mercoledì 12 luglio 2006

Il giornalismo militante non si porta più. il Foglio

Repubblica moraleggia e rinnega la sua ragion d’essere di giornale-partito

La Repubblica è un giornale che ha modificato profondamente lo stile dell’informazione italiana, uscendo dall’equivoco un po’ ipocrita della neutralità di una stampa “al di sopra delle parti”, per caratterizzarsi invece proprio per il prendere parte. E’ stata criticata persino perché veniva intesa come un giornale-partito, che non si limitava a commentare e giudicare l’azione dei soggetti politici, ma interveniva direttamente nel confronto come un soggetto autonomo. Quello che da molti è stato considerato un difetto di questa testata, una sorta di giornalismo militante, ha invece un pregio assai rilevante, quello di non fingere un’impossibile equidistanza, a vantaggio di una sincera partigianeria.
Meglio un po’ di faziosità esplicita della falsa neutralità, saccente e distaccata, che infarcisce i suoi messaggi subliminali di un’immensa presunzione di superiorità. Stupisce, proprio per la natura intrinseca di questa testata, che essa si distingua, oggi, in una battaglia che contesta, a partire dalla vicenda di Renato Farina e della sua collaborazione con i servizi, il giornalismo militante. Visto che il vicedirettore del giornale concorrente ha preso sul serio le motivazioni ideali di Farina, lo si accusa di avere “in uggia il mestiere di informare i lettori che ancora hanno fiducia nel Corriere della Sera”, come ha fatto ieri Giuseppe D’Avanzo. In realtà il Corriere aveva dato largamente conto dei fatti, e tra questi anche delle ragioni di militanza occidentale addotte da Farina.
Per Repubblica questo non si può fare, perché trasforma i fatti in opinioni, creando un chiacchiericcio indistinto in cui non ci si può più raccapezzare. Viene il sospetto che Repubblica ora si consideri una specie di Pravda, interprete ufficiale della verità (è la traduzione della parola pravda), col conseguente ostracismo preventivo a ogni battaglia giornalistica alternativa a “Palazzo Chigi e alla procura di Milano. Naturalmente si tratta di un’esagerazione, ma non sarebbe la prima volta che i sostenitori delle battaglie libertarie dall’opposizione, una volta arrivati dalle parti del potere, si trasformano repentinamente in occhiuti censori.
Il giornalismo impegnato in battaglie di parte non è cattivo giornalismo, è un antidoto necessario al conformismo. Ovviamente ha senso se si svolge in competizione e contrasto con altre opinioni e altre idee, liberamente giudicate dai lettori, non da qualche improvvisato e imprevisto maestro.

2 commenti:

attila ha detto...

Da che pulpito la predica! Sbaglio o Ferrara studiò in russia nel periodo in cui credeva di essere comunista? Per poi svolazzare come un'upupa in calore dalle parti del Cavaliere? Lezioni ideologiche non si possono proprio accettare da un tale individuo...

E poi, definire Libero un concorrente di Repubblica mi pare un po' eccessivo, visto soprattutto il livello dello scritto. Chiamiamolo un giornale "di nicchia", per usare un eufemismo.

Anonimo ha detto...

Le farneticazioni di un "giornalista", sarei curioso di sapere cosa intende per "fare notizia".

Purtroppo capita spesso e volentieri che le opinioni di tale categoria passi per informazione. Pratica che a mio avviso andrebbe vietata!
Se poi aggiungiamo che per avere la giusta informazione dobbiamo leggerci 4 o 5 quotidiani e fare le somme, questo la dice lunga sulla qualità dell'informazione in Italia.