martedì 22 maggio 2007

Serve la rivolta fiscale. Arturo Diaconale

Il governo ha deciso di chiudere il capitolo degli aumenti per gli statali trovando comunque un accordo con i sindacati prima della fine della settimana. Perché proprio entro i prossimi quattro giorni e non oltre? Semplice, perché domenica e lunedì prossimi dieci milioni di italiani votano per rinnovare le proprie amministrazioni locali. Ed, a dispetto delle affermazioni di Piero Fassino e dello stesso Romano Prodi sull'inesistente valore politico della consultazione, il governo si rende conto che sarebbe pericoloso subire una nuova sconfitta dopo quella siciliana. Così corre ai ripari andando incontro alle richieste di quegli statali che vengono considerati come la parte più consistente del proprio elettorato. Questa non è una illazione. E' una constatazione. A chiedere esplicitamente che il “tesoretto” venga impiegato per recuperare il consenso perso dal centro sinistra presso la propria base elettorale sono i massimi dirigenti del partiti della coalizione. Oliviero Diliberto e Franco Giordano, non più tardi di domenica scorsa, sono stati fin troppo espliciti nell'indicare Tommaso Padoa Schioppa come il responsabile della sconfitta siciliana a causa della sua linea di rigore e nel minacciare di non votare il Dpef se prima delle amministrative non verranno soddisfatte le richieste degli elettori del centro sinistra. “La scuola - ha detto ad esempio Diliberto - ha votato per il 90 per cento per la sinistra. Non la si può lasciare a bocca asciutta...”.

In altre epoche si sarebbe parlato di clientelismo elettoralistico , di “laurismo”, di voto di scambio. Ma i tempi sono cambiati. La sinistra al governo non si trincera dietro l'ipocrisia del “si fa ma non si dice”. Non solo lo fa. Ma lo proclama alto e forte affinché sia chiaro a tutti che il suo impegno è privilegiare i propri elettori a scapito di tutti gli altri. La conseguenza di simile comportamento è la disaffezione dalla politica. Ma non di tutta la politica (il voto siciliano lo dimostra). A dispetto di quanto può pensare Massimo D'Alema, solo di quella parte della politica che concepisce la gestione del potere come redistribuzione del reddito per gli amici e spremitura fiscale per gli avversari. Giuseppe De Rita sostiene che, di fronte a chi ha aumentato le tasse solo per favorire il proprio elettorale a scapito del resto del paese, esiste la concreta possibilità non di una nuova tangentopoli ma in un rifiuto generalizzato di pagare le imposte. E' una idea. Se le tasse servono per gli affari loro, perché pagarle tutti?

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