismo mi sembra poco probabile - oltre che poco auspicabile - e dunque la meritocrazia dovrà per forza fare il suo ingresso nel mercato del lavoro. Soprattutto in quello italiano, perché lavorare è un diritto, ma lavorare bene è un dovere, e cambiare mentalità rispetto all'idea secondo la quale lo Stato deve provvedere a tutte le nostre esigenze, da quando nasciamo a quando moriamo, è necessario.
Qualcuno avrebbe dovuto dirlo anche ai giovani francesi; essere licenziabili per due anni se si è minori di 26 (ma in quanti hanno conseguito la laurea al compimento del ventiquattresimo compleanno?) non è un insulto e men che mai presuppone una vita da precari. È un esperimento che potrebbe aiutarli ad acquisire le conoscenze e l'esperienza necessarie per essere non solo occupati, ma anche utili. A se stessi, alla propria famiglia, ma anche al lavoro ed alla collettività. Lo Stato ha molte pecche, mille lacune, innumerevoli colpe, ma la legge Biagi è una scelta sacrosanta e deve rimanere un punto fermo. Parola di precaria doc.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

sono pure e semplici chiacchiere, la legge Biagi ha danneggiato gravemente la nostra condizione lavorativa! Il COCOCO almeno ti garantiva uno straccio di equiparazione ai lavoratori dipendenti in quanto a retribuzione e contributi. Oggi, il COCOPRO (senza citare quelle altre assurde baggianate come il jobsharing che nessuno in italia ha mai utilizzato), fa si che salti anche la regolarità nei pagamenti.
morale della favola, meno contributi, e saldo del contratto "a progetto finanziato"... bye bye mutuo, rata della macchina ecc...
by precario VERO

Anonimo ha detto...

Commenta i fatti (le percentuali)invece di tirar fuori le ventose della solita demagogia...