lunedì 11 giugno 2007

Non voglio vivere né morire da gramsciano. Raffaele Iannuzzi

Il centrodestra, come ha detto e scritto lucidamente a più riprese il mio amico Gianni Baget Bozzo, è stato inventato da Silvio Berlusconi. Dico: letteralmente inventato. Messo in piedi. Edificato da un uomo che ha costruito una resistenza “armata” contro un’aggressione manu militari delle libertà individuali, primo, e, secondo, delle istituzioni repubblicane. Mani Pulite è stato tutto questo. E Berlusconi, resistendo e vincendo contro l’ex gioiosa macchina da guerra (allora non circolava tanto pacifismo nella sinistra cosiddetta “postcomunista”) di Occhetto e dei suoi sodali permanentemente afflitti dalla classica sindrome di Stoccolma. Questa storia ha costruito un’idea di politica altra da quella consociativa e mediatrice che solamente Craxi, configgendo con i comunisti e con i poteri (allora) forti, aveva in qualche misura preconizzato. La destra, in Italia, è stata sempre la sentina del peggio del peggio, per la sinistra ribattezzata da Baudrillard, seppur ironicamente, “divina”. Soltanto oggi Bertinotti afferma che la sinistra è stata rozza a dipingere così la destra e che, ammirando Sironi, capisce di più quanto questo pregiudizio abbia ostacolato un progresso culturale della stessa sinistra. Ma questa è fuffa e se la devono i perfin troppo numerosi sentimentaloni della destra culturale e intellettuale. Si tratta, in realtà, delle parole del vincitore che oggi non sputa più sul cadavere del Nemico, ma finge di essere clemente, sapendo di aver vinto l’unica guerra vera del nostro tempo: quella mediatica. Debord al potere, con Bertinotti, altro che storie.

Sottrarre la destra alla genesi berlusconiana della guerra di resistenza e dello schimittiano confronto con il Nemico - soprattutto dopo aver assistito allo scempio del ministro tecnico dell’economia, ex cassiere della Banca d’Italia, che fa il killeraggio, scelto tra gli incensurati in una famiglia mafiosa, del Generale della Gdf Speciale e di tutta la Gdf, cioè di un corpo di polizia al servizio dello Stato – è un grave errore e rischia di far cadere anche i migliori fra i nostri amici nelle trappola della ricerca della legittimazione culturale a tutti i costi. Trappola gramsciana. Io non voglio né vivere, né tantomeno morire come gramsciano di destra. Tanto non si vincerà mai con gli intellettuali. Craxi, con la sua salvifica rudezza, aveva già capito tutto: intellettuali dei miei stivali. E lo diceva uno che, con la rivista Mondoperaio e un pezzo del suo partito, aveva rinnovato la politica e la cultura politica italiane. Eppure, nonostante ciò, faceva bene a dire: intellettuali dei miei stivali. L’Italia postmoderna, attraversata dall’antagonismo sovversivo e la nuova sovversione del governo, se ne infischia dei convegni, di chi li organizza e degli amici di chi li organizza. E Berlusconi fa benissimo ad infischiarsene di tutti quanti loro messi insieme. Non si prende un voto con questi gruppi che, alla fine della fiera, cosa vogliono fare? La politica dell’organizzazione culturale, cioè vogliono contare di più, molto oltre il peso specifico elettorale, praticamente pari a zero, senza però mischiarsi troppo con il popolo vero, con quel “pubblico”, come ha scritto sempre il miglior politologo fra i non-intellettuali (nel senso descritto poc’anzi), cioè Baget Bozzo, che ha spiaccicato al muro la categoria e la realtà della “massa”, inesistente nell’era di Internet e nella rete virtuale. Berlusconi, che non sa neanche accendere un pc, probabilmente, l’ha perfettamente capito, questi altri sommi intellettuali ancora no.

Perché la destra deve ancora essere così? Semplicemente perché in Italia non vige lo stato regolare della vita sociale e pubblica, ma lo stato d’eccezione di Schmitt. A scriverlo si viene presi o per fanatici del conflitto o per eccentrici svitati, ma è così. Dunque, piaccia o non piaccia alla Finocchiaro, da queste parti, con il regime costruito dalla sinistra più ibrida e brutale d’Europa, con alle ali estreme gli anarchici insurrezionalisti e menare la danza, questa è la dura realtà.

Fini è patetico quando tenta di fare il Sarkozy dei poveri. Tra l’altro non valutando quanto seguito abbia nel suo partito. Potrà avere un seguito da sondaggi patinati: “ma che bell’uomo; come parla bene; che portamento che ha…”, ma da qui a guidare non solo la destra, visto che di essa oggi si vergogna, ma la guerra ancora lunga e dura contro questa sinistra – che lo vezzeggia, sapendo bene di vezzeggiare, con lui in testa al groppone nostro, la prossima vittoria, senza troppi meriti, ovvio -, ce ne corre. Uno che scappa dalla sala mentre viene proiettato “Il mercante di pietre”, bollando questo brutto film, a onor del vero, con una tesi vera come sostegno, purtroppo non estetico, di “propaganda anti-islamica”, al massimo potrà fare il mediocre di successo, il D’Alema di “destra” (virgolette d’obbligo), ma non molto di più.

Sarkozy non è solo un leader, ma è un leader che ha inventato una sintesi politica e con in testa una visione drammatica del cambiamento, che infatti chiama “rupture”. Senza questa visione drammatica e questo senso della realtà – perché sono i fatti a guidare la cordata delle idee e non i convegni a smuovere le acque stagnanti, speriamo che al terzo flop qualcuno se ne accorga -, mai e poi mai avrebbe messo all’angolo un vecchio volpone con un pelo chilometrico sullo stomaco come Chirac e l’intero sistema mediatico-ideologico della Gauche. Berlusconi non è Sarkò, vero (tra parentesi: ma perché mai poi dovrebbe esserlo? Boh!?), ma almeno è Berlusconi. Il che non è poco. Se n’è accorta anche la sinistra, visto che lo imita grottescamente, ottenendo lo stesso effetto di Groucho Marx che si spaccia per l’altro Marx, intendo il Karl autore di quell’operetta economica che si intitola Das Kapital. E ciò anche nel 2007. Non solo. Come ho detto, a brutto muso, e infatti mi sono beccato - da parte degli educatissimi frequentatori di convegni e blog à la page, del totalitario - a Sestri Levante, all’ennesimo convegno su “Blog e libertà” o roba del genere, la scorsa estate: se Berlusconi non avesse vinto nel 1994 prima e nel 2001 poi, noi tutti, oggi, non saremmo qui a discutere di come fare “la meglio gioventù” liberal-liberista o amenità di questo genere, ma saremmo a mendicare chissà dove la possibilità anche solo di aprire bocca.

Lo disse Cicchitto perfettamente all’Infedele di Gad Lerner, l’unico prodiano ancora lottacontinuista che si conosca, sempre in movimento, diciamo così (l’altro lottacontinuista in stato effettivo permanente, voglioso di pensione evidentemente, è Sofri, ma quello lo vogliamo santo subito, giusto(!?): senza la gigantesca ricchezza economica di Berlusconi, e Dio ne mandi ancora, il blocco economico-finanziario enorme della sinistra avrebbe letteralmente ingoiato tutto, lasciando gli oppositori ai margini, con l’unica libertà di scegliersi il padrone più generoso, roba da servitù volontaria, non so se mi spiego. Ecco, mettiamola così: anche il materialismo fa bene, in questi casi, alle buone idee. Che sono sempre le stesse, e scaturiscono dai fatti, cioè dall’osservazione della realtà, ma sono sempre le migliori e le più utopiche, visto che non le abbiamo ancora realizzate: meno tasse (molto, molto di meno); meno Stato (almeno minimo, può andare?); libertà fondamentali, tra cui quella di intraprendere un’attività d’impresa senza morire nel frattempo di qualcosa non causato dallo stato originario di salute; princìpi tradizionali e famiglia al centro, senza cedimento alcuno, anche ringhiando se necessario, e soprattutto senza dover chiedere scusa agli omosessuali ed agli amici delle lobbies degli omosessuali; crescita economica fondata solo sul mercato, dunque vera e non drogata dalle assistenze di Stato. Troppo poco? Praticamente una rivoluzione nel Belpaese. E, per giunta, senza dover organizzare convegni, senza dover ragionare di berlusconismo, senza cercare legittimazioni, dovute a gravi complessi di inferiorità, dalla sinistra (per la serie: Cultura è bello!).

Capisco: ora, forse, mi sto allargando. Ma lasciatemi almeno sognare. Altrimenti…altrimenti finirà che avremo una ben tornita “cultura politica” e magari anche qualche professore universitario “potabile” per la sinistra in qualche ateneo di chiaro marco Doc (rosso), ma sarà ecatombe politica certa. Salvata la cattedra, morta la politica.

P.S.: di cosa parliamo al prossimo convegno?

6 commenti:

Anonimo ha detto...

P.S.: di cosa parliamo al prossimo convegno?

Suggerimento: di tutti gli improperi e le bugie su Falcone e Borsellino che hai cucito ad arte quando erano in vita, colluso mafioso!!!!

maurom ha detto...

N.B. Raffaele Iannuzzi, alla faccia di Wikipedia, non è Lino.
Chiaro!

Anonimo ha detto...

e alla faccia del Senato della repubblica...

http://www.senato.it/leg/14/BGT/Schede/Attsen/00006770.htm

maurom ha detto...

Raffaele Iannuzzi

Nato a Grosseto nel 1966, si è laureato in filosofia presso l'Università di Pisa. È stato socialista operaista e vicino ad Autonomia Operaia. Nel 1992 è approdato alla fede cattolica. Ha pubblicato Il Dio cercato, Marietti, Genova-Milano 2003.

Anonimo ha detto...

chiedo venia, tra due pirla così è molto difficile fare distinguo

puzzailsignorvincenzo ha detto...

Vorrei sapere con chi stringerà alleanza alle prossime elezioni il partito pensionati del signor Fatuzzo, che a mio modestissimo parere è uno degli uomini più affascinanti d'Italia