mercoledì 4 luglio 2007

Dpef da fine legislatura. Davide Giacalone

Le critiche del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione Europea al Dpef (documento di programmazione economica e finanziaria), approvato all'unanimità dal governo, conquistano le prime pagine, ed è comprensibile. Sono precise e pesanti, oltre che autorevoli. Più modestamente abbiamo sostenuto ed avvertito le stesse cose, naturalmente inascoltati. La domanda da porsi è questa: come si è potuti giungere a questo, come mai gente esperta, come Prodi e Padoa Schioppa, si è messa a pattinare su un terreno così scivoloso?La risposta è: perché si sono giocati la credibilità e si comportano come chi è giunto alla fine della legislatura.
La credibilità è stata infranta prima dal balletto delle comunicazioni, con i due che, arrivati al governo, hanno avvertito dell'esistenza di una voragine nei conti, mentre neanche sei mesi dopo annunciavano l'esistenza di un tesoretto da spendere. Era tutto falso.
La voragine non c'era, ma c'era un impressionante debito pubblico. Il sovragettito fiscale (il tesoretto) c'era, ed era l'opposto del buco, ma era poca cosa rispetto al debito. In virtù del primo annuncio vararono una finanziaria da urlo (di dolore), che aumentava la pressione fiscale ma anche la spesa, faceva male a chi le tasse le paga ma non faceva affatto bene alla cura del debito. In virtù del secondo hanno cominciato a trattare con i sindacati come se ci fosse un bue da spartirsi e non un fagiolo da far durare. Nel frattempo il resto dei ministri sembrava esercitarsi in una scena surreale, alla Fellini nella nebbia o alla De Sica di “Miracolo a Milano”: diamo più soldi ai giovani, agli anziani, alle famiglie, ai singoli, all'Alitalia, agli investimenti, e così via delirando, senza attenzione alcuna alle compatibilità.

Accortosi che la palla aveva preso velocità e scendeva divenendo valanga uno sprovveduto Padoa Schioppa mescolava appelli alla moderazione con frasi fatte da mestierante della politica (tipo: una cosa sono le diete, altra l'anoressia). Solo che gli altri, a quel punto, gli hanno fatto sapere che o se ne sta zitto o può pure andarsene.

Per tenere insieme i cocci scrivono un Dpef che sposta in avanti tutte le pratiche rigorose, tutti i tentativi di riforma e di riconduzione della spesa pubblica alla razionalità, anteponendo, invece, le spese. Questo è il tipico comportamento dei governi democratici allo scadere della legislatura. Si chiama “ciclo elettorale” e sta a significare che le cose dolorose si fanno dopo e non prima delle elezioni. Solo che noi abbiamo appena votato, e la condotta economica del governo è l'esatto opposto delle pretesa di durare cinque anni. Morale: la debolezza politica e la fiacchezza istituzionale, ancora una volta, porteranno danno ai conti, e questi alle tasche degli italiani. Il tutto talmente alla luce del sole che il Fmi e la Commissione non hanno potuto dire altro: fermatevi.

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