mercoledì 25 luglio 2007

Al direttore - Oggi salutiamo il proscioglimento dell’anestesista Mario Riccio. Ma se Piergiorgio Welby avesse perduto coscienza poche ore prima che il medico cremonese interrompesse, su sua richiesta, le terapie che lo mantenevano in vita, oggi, con molta probabilità, il militante radicale languirebbe ancora nel suo letto di tortura (così la considerava). Il testamento biologico, in fondo, è “solo” questo: consentire ai futuri Welby di poter impartire anticipatamente le proprie volontà, quando la loro consapevolezza non è stata ancora compromessa dalla malattia. Testamento biologico ed eutanasia sono due questioni distinte che possono e debbono essere affrontate separatamente, perché implicano diritti e responsabilità diverse sia a carico dei malati sia dei medici. Il diritto di rifiutare le cure (e di disporre in modo valido questo rifiuto per il futuro) e quello di morire attraverso un atto medico non sono, a tutta evidenza, la stessa cosa. Sarebbe, per me, una grave sottovalutazione della portata politica dei temi in gioco affrontare, come in molti nel centrodestra vorrebbero fare, le questioni bioetiche sul “fine-vita” in modo ideologicamente indistinto, dichiarando una “guerra totale” al principio del consenso informato che è già oggi la base deontologica e giuridica del rapporto tra medici e pazienti. Non credo proprio che il cento per cento degli italiani che hanno votato per la coalizione berlusconiana pensino, come un sol uomo, che il dottor Riccio sia un assassino, che la morte di Welby andasse impedita con la forza e che Nuvoli sia stato salvato da un “omicidio di stato”. Non è neppure vero, probabilmente, che la maggioranza di quegli italiani che hanno scelto il centrodestra – e che lo sceglieranno nel futuro – ritenga che sulle questioni eticamente sensibili tocchi allo stato e alla legge provvedere a risolvere i “dilemmi morali” che la vita porta con sé e impone alla coscienza degli individui. L’eutanasia di stato (che codifichi quando non vale più la pena di assistere un malato) e la “cura di stato” (che imponga comunque di curare un paziente, anche contro la sua volontà) sono i due estremi, uguali e contrari, a cui può portare la pretesa dello stato di surrogare, in virtù di una superiore saggezza e di un più alto sapere, la fragile volontà delle persone che soffrono.
Benedetto Della Vedova presidente Riformatori liberali e deputato FI

Nessun commento: