sabato 19 maggio 2007

A Sderot danni psichici per un abitante su due. Cristina Balotelli

"La vita a Sderot è come la roulette russa". E' quanto raccontano gli abitanti della città israeliana più vicina alla Striscia di Gaza, sulla quale da più di sei anni non hanno mai smesso di cadere i razzi Qassam: dal 2001 oltre 4.500. Ma in questi giorni la situazione si è aggravata. I Qassam fabbricati nella Striscia sono venti volte più piccoli dei Katyusha e provocano danni materiali nettamente inferiori. Ma quelli psicologici sono identici. In alcuni casi sono irreversibili, come il post-traumatic stress disorder (PTSD), un disturbo che colpisce chi si trova in zone di guerra.

"Almeno la metà della popolazione di Sderot (in tutto circa 24.000 abitanti) ha bisogno di cure", dice la dottoressa Adriana Katz, 59 anni, che dirige la clinica per la salute mentale di Sderot e il Trauma Center per il trattamento immediato delle vittime da shock. Di origini rumene, è giunta in Israele venti anni fa con il marito, dopo averne trascorsi sedici in Italia, a Padova. Il suo lavoro è come una missione. Ma è sempre più dura, perché anche il personale della clinica soffre attacchi di ansia. "Non sai mai quando potrebbe capitare a te", racconta, mentre suona con insistenza il beeper che la avverte di nuovi Qassam in arrivo. "Può accadere per strada, in clinica, mentre mangi… non hai neanche il tempo di ripararti, perché trascorrono solo 15 secondi dal suono della sirena all'impatto. Qui non è come ad Haifa, gli edifici non hanno rifugi, non hanno protezione, i muri sono fatti di cartone".

Com'è possibile, dottoressa Katz? Perché gli edifici qui non hanno protezione? Sono vecchi?
"Sì, questa è la ragione. I nuovi edifici per regola devono avere la ‘safe room' (una stanza anti-missile). Perché negli ultimi sei anni non è stato fatto nulla? Non lo so. So solo che dopo sei anni sotto il tiro dei Qassam, anche la persona più forte cede".

Quindi dove vivete e lavorate non avete un rifugio anti-missile?
"Niente. C'è una grossa differenza qui, rispetto ad Haifa. Non possiamo proteggerci e questo ti fa venire il panico. Come facciamo a sentirci tranquilli e a dare ai pazienti il nostro conforto, quando noi stessi siamo sotto stress e abbiamo paura?"

Dopo il ritiro dell'esercito dalla Striscia di Gaza le cose sono peggiorate per voi?
"Sono sempre stata favorevole alla politica del disimpegno dai Territori e in particolare dalla Striscia di Gaza. Ma è stata una delle grosse delusioni che ho avuto. Anche oggi sono convinta che dovevamo lasciare la Striscia di Gaza ai palestinesi, eppure questo non ha portato la pace".

Come si vive in questa situazione?
"Si vive male, si vive nella paura. Forse all'inizio l'angoscia si sentiva meno. Questi missili sembrano giocattoli, rispetto ai Katyusha. Ma quando abbiamo capito che questo ‘giocattolo' uccide, quando un giorno è stato ucciso un bambino, poi un nonno, poi una donna è rimasta senza le gambe…. allora abbiamo incominciato a capire. E ad impaurirci. Non hanno smesso un solo giorno di sparare Qassam, nonostante il cessate il fuoco."

Lo scopo è terrorizzarvi?
"Esattamente. Ma non solo, perché oltre a terrorizzare, talvolta ammazzano. Sparano senza nessun criterio. E allora, di colpo, la paura ha incominciato a impadronirsi dei cittadini. Ormai ha preso delle dimensioni serie."

Qual è il suo ruolo, alla clinica?
Mi occupo di tutti coloro che subiscono traumi e che le ambulanze portano al centro d'emergenza. Non parlo dei feriti, quelli vanno all'ospedale. I miei pazienti sono i feriti nell'anima: shock, paure, agitazione. Bisogna esaminarli, curarli. Nel caso di attacco ricevo una telefonata e se mi avvertono che ci sono vittime mi metto in moto, anche di notte. Sono sempre reperibile.

Nella sua posizione di responsabile della clinica ha visto molti casi?
"Moltissimi. E non li conosciamo tutti, perché non tutti vengono a curarsi. Ultimamente abbiamo circa mille pazienti. Una signora che da mesi era in cura da noi perché soffriva di ansia per le bombe, è stata ferita da un Qassam che ha distrutto la sua casa. Ora è ricoverata in ospedale perché è ferita. Sarà un tipico caso di PTSD.

Come vengono trattati?
"Ci sono vari tipi di cure e le applichiamo tutte insieme: terapia con i farmaci, psicoterapia, gruppi e varie tecniche. Facciamo del nostro meglio per non arrivare alla diagnosi del PTSD, che è irreversibile. Alcuni pazienti però non rispondono alle terapie. Quindi abbiamo un buon numero di Post Traumatici che praticamente hanno finito di vivere: hanno dei flash back e continuano a rivivere la paura. E' qualcosa che somiglia tanto alla schizofrenia e malgrado i molti metodi di cura i risultati sono limitati.

Ci sono anche bambini alla clinica? Che sintomi presentano?
"Si, ci sono bambini. Presentano tutti i sintomi di regressione che può immaginare: dal fare la pipì a letto al rifiuto di dormire da soli e di andare a scuola. Questo influenza molto la vita familiare. Ci sono famiglie che si sono separate perché uno dei coniugi decide di andar via da Sderot, ma l'altro non vuole. In verità pochissimi possono andarsene: le condizioni materiali non lo permettono. Solo il 10% degli abitanti di Sderot ha lasciato definitivamente la città".

Il Governo sta facendo qualcosa?
"Come dicono qui, per il momento il Governo ha deciso di non decidere".

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