lunedì 23 luglio 2007

La fine della sinistra. Stefano Doroni

Le ultime vicende della politica, sia estera che nazionale, mostrano un centrosinistra allo sbando: una coalizione politica in fase terminale avanzata, che cerca di vivacchiare in uno scenario di fine incombente, come un viandante assetato nel deserto, instupidito dalla sete, che muove passi pesanti, consapevole che ogni orma che lascia sulla sabbia potrebbe essere l'ultima. Ma non si tratta solo della fine di un governo, di una maggioranza messa in piedi come cartello elettorale e del tutto incapace di governare, di prendere qualsiasi decisione in modo veramente unitario; si tratta della fine della sinistra.

Dopo questa strampalata stagione di potere la sinistra italiana non ha futuro perché la sua cultura politica non è adatta al mondo attuale, alle sue dinamiche e alle trasformazioni determinate dalla storia: non è adatta alla realtà. Lo dimostrano gli ultimi atteggiamenti e scelte fallimentari, sia in casa che all'estero. Sulle pensioni l'abolizione dello scalone e l'abbassamento dell'età pensionabile sono un omaggio alle pretese di comunisti e sindacati: una scelta anacronistica ispirata a vecchi criteri di gestione assistenzialistica dello Stato che produrrà un vero e proprio dissesto dei conti pubblici. La politica economica è tutta sbagliata, e l'Europa ce lo ricorda con impietosi giudizi sui nostri bilanci. Perfino il Governatore della Banca d'Italia e la massima autorità della Corte dei Conti sottolineano quanto sia grave perdere l'occasione di un autentico rilancio in un periodo di fortunata congiuntura economica. Ma niente da fare: tassa e spendi sembra essere l'unica legge a cui si ispira l'operato del governo in questo settore. Inutile poi far passare leggi, leggine e decreti a suon di richieste di fiducia: non è altro che la dimostrazione dell'estremo stato di debolezza del governo, che come un dittatorello stretto alle corde cerca di imporre con stizza le proprie ultime bizzose volontà.

Le politiche sull'immigrazione e sul contrasto alla piaga della droga fanno acqua da tutte le parti, esponendo l'Italia e gli italiani ad ogni sorta di rischio e di incertezza. In politica estera non abbiamo più una faccia. Prodi a Gerusalemme recita la parte di chi ha finalmente capito il diritto di Israele all'esistenza e ad una vita pacifica, che ha capito che si tratta di un Paese attaccato, assediato e colpito da tutte le parti, che merita la solidarietà non solo a parole di tutto l'Occidente minacciato dalla guerra islamista. E qualche giorno dopo D'Alema - nientemeno che Ministro degli Esteri - in mezzo alla festa degli irriducibili rossi toscani di San Miniato legittima politicamente le formazioni terroristiche di Hamas ed Hezbollah: in sostanza ci invita a considerare come validi interlocutori alcune parti di quell'esercito jihadista che vuole la distruzione di Israele e l'annientamento dell'Occidente come realtà fisica, politica e culturale.

Il problema che sta alla base di tutto questo disastro è che la sinistra non ha più identità; o meglio l'unica che le è rimasta è quella comunista, che resiste, ottusa e bigotta, ad onta del verdetto di condanna con cui la storia l'ha bollata. La sinistra italiana ha una storia comunista e una socialista. Ma il socialismo è stato portato al suo definitivo approdo occidentale e laburista da Bettino Craxi. E l'identità riformista, moderata e democratica della politica italiana oggi trova spazio nella Casa delle Libertà, fra la tradizione sturziana e l'ispirazione liberale e atlantica di Forza Italia. La sinistra che voglia accreditarsi come una genuina forza riformista moderna non può dunque stare con i comunisti, cioè con chi tira la storia all'indietro afferrandola per il lembo della veste. Le insofferenze di Mastella, gli scatti d'ira dei radicali, perfino l'irritazione di esponenti politici generalmente misurati come Lamberto Dini, dimostrano che l'Unione così com'è non può stare in piedi.

Ma il problema è che la sinistra italiana appare condannata a impelagarsi in coalizioni politiche così impresentabili per colpa della sua natura. Per la maggior parte essa è infatti costituita da ex comunisti che poi spesso non sono nemmeno tanto ex, e da cattocomunisti la cui impostazione social-cristiana resta inevitabilmente antiliberale. Il tentativo di riproporsi in chiave moderna e democratica è quindi frustrato da due condizioni contrarie. La prima è la permanenza dell'impronta ideologica marxista, che alla prova dei fatti risulta tuttora operante ed efficace nelle azioni e nelle scelte concrete, impedendo ai cosiddetti «progressisti» di essere veramente tali, al di là dei buoni propositi; e la seconda è l'oggettiva mancanza di uno spazio da occupare, dato che l'area del riformismo democratico occidentale è già occupata dal centrodestra.

Per Rutelli e compagni, per il buonismo parolaio di Veltroni, non c'è dunque spazio. E non esiste una terza via praticabile fra il massimalismo ottuso e la cultura dell'odio sociale dei comunisti, dei Verdi e dei movimenti eversivi, e la democrazia liberale, lo spazio aperto del moderatismo. Tutte le chiacchiere della sinistra cosiddetta moderata sono perciò destinate a non potersi tradurre in pratica. Inoltre, dopo aver fatto dell'antiberlusconismo una vera e propria bandiera, non possono che continuare - da Veltroni a Rutelli a Fassino a Boselli - a dichiararsi alternativi a Berlusconi: ma così facendo si dimostrano anche alternativi a loro stessi, perché rinunciando alla retorica comunista non possono che utilizzare linguaggio e progettualità che sono della CdL. Si affannano dunque a trovare un'identità che non c'è, che non è disponibile; la conseguenza è galleggiare ad oltranza in una specie di limbo, piegandosi ora alle ragioni del massimalismo ideologico ora riconoscendo l'opportunità e l'urgenza di un approccio non pregiudiziale e politicamente maturo alla realtà. Proprio l'antiberlusconismo esasperato ha contribuito a rendere chiaro agli italiani qual è la vera alternativa politica oggi in Italia: o stai con la sinistra radicale e con i suoi pregiudizi sindacali, parteggi per chi ci ammazza e sgozza le donne adultere, desideri uno Stato burocratico, un Fisco rapinatore, un'economia arretrata, una scuola ideologizzata, ti auguri la fine dell'America e dell'Occidente; oppure stai con i moderati veri, con la CdL, e speri che tutte le brutture appena elencate vengano spazzate via.

Lo spazio per chi vuole essere moderato e progressista è quello occupato dal centrodestra, mentre il vicolo in cui cercano di infilarsi Veltroni e compagni per uscire dalle secche della prigionia ideologica è un vicolo cieco. Ecco perché la fine della stagione prodiana, la fine dell'esperienza dell'Unione, segna nei fatti anche la fine della sinistra postcomunista: essa è morta in partenza perché si è svegliata troppo tardi. Orfana di un'ideologia da cui ancora in parte dipende, ci ha messo troppo a capire che non erano né la nostalgia né il travestimento le strade da seguire per costruire un vero futuro politico. Ma questo lo sanno anche nelle stanze della maggioranza, perciò tentennano e nessuno trova il coraggio di dare la spallata finale a questo governo ormai ridotto a caricatura di se stesso; tutti prendono tempo perché sanno che dopo Prodi si spengono definitivamente le luci sull'esperienza politica della sinistra italiana nata dalle macerie del Muro di Berlino e mai diventata maggiorenne.

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