venerdì 26 gennaio 2007

Il giorno della memoria

Eugenio CORTI "Comunismo: la terribile carneficina".
Tratto da Il Timone, anno 1 (1999) novembre/dicembre, n. 4.

Oltre 200.000.000 di vittime. Questo il tragico bilancio del Comunismo realizzato. L'ateismo marxista ha combattuto Dio e ucciso l'uomo. "Dai loro frutti li potrete riconoscere" (Mt 7,20). La verità di questa massima evangelica, sempre attuale, ci porta a formulare un giudizio di severa condanna del Comunismo. La considerazione dei frutti, o, perlomeno, dato lo spazio limitato di un articolo, del più tragico di questi: l'altissimo numero di vittime che il comunismo ha provocato ovunque si è instaurato, obbliga ogni spirito libero a condannare nei termini più rigorosi una ideologia che, anzichè difendere le classi umili, ha finito con il far pagare, a prezzo della loro vita, proprio a milioni di poveri e di innocenti la follia di un progetto diabolico che pretendeva di costruire una società senza Dio. Basti ricordare, per fare un primo esempio, la lotta guidata da Stalin ai contadini piccoli proprietari che comportò nel 1929 e 1930 la deportazione-sterminio di 10 milioni di kulaki, più di 5 milioni di subkulaki, cui seguirono 6 milioni di morti di fame nella conseguente carestia "artificiale" del 1931-32 (con molti casi di cannibalismo). In questa lotta vennero dunque sacrificate complessivamente 21 milioni di persone.
Quante furono in totale le vittime in Unione Sovietica? Stando a quanto afferma il professore di statistica Kurganov, tra il 1917 e il 1959, cioè nei primi 42 anni di dominio comunista, le perdite umane dovute alle deportazioni nei campi di sterminio, alle condanne ai lavori forzati, alle fucilazioni di massa o alle carestie provocate dall'arresto e dalla deportazione di milioni di contadini furono più di 60 milioni. A confermare questo numero spaventosamente elevato di vittime, superiore di oltre dieci volte al numero degli Ebrei perito a causa dell'olocausto, va ricordato che il 28 ottobre 1994, in un discorso al Parlamento russo (Duma), Solgenitsin ha affermato che i morti dovuti al comunismo furono 60 milioni: nessuno, sia in Parlamento che fuori, ha sollevato obiezioni.

Per quanto concerne il numero delle vittima provocate dal Comunismo cinese, disponiamo di informazioni meno dettagliate, e di gran lunga meno documentate che per la Russia. Tuttavia, un calcolo molto vicino alla realtà è possibile. Anzitutto, per il decennio che va dal 1949 (anno della vittoria dei comunisti e della proclamazione della repubblica popolare) al 1958 riportiamo ciò che scrive l'ex ambasciatore d'Italia a Mosca Luca Pietromarchi: "In Cina... il comunismo ha causato la perdita, dal 1949 al 1958, di cinquanta milioni di vite umane... Inoltre 30 milioni di contadini furono inviati in campo di concentramento". Dopo di queste, negli anni del "Grande balzo in avanti" (1958-1960) e subito successivi, si ebbero le perdite più terrificanti, dovute alla carestia artificiale prodotta dall'espropriazione dei contadini. Secondo il famoso sinologo Lazlo Ladany (che fu per decenni redattore a Hong Kong del notiziario China News Analisys, da cui attingevano materia prima praticamente tutti i giornali occidentali) i morti di fame tra il '59 e il '62 sarebbero stati 50 milioni. Durante questi stessi anni e in quelli successivi fino al 1966 (anno d'inizio della "Grande rivoluzione culturale"), si ebbe inoltre lo stillicidio sistematico delle vittime dei "campi di rieducazione attraverso il lavoro". Secondo R.L. Walker ed altri sinologhi, il numero dei deportati oscillava allora tra i 18 e i 20 milioni; il che - volendo supporre, con ottimismo, una mortalità nei lager cinesi analoga a quella sovietica, cioè del 7-8% annua - comporterebbe un milione e mezzo circa di morti all'anno, dunque una dozzina di milioni per il periodo 1958-1965. L'unico studio sistematico a nostra conoscenza, relativo all'intera prima fase che va dal 1949 al 1965, è quello effettuato da Richard L. Walker per conto del Senato americano: studio che da - ripartendole per categorie - da un minimo di 34.300.000 a un massimo di 63.784.000 vittime, a seconda delle fonti. Vi mancano, però, quasi del tutto, i dati relativi alle vittime del "Grande balzo in avanti". Nel periodo successivo, cioè negli anni dal 1966 (inizio rivoluzione culturale), al '76 (morte di Mao), si ebbero appunto le vittime prodotte dalla rivoluzione culturale, che ammontano certamente a diverse decine di milioni. Un quadro fondato scientificamente del numero complessivo delle vittime fatte dal comunismo in Cina potrebbe essere suggerito dallo studio statistico di Paul Paillat e Alfred Sauvy, pubblicato nel 1974 sull'autorevole rivista parigina Population (n. 3, pag. 535). Da esso emerge che la popolazione cinese era in quell'anno inferiore di circa 150 milioni di persone a quella che avrebbe dovuto essere statisticamente, cioè in base al suo tasso di crescita pur calcolato in modo prudenziale.

In Cambogia, nel triennio 1975-1978, la percentuale di vittime innocenti da parte del Comunismo raggiunse una proporzione mai conosciuta prima nella storia dell'intera umanità. I capi comunisti Khmer il giorno stesso della presa del potere hanno deportato oltre metà della popolazione del loro sventurato Paese. Aggiungendosi la gente già da essi deportata in precedenza nelle zone in loro possesso, si arriva a circa l'80% della popolazione: in tal modo praticamente tutta la Cambogia venne trasformata in un enorme lager. Contemporaneamente alla deportazione, i capi Khmer diedero inizio all'eliminazione fisica di tutte le persone in qualche modo "contaminate" dal capitalismo (cioè, in Cambogia, dal colonialismo), procedendo all'annientamento degli ex detentori del potere, ex detentori dell'avere ed ex detentori del sapere. Complessivamente le vittime furono, in circa tre anni, vicine ai 3 milioni, su 7 milioni di abitanti che annoverava il Paese al momento della vittoria comunista (nell'aprile 1975): furono dunque superiori a un terzo dell'intera popolazione. L'obiettivo al riguardo dei capi-ideologi Khmer era contenuto in una terrificante circolare da loro distribuita alle autorità provinciali già nel febbraio del '76, che venne portata in Thailandia da un capo Khmer profugo: "Per costruire la Cambogia nuova un milione di uomini è sufficiente". Nel frattempo tutti i compiti di qualche importanza nella società venivano, per quanto possibile, affidati a bambini e ragazzi "non contaminati dal capitalismo" a motivo della loro età.

Negli altri paesi in cui i comunisti hanno preso il potere si ebbero (secondo il recente calcolo minimale di S. Courtois, "Il libro nero del comunismo"): in Corea del Nord 2 milioni di vittime, in Vietnam 1 milione, nell'Europa dell'Est 1 milione, in Africa 1.700.000, in Afganistan 1.500.000. Ma finchè non emergeranno notizie che possano fondatamente modificare la terribile contabilità dei massacri, si deve rimanere fermi sul totale di 215-220 milioni di vittime circa. Oggi in Italia un così sterminato massacro, di gran lunga il maggiore nella storia dell'umanità, è come se non ci fosse mai stato: ben pochi si sono curati di appurare la verità al riguardo. Le ragioni.

[...] Oggi tanti loro eredi pensano appunto, confusamente, che quegli orribili massacri, se non giustificati, siano stati però nobilitati dalle buone intenzioni iniziali. Va detto che queste stragi non avevano affatto lo scopo di conservare il potere ai comunisti (non sarebbero state necessarie): quelle stragi facevano parte - in parallelo con l'incremento della produzione materiale - del meccanismo che secondo Marx e Lenin avrebbe dovuta produrre una "società di uomini nuovi". Tale meccanismo presupponeva tra l'altro la "violenza come levatrice della società nuova". Si voleva, in pratica, far cambiare a ogni uomo la sua coscienza e la sua natura. Senza tenere nel minimo conto i reali risultati, che consistevano soltanto in montagne e montagne di cadaveri, i comunisti hanno insistito su questa strada perchè il fermarsi avrebbe comportato la rinuncia all'utopica società nuova - libera dai mali di tutte le società precedenti - per costruire la quale essi avevano ormai fatto un così sterminato numero di morti. [...]

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Numeri con Numeri:

1.758.640.176 ( avete letto bene: un miliardo e 750 milioni e rotti) sarebbero i diavoli che popolano l’inferno cattolico. «A contare i demoni ci ha pensato un demonologo vaticano, monsignor Corrado Balducci, secondo il quale l’armata di Belzebù, sulla scorta di calcoli complicatissimi, sarebbe di … tot elementi» [Dall’articolo «Il papa: l’Inferno? Può anche darsi che sia vuoto», Corriere della Sera, 29/7/1999, p. 12]..

stronzate a parte: maurom, hai mai pensato a quanti sono morti nel mondo, da quando esiste la chiesa cristiana, i morti ammazzati, bruciati, torturati, garrotati, impalati ecc ecc per mano della CHIESA ??

Anonimo ha detto...

Nel giorno della memoria ci sono anche gli ipocriti che fingono di piangere le vittime del nazi-fascismo, ma sono quelli che inneggiano alla "liberazione" della Palestina ed esultano quando saltano in aria gli autobus pieni di ebrei in Israele.

argo50 ha detto...

Giovanni Paolo II ha chiesto scusa per i crimini commessi dalla Chiesa. Erano altri tempi, altre situazioni, tempi pieni di dogmi e fattuchiere...ma oggi solo oggi e domsni conta il passato deve servire soloa ricordarci questi scempi. S deve lottare per ripristinare le regole della convivenza perchè si sone perdute nei meandri dell'arrivismo e del tornaconto personale. Si ha urgente bisogno, e non a chiacchiere, un ritorno alla politica seria, cacciare dal tempio gli oppurtunisti, sarà un'utopia? O preferriamo essere governati da Prodino che mi ha aumentato lo stipendio di 75 euro,a gennaio e a febbraio o marzo glie ne dovrò ridare 140?

Anonimo ha detto...

Argo, quando riguarda la chiesa dici che erano altri tempi ..

ma quando riguarda il comunismo di stalin ??

due pesi e due misure.. suvvia un po di onestà intellettuale

Anonimo ha detto...

"Argo, quando riguarda la chiesa dici che erano altri tempi .. "

Certo che erano altri tempi, le coscienza sono maturate dopo,
per il comunismo di Stalin si è sempre nascoto o minimizzato e che dire dei FATTI PIU' RECENTI IN COREA?
Pur di attaccare la chiesa,i compagni che devono dimostrare che gliu altri sono marci hanno persino messo al bando le crociate.
E che dire delle FOIBE,perche nessuno o quasi ne sapeva nulla?
Poi ci sono molti storici che sostengono che la chiesa oggi si sia addossata colpe che non ha,almeno nei numeri:

_ Inquisizione: la "leggenda nera"

«L'Inquisizione: perché parlarne? La ricerca ha dimostrato che i roghi furono molto pochi. Ma parlare d'Inquisizione significa soprattutto parlare di un grossa parte del nostro passato: i grandi processi che "acchiappavano qualcuno ogni tanto" alimentarono la famosa "leggenda nera", ma non rappresentavano che la punta d'iceberg di un meccanismo di controllo delle coscienze esteso, capillare, e però anche più interessante come oggetto di studio». C’era anche il medievista e scrittore Alessandro Barbero alla presentazione, avvenuta a Torino nelle scorse settimane, del libro «La lunga storia dell’Inquisizione: luci e ombre della "leggenda nera"» (pp. 190, 13 euro). Cattolico l’editore, Città Nuova, e cattolico almeno uno dei due autori, il medievalista Franco Cardini, che ha lavorato a quattro mani con la ricercatrice Marina Montesano. Ma per nulla apologetico il libro, che si accosta alla storia della guerra all’eresia con rigore scientifico e, insieme, con libertà intellettuale.

Che cosa fu, esattamente, l’Inquisizione? Nel 2004 lo storico Agostino Borromeo l’ha definita come «il complesso di tribunali ecclesiastici il cui titolare, in base a espressa delega papale, era investito della giurisdizione riguardante il delitto di eresia». Spiegava ancora Borromeo: «Durante il pontificato di Gregorio IX (1227-1241) cominciarono ad agire speciali commissari (inquisitores) delegati dalla Sede apostolica. Progressivamente il papato dotò questa istituzione di una propria organizzazione. Particolarmente attiva nei secoli XIII e XIV soprattutto contro catari e valdesi, l’Inquisizione conoscerà un declino nel XV secolo. Ma registrerà una ripresa nel XVI e nel XVII, con la fondazione dei nuovi tribunali della Penisola iberica e la creazione del Sant’Ufficio romano. I tribunali saranno soppressi tra la seconda metà del XVIII secolo e i primi decenni del XIX; continuerà a sopravvivere la Congregazione romana del Sant’Ufficio, sino alla radicale riforma del 1965, che ne muterà il nome in Congregazione per la dottrina della fede».

È la sintesi estrema di lunghi secoli di storia iper-studiati e iper-dibattuti tra polemiche al calor bianco, ma dove, tuttavia, è ancora possibile illuminare coni d’ombra, mettere a fuoco visioni distorte, correggere errori di prospettiva. A Torino, ad esempio, Cardini, Montesano e Barbero hanno gettatto una luce inquietante sulla nostra modernità figlia del Rinascimento e di Roma antica. Roghi e tortura giudiziaria, hanno sottolineato i tre studiosi, non erano contemplati dal Diritto barbarico, bensì dal Diritto romano, che fu riscoperto proprio nel basso Medioevo. Ma nemmeno il revival della letteratura classica durante il Rinascimento dovette sempre produrre frutti illuminati, perché è possibile che l'immaginario di alcuni inquisitori sia stato influenzato (anche) dalle famose favole di streghe raccontate da Apuleio e da Petronio.

Ecco invece che cosa capitava nell’alto Medioevo. La giustizia secolare (inclusi gli editti di Carlo Magno) puniva la stregoneria con multe, confische e, in generale, con pene piuttosto miti, mentre si contano non pochi vescovi, santi e canonisti dell’epoca che erano addirittura scettici sui poteri di stregoni e fattucchiere.

Ma torniamo agli auto da fé dell’età moderna. La ricerca storica «va sempre più appurando come l’Inquisizione romana e quella spagnola, cioè le più colpite dalla "leggenda nera", furono generalmente tribunali rigorosi e, per i parametri adottati, "giusti"; che la pena capitale era comminata con parsimonia; che bruciarono molte più streghe i laici e i riformati che la Chiesa cattolica». Detto questo, Cardini e Montesano non censurano gli episodi di miopia e di efferatezza che ebbero come protagonisti, o complici, molti uomini di Chiesa. Anzi: «Nei tre secoli fra il 950 e il 1250 l’Europa si è trasformata in una "società di persecuzione" o quanto meno "di segregazione" nei confronti degli eretici, dei lebbrosi, degli ebrei, dei sodomiti, delle prostitute», riconoscono descrivendo un basso Medioevo di cattedrali, di commerci, di sapienza e di sangue.

Sette, otto secoli dopo, la Chiesa di Giovanni Paolo II saprà inginocchiarsi in un’inaudita richiesta di perdono. E «La lunga storia dell’Inquisizione» si conclude così: «In un’epoca qual è la nostra, nella quale ricompaiono forme di neocolonialismo, di sfruttamento dei pochi sui molti, di sospensione degli elementi basilari del Diritto internazionale, la scelta di umiltà di Giovanni Paolo II assume valore non solo e non tanto rispetto al passato, quanto e soprattutto rispetto al presente». Dicono nulla Abu Ghraib e i freschi dibattiti sui metodi di persuasione «a violenza controllata»?

Giovanni Godio