lunedì 26 marzo 2007

Come è nato il duro rimbrotto americano alle ambiguità italiane nella guerra al terrorismo. Christian Rocca

La clamorosa iniziativa del dipartimento di stato americano contro i bizantinismi nella guerra al terrorismo a cura del governo italiano, e in particolare del ministro degli Esteri, è stata definita “inaspettata” dalla Farnesina, “un fulmine a ciel sereno” in un’intervista riparatoria di Massimo D’Alema a Repubblica, “un colpo di coda dei falchi” dal Corriere della Sera, “un’indiscrezione senza il titolare” quindi “meno credibile” dal segretario dei Ds Piero Fassino. Chi ha letto con attenzione i giornali di ieri mattina avrà però notato che gli articoli di Maurizio Caprara del Corriere della Sera, di Mario Calabresi di Repubblica, di Maurizio Molinari della Stampa e di Mario Platero del Sole 24 Ore non contenevano nessuna di queste bizzarre e fantasiose ricostruzioni, piuttosto prendevano maledettamente sul serio il ruvido rimbrotto americano a Massimo D’Alema e alle sue allegre ricostruzioni a proposito di una presunta “comprensione” espressa al nostro ministro degli Esteri da Condoleezza Rice nella gestione della liberazione di Daniele Mastrogiacomo in cambio del rilascio di cinque capi talebani.
A leggere gli articoli di questi giornalisti, infatti, si intuisce che la durissima presa di posizione americana non è stata una semplice battuta scappata di bocca a un anonimo funzionario del dipartimento di stato, ma qualcosa di più, di molto di più, il segnale che era stato passato il segno.La stessa Farnesina se ne è accorta, sia pure dopo una prima e imbarazzante reazione a caldo in cui aveva detto che non avrebbe commentato le dichiarazioni espresse da fonti anonime. Ieri mattina, invece, il portavoce del ministro D’Alema ha riconosciuto la gravità della situazione e ha spazzato via le teorie dietrologiche, avanzate ancora ieri mattina da alcuni giornalisti romani, su chi avesse fatto partire le critiche all’Italia. La Farnesina ha anche fatto marcia indietro, spiegando che, alla cena di Washington, D’Alema e Rice in realtà avevano parlato soltanto brevemente della liberazione di Mastrogiacomo. Il punto è che a poco a poco al ministero degli Esteri sono venuti a conoscenza del fatto che le critiche all’Italia non erano anonime, ma erano ufficiali, provenivano dal governo americano ed erano state autorizzate da Condoleezza Rice, come ha spiegato lo stesso segretario di stato ieri pomeriggio nel corso di una telefonata con Massimo D’Alema.
E’ successo, infatti, che quei cinque giornalisti italiani, più il corrispondente dell’Ansa che mercoledì pomeriggio aveva diffuso la notizia dell’arrabbiatura americana, erano stati convocati dal dipartimento di stato di Washington per partecipare a un’audio-conferenza telefonica con Kurt Volker e Daniel Fried, ovvero con il numero uno e due al dipartimento degli Affari europei ed eurasiatici di Foggy Bottom. L’irritualità della mossa e la ruvidità nei confronti dell’iniziativa italiana è subito sembrata pari all’urgenza e alla necessità americana di prendere nettamente le distanze dal suggerimento dalemiano che ci fosse stata una qualche “comprensione” del dipartimento di stato nella gestione del sequestro Mastrogiacomo.

Non c’è stata nessuna “comprensione”Ieri pomeriggio Massimo D’Alema ha chiamato Condoleezza Rice per provare a chiarire. Al telefono la Rice ha confermato ciò che i suoi due vice avevano spiegato ai giornalisti italiani: cioè che al momento della cena, al ristorante del Watergate di lunedì sera, il segretario di stato non era ancora a conoscenza dell’accordo raggiunto tra il governo italiano e quello afghano per il rilascio dei cinque talebani. Sicché non c’è stata nessuna “comprensione” americana alla soluzione italo-afghana del caso Mastrogiacomo, al contrario di quanto aveva detto da D’Alema. Al briefing di mezzogiorno, il portavoce di Condoleezza Rice ha ribadito tutta la “preoccupazione” americana per la liberazione dei capi talebani e per le “conseguenze potenziali” di tale decisione. Sean McCormack ha aggiunto che “gli Stati Uniti non negoziano con i terroristi e raccomandano agli altri di non farlo”, mentre un successivo comunicato del dipartimento di stato ha riconfermato la contrarietà americana allo scambio di prigionieri. Il caso internazionale ora è chiuso, ma se ne apre uno interno con le prime critiche della Margherita e dei settori più atlantici della maggioranza. E’ probabile, però, che le pressioni americane su Roma siano destinate ad allentarsi, come si intuisce dal comunicato del dipartimento di stato che ricorda come l’Italia svolga “un ruolo chiave a sostegno del popolo e del governo dell’Afghanistan” e rimanga “un importante partner degli Stati Uniti in altre aree del mondo”.
Questa è la diplomazia. Nella realtà Washington ha voluto riaffermare il principio che la guerra al terrorismo è una cosa seria, non una vicenda da affrontare in modo ambiguo. Con il consueto pragmatismo, gli Stati Uniti non tireranno la corda dei rapporti italo-americani fino a spezzarla, anche se Romano Prodi resta ancora l’unico leader europeo a non essere stato invitato alla Casa Bianca. Chi ne esce a pezzi è il ministro D’Alema, la cui affidabilità pare ampiamente al di sotto della soglia di sicurezza, malgrado la simpatica e mondana propaganda sui “bye bye Condi”.

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