martedì 24 aprile 2007

Manette, segreti e giornalisti. Davide Giacalone

Il Parlamento sta per approvare l'ennesima legge inutile sul segreto istruttorio. Nel mirino ci sono i giornalisti, dei quali ho già scritto il peggio possibile, così come ho sciupato una montagna di carta per difendere la presunzione d'innocenza.

A questo s'aggiunga che della barbarie sono stato ripetutamente vittima, così che sembrerà strana la mia contrarietà alla futura legge.
Si deve sapere che gli atti istruttori devono già restare segreti, ma nessuno ne tiene conto perché ci furono dei signori (Borrelli, Davigo e Colombo, coadiuvati dai Maddalena accorrenti alla facile popolarità) che hanno pubblicamente, ed in toga, teorizzato il contrario. Per tale ragione già non mi piace una legge che vuol punire chi pubblica e lascia eternamente impuniti quelli che forniscono il materiale, ovvero i magistrati. Inoltre, è evidente che ci sono indagini di pubblica rilevanza, delle quali i cittadini non possono non essere informati. Ma qui la nuova legge salva ancora i magistrati, garantendo quello che Mauro Mellini chiama il loro “jus sputtanandi”: si può scrivere che Tizio è accusato di pedofilia, ma non si possono trascrivere gli atti raccolti dai pubblici ministeri. Peccato che Tizio è già fregato così, senza bisogno d'aggiungere altro.Può la presunzione d'innocenza conciliarsi con la libertà dell'informazione? Certo, ma ad una condizione: che i processi si aprano e concludano in tempi ragionevoli. Se vengo accusato oggi ed assolto fra sei mesi subisco un danno, ma ci posso stare. Se, invece, mi assolvono fra dieci anni, quando nessuno neanche più pubblica la notizia, o mi piomba addosso la prescrizione del procedimento che l'ignoranza giustizialista scambierà per una condanna scampata, ed avverso la quale posso ricorrere autocondannandomi a pagare altri dieci anni di spese giudiziarie, allora il diritto va a farsi benedire. Non se ne esce: se la giustizia fa schifo i diritti non si salvano mai.
In quanto ai giornalisti, dovrebbero imparare che, per deontologia e non per legge, mai si dovrebbe scrivere qualche cosa di qualcuno senza avergli offerto la possibilità di aggiungere o replicare. Per troppi pennivendoli gli indagati sono solo carne cacciata di frodo e venduta al contrabbando giudiziario. Ma è laido punire il copista onorando l'autore (tutelato dai colleghi).

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