venerdì 15 giugno 2007

La nemesi della storia. Gianteo Bordero

La crisi che sta investendo i Ds non è dovuta soltanto a motivi contingenti. Non è spiegabile solamente alla luce della cronaca. Le cause sono più profonde, vengono da lontano. Sono cause di natura storica e politica. Sulla base delle quali si può tranquillamente affermare che ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni, con i postcomunisti nell'occhio del ciclone per la vicenda Unipol-Bnl, è niente di più e niente di meno che una nemesi storica che si abbatte violenta su chi ha truccato le carte per trarre profitto indebitamente dal corso degli eventi.

Oggi i diessini gridano al complotto per la pubblicazione delle intercettazioni che vedono coinvolti i vertici del partito, parlano di un «attacco allo Stato di diritto», si stracciano le vesti per la violazione delle procedure giuridiche. Ma come? Non sono stati proprio loro, a partire da Tangentopoli, a cavalcare l'onda lunga del giustizialismo d'assalto che ha spazzato via i partiti democratici, liberali e laici della prima Repubblica? Non sono stati loro a presentarsi, memori della retorica berlingueriana, come gli eticamente «diversi», come i paladini della «questione morale»? Non sono stati loro, sulla base di tale «diversità», ad auto-legittimarsi come unica forza politica in grado di costruire un nuovo ordine repubblicano? Questa operazione di maquillage politico, che peraltro contraddiceva la storia garantista del Pci, se da un lato è servita agli eredi di Togliatti per raggiungere il tanto agognato governo del Paese, dall'altro lato non ha fatto che perpetrare un clima avvelenato, un atteggiamento pregiudizialmente ostile nei confronti della classe politica. Clima che, alla fine, non poteva che rivoltarsi contro i suoi stessi promotori.

Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. I dirigenti diessini possono parlare quanto vogliono di «crisi della politica»: se tale crisi esiste, se cioè nel sentire comune è andato perduto il senso ultimo dell'agire politico, la «ragion politica», è perché chi poteva porre un freno - per cultura, intelligenza e tradizione - alla delegittimazione della politica non lo ha fatto. Sta qui l'errore tragico. Se oggi D'Alema & CO. vengono attaccati da tutte le parti per la questione Unipol, se un'operazione legittima (altra cosa è l'opportunità) come la scalata delle assicurazioni rosse a Bnl viene giudicata come il peggiore dei crimini, se finisce nel ventilatore fango che schizza senza controllo sui massimi esponenti del partito, è perché la (inesistente) «superiorità morale» è stata usata a sproposito per chiamarsi fuori dalle normali vicende e vicissitudini politiche, persino dalla storia politica. La quale, ora, presenta implacabile il conto.

Ed è un conto salato. Come quello pagato per l'altro grande errore che sta all'origine della crisi diessina: quello riguardante la questione dell'identità. Anche in questo caso si è voluto giocare con la storia senza mai farci i conti fino in fondo. Si sono cambiati i nomi, la falce e il martello sono scomparsi dalle insegne di partito, ma di un ripensamento serio della propria natura e del proprio ruolo politico dopo la fine del comunismo neanche l'ombra. La parola «comunista» è diventata impronunciabile non per il fallimento del comunismo, ma per una strana paura di se stessi, delle proprie radici, della propria storia; paura dei propri errori e delle proprie responsabilità. E così ridefinirsi politicamente è diventato impossibile. Col risultato di raggiungere i massimi vertici del potere proprio nel momento in cui si faceva più forte quella che Gianni Baget Bozzo ha definito la «tempesta nichilistica» che investe i Ds. Un fatto, questo, che ben si riassume nella scelta di aver affidato al contenitore anodino del Partito Democratico e al tecnocrate democristiano Romano Prodi, che oggi non muove un dito per difendere la Quercia dai fulmini che le piovono addosso, le sorti della propria avventura politica.

Sembra così, in questi giorni, che il peso della storia si riversi di colpo sulle spalle dell'ultimo grande partito erede delle culture politiche novecentesche; sembra che questioni lasciate colpevolmente irrisolte dalla classe dirigente diessina si affastellino attorno ai volti dei responsabili del partito; sembra che gli errori del passato facciano tutti insieme capolino dalle intercettazioni telefoniche riguardanti il caso Unipol e dal dibattito sul Partito Democratico. La via d'uscita - dicono D'Alema e Fassino - è ridare voce e forza alla politica. Vero. Peccato che i loro stessi alleati, coloro che domani dovrebbero diventare parte del medesimo soggetto politico, siano intenzionati a percorrere una strada diversa, che finirebbe col fare del Ds e della sua storia carta straccia nel nome di un Pd senza volto e senza identità. Avranno, D'Alema e i suoi, il coraggio di rompere prima che sia troppo tardi?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' VERO C'E' UN COMPLOTTO.
LA P2 SI E' ALLEATA CON LA SPECTRE PER COMPLOTTARE. E QUANTO COMPLOTTANO!
LE INDAGINI PER STANARE I COMPLOTTISTI (O COMPLOTTATORI?) SONO STATE AFFIDATE AL COMMISSARIO BASETTONI.
UNA COSA RIMANE CERTA: C'E' STATO UN RIBALTONE GIUDIZIARIO. I GIUDICI SONO IMPROVVISAMENTE RISULTATI ESSERE CATTIVI E INAFFIDABILI.
IL MONDO CAMBIA. C'EST LA VIE!

maurom ha detto...

Hanno preso una "tramvata" mica da poco!
Anche i trinariciuti più duri&puri cominciano a percepire qualcosa.

Poi sarà il diluvio.