mercoledì 13 giugno 2007

Moralisti senza morale. Maurizio Belpietro

C’era da immaginarselo. Di fronte alle telefonate di D’Alema e Fassino col capo di Unipol, da cui emerge un «rapporto molto intimo e del tutto improprio» per dirla col direttore di Repubblica, i vertici della Quercia hanno scelto la linea di difesa apocalittica: invitare i militanti alla vigilanza democratica e lanciare l’allarme golpe. Così sperano di farla franca e di evitare imbarazzanti spiegazioni circa l’intreccio d’affari che li vede protagonisti.
Del resto gli ex comunisti si considerano i migliori, i più democratici, anzi: l’essenza stessa della democrazia. Dunque, tutto ciò che li mette in difficoltà non può che essere una manovra antidemocratica. Avendo per anni confuso lo Stato con il proprio partito, gli ex pci ritengono che qualsiasi critica nei loro confronti sia «un’aggressione che mira a indebolire lo Stato di diritto», così come hanno sostenuto ieri. La difesa, come dicevamo, era prevedibile e già vista. Quando in piena Tangentopoli girò voce che i magistrati di Milano volessero mettere il naso anche nei conti dell’allora Pds, Achille Occhetto adottò la stessa tecnica: «Se mi arriva un avviso di garanzia è un golpe». Per D’Alema e compagni l’informazione giudiziaria è democratica solo quando colpisce l’avversario politico, sia che si tratti di un dc, di un socialista o di Berlusconi. Se tocca la sinistra è eversiva. Il partito che fu di Berlinguer – il segretario che sollevò la questione morale pur sapendo che il Pci per anni aveva campato coi soldi dell’Unione Sovietica – non può ammettere di avere le mani in pasta con le speculazioni finanziarie e nemmeno può confessare di essere socio di fatto di uno scalatore borsistico. Il partito dei giudici non può neppure lontanamente concepire che proprio quei giudici che per anni ha allevato e fomentato oggi gli si rivoltino contro e chiedano ragione di curiose telefonate, ma anche di vorticosi giri di denaro che ruotano sempre intorno a un solo soggetto: Unipol, la compagnia d’assicurazione delle Coop rosse.
Terrorizzati di fare la fine dei socialisti e di essere spazzati via da una nuova ondata giustizialista, i Ds provano a rompere l’isolamento politico in cui sono precipitati, ma gli alleati appaiono freddi e distanti. Non una parola dagli amici della Margherita, qualche parola ma non benevola da Antonio Di Pietro e dalla sinistra radicale. In soccorso dei vertici della Quercia è andato solo un vecchio giudice, il compagno di sempre: l’ex procuratore capo di Milano, Gerardo D’Ambrosio, oggi senatore ulivista, è giunto a evocare il Sifar, il vecchio servizio segreto degli Anni Sessanta che la sinistra identificava come fonte di ogni nefandezza. «Far uscire ora le intercettazioni», ha spiegato l’ex magistrato, prendendosela con quelli che furono suoi colleghi, «vuol dire volerle usare per la politica». Ma non è più il 1993, quando D’Ambrosio, con un colpo a sorpresa, «prosciolse» il Pds dall’accusa di aver preso tangenti attraverso Primo Greganti. Gli anni sono passati per tutti, anche per l’ex giudice. Che oggi non ha più assi nella manica in grado di mandare assolti i suoi compagni di viaggio.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

articolo di Travaglio (noto esponente di sinistra(?!?)) come racconta la vicenda.
Caro Belpietro, continua a pulire le scarpe di Silvio, non sono tanto lucide.

"Oggi l’Unità non sarà in edicola per uno sciopero sacrosanto (gli editori stanno cercando di far fuori il direttore Antonio Padellaro e di rimetter mano al contratto di collaborazione di Furio Colombo). Dunque non uscirà nemmeno la rubrica “Uliwood Party”. Chiedo ospitalità al sito per dire quel che penso delle intercettazioni del caso Unipol.

Se in Italia non esistesse Berlusconi con la fairy band dei Previti e dei Dell’Utri, ce ne sarebbe a sufficienza per chiedere le dimissioni di Massimo D’Alema da vicepremier, di Piero Fassino da segretario dei Ds e di Nicola Latorre da vicecapogruppo dell’Ulivo al Senato. Quello che emerge dalle loro telefonate con Giovanni Consorte (e, nel caso di Latorre, anche con il preclaro “compagno” Stefano Ricucci) ha un solo nome: conflitto d’interessi, e dei più gravi. Naturalmente tutto il dibattito è falsato dalla presenza in Parlamento di Berlusconi e della fairy band, al cui confronto il gravissimo conflitto d’interessi Ds-Unipol-coop rosse impallidisce. Ma in un paese normale (espressione cara a D’Alema), nel quale dunque Berlusconi & C. fossero già stati sbattuti fuori dalla vita pubblica, i telefonisti rossi se ne dovrebbero andare su due piedi.



Fassino doveva incontrare il banchiere Luigi Abete (chissà perché, poi) e non sapeva cosa dirgli: perciò chiedeva a Consorte di scrivergli i testi. Poi si lamentava perché Chicco Gnutti era andato a una cena elettorale di Berlusconi: credeva che anche lui fosse un “compagno”, solo perché aveva partecipato all’orrenda scalata Telecom insieme a Consorte e Colaninno, e osservava che Gnutti stava puntando sul cavallo sbagliato, il Cavaliere, che prevedibilmente di lì a un anno avrebbe perso le elezioni.

Intanto Latorre amoreggiava con Ricucci, un tipo che Enrico Berlinguer non avrebbe sfiorato nemmeno con una canna da pesca. Ci scherzava, lo trattava da pari a pari, faceva il tifo per lui.



D’Alema, che com’è noto è molto intelligente, avvertiva Consorte delle possibili intercettazioni telefoniche (“attenzione alle comunicazioni”) parlandogli al telefono: una mossa davvero geniale, machiavellica, volpina. Poi lo esortava ad “andare avanti” nella scalata alla banca romana, abbandonandosi a un tifo da stadio (“facci sognare!”). E si occupava personalmente della quota detenuta in Bnl da Vito Bonsignore, pregiudicato per corruzione nonché europarlamentare dell’Udc.

Stiamo parlando dei tre massimi dirigenti de Ds che, due estati fa, negavano spudoratamente di essersi occupati dell’Opa di Unipol alla Bnl, affermando di essersi limitati a rivendicare il buon diritto dell’assicurazione delle coop rosse a partecipare alla contesa bancaria. Latorre negava addirittura di aver passato il suo telefono a D’Alema perché parlasse con Consorte. I cavalli sui quali questi insigni statisti puntavano sono poi finiti tutti sotto inchiesta per gravissimi reati finanziari. Ricucci addirittura in galera e in bancarotta. Consorte e Gnutti hanno condanne non definitive per insider trading.



Se questa non è una gigantesca “questione morale”, come solo Parisi, Di Pietro e pochi altri politici dissero fin dall’estate 2005, non si sa proprio che cosa lo sia. Ma, nelle reazioni del Botteghino alla divulgazione di brani di intercettazioni, non c’è un’ombra di autocritica, di ripensamento, di riflessione. Anzi si sentono e si leggono frasi copiate pari pari dalla propaganda berlusconiana e craxiana: “veleni”, “attacco”, “operazione scandalistica”, fughe di notizie”, “circuito mediatico-giudiziario”. Condite con attacchi vergognosi alla giudice Clementina Forleo, che ha fatto semplicemente il suo dovere, applicando una legge demenziale - la Boato - varata da destra e sinistra amorevolmente a braccetto nell’estate 2003. Se ieri, per tutta la giornata, sono usciti brandelli di intercettazioni, è soltanto perché, con una decisione giuridicamente inedita quanto discutibile, il vertice del Tribunale di Milano ha stabilito che gli avvocati difensori degli 83 indagati del caso Antonveneta potessero soltanto prendere appunti dalle centinaia di pagine di trascrizioni, ma non prelevarne copia. Se, come dovrebbe avvenire in un paese civile, e come infatti avviene in America e in Inghilterra, gli atti giudiziari non più segreti venissero messi integralmente a disposizione delle parti e anche della stampa, si saprebbe tutto subito, e si eviterebbe di costringere i giornalisti a pendere dalle labbra di questo o quell’avvocato, a fidarsi dei loro appunti non certo completi né disinteressati. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Ma qui non c’è alcun “attacco”, nessuna “operazione”, nessun “circuito mediatico-giudiziario”. Si chiama, molto più semplicemente, “informazione”. I cittadini da oggi sanno qualcosa in più delle scalate bancarie illegali all’Antonveneta, alla Bnl e alla Rcs avviate dai furbetti del quartierino sotto l’alta protezione dello sgovernatore Fazio, dell’allora premier Berlusconi, dei vertici dei Ds, della Lega Nord e di Forza Italia (ci sono anche i berlusconiani Cicu, Grillo e Comincioli, al telefono con Fiorani). Ed è doveroso che sappiano, visto che su quelle telefonate il Parlamento sarà chiamato molto presto a votare pro o contro l’autorizzazione a usarle nei processi ai furbetti.



Invece il senatore-avvocato Guido Calvi, già difensore di Ricucci e di D’Alema, nonché attuale difensore dell’ottimo Geronzi, dunque in pieno conflitto d’interessi anche lui, dice cose assurde contro i giudici di Milano e contro i giornalisti. Invoca interventi della Procura per “bloccare” le notizie che doverosamente la libera stampa fornisce ai cittadini. E chiede l’immediata approvazione al Senato della legge-bavaglio-Mastella, già varata dalla Camera con maggioranza bulgara: tutti i partiti affratellati, nessuno escluso. I voti del centrodestra all’ennesima porcata non mancheranno: Berlusconi ha già solidarizzato con D’Alema e D’Alema ha già solidarizzato con Berlusconi per la splendida contestazione (uova a parte) subìta da Bellachioma a Sestri Ponente. E la Cdl ha già annunciato con non userà politicamente quelle telefonate, onde evitare che a qualcuno, a sinistra, salti in mente di usare i gravissimi reati della fairy band berlusconiana per rinfacciare finalmente la questione morale alla destra.

Persino Veltroni perde la testa e vaneggia di “crisi del sistema democratico”: ma non per il contagio del conflitto d’interessi che infetta il maggior partito della sinistra, bensì perché è finalmente affiorato alla luce del sole. Come se il problema non fosse ciò che i suoi compagni dicevano al telefono con personaggi ben poco raccomandabili, nel pieno di un’Opa e di una contro-Opa, in spregio alle più elementari regole del libero mercato; ma il fatto che finalmente tutto ciò stia venendo fuori. Hai la faccia sporca? Invece di andarti a lavare, dai la colpa allo specchio che la riflette. E tenti di romperlo, lo specchio, per non vedere mai più la faccia sporca. Che schifo."

maurom ha detto...

Prendo atto del contenuto "informativo" dell'articolo che mi trova sostanzialmente d'accordo.

Gli attacchi al Cavaliere non mancano mai per "par condicio" e perché sono diventati il sale di tutti gli articoli.

L'anonimo copia-incollatore potrebbe farsi conoscere anche con uno pseudonimo: tanto per sapere se è sempre lo stesso.

Anonimo ha detto...

Ieri, 13/6 è stata divulgata la notizia, su tutti i giornali, del "pentimento" del questore Fournier.Probabilmente, schiacciato sotto l'evidenza delle prove , ha confessato della mattanza che si verificò, da parte degli sbirri, alla scuola Diaz nel 2001, durante il G8 di Genova: ho taciuto per malriposto spirito di corpo, ma ho visto cose allucinanti, una "macelleria messicana", me ne vergogno ancor oggi.
La carta da culo del giornale di famiglia ,dove prende ispirazione Maurom, una notizia del genere si è ben visto dal pubblicarla, chissà che ne pensa l'autorevolissssssssimo direttore Belpietro. Persino Libero, seppur in X° pagina l'ha pubblicata.
Qui, nessun accenno ad una notizia del genere, arrivata purtroppo in ritardo di & anni.
Perchè non apri un bel dibattito su questa cosa Maurom ora che la verità viene a galla ?

Anonimo ha detto...

g8
non hai capito che quello è un PENTITO?