martedì 18 settembre 2007

Buonsenso a sinistra. Luca Ricolfi

Che succede a sinistra? Chi ricorda che cos’era la sinistra, inclusa quella riformista, prima dell’estate 2007, non crede ai propri occhi e alle proprie orecchie.

Fino a ieri, se invocavi interventi delle forze dell’ordine contro clandestini, nomadi, tossicodipendenti, prostitute, lavavetri eri un razzista, un leghista, un fascista, o come minimo una persona rozza, priva di un’adeguata cultura civica: oggi non più, e non capisci perché. Fino a ieri, se ti azzardavi a dire che nella scuola ci vorrebbe un po’ più di severità e un ritorno ad alcuni capisaldi tradizionali (come la grammatica, lo studio a memoria, le odiate nozioni) eri guardato con commiserazione, e bollato come reazionario, retrogrado, nemico della modernità e del progresso: oggi non più, e non capisci perché.

Fino a ieri, se dicevi che occorre abbattere la pressione fiscale, venivi irrimediabilmente crocefisso come berlusconiano, furbastro, evasore fiscale: oggi non più, e non capisci perché. Fino a ieri, se eri un ammiratore di Beppe Grillo ti davano del qualunquista, e a lui riservavano ogni sorta di contumelia, tipo sfascista, populista, antipolitico, qualunquistello: oggi non più, e non capisci perché.

Nel giro di poche settimane la sinistra è cambiata, ma non ci sta spiegando che cosa le è preso. Il raptus iconoclasta che ha colpito i suoi dirigenti è evidente, ma restano poco chiare le ragioni di un voltafaccia così repentino e spettacolare. Perché vi state liberando di tutti i vostri tabù?

Una ragione, probabilmente, è la paura. È possibile che i dirigenti del Partito democratico abbiano capito quale abisso il governo Prodi sia riuscito a scavare fra la sinistra e il Paese, e stiano tentando di recuperare voti sintonizzandosi con gli umori profondi dell’elettorato, specie quello del Nord. Se è così si illudono: la gente non è stupida, e sa distinguere i cambiamenti genuini, frutto di una vera maturazione politica, dai cambiamenti decisi a tavolino, dettati da furbizia e calcolo. Quel che andava fatto vent’anni fa, quando la caduta del Muro di Berlino aprì una nuova stagione politica in Europa, non può essere fatto credibilmente in pochi mesi, sotto la spinta dei sondaggi. La sinistra che i riformisti stanno affannosamente propinandoci sa troppo di ingegneria sociale: chi ha sempre diffidato della sinistra riconosce al volo l’artificio, chi è sempre stato di sinistra non riesce a riprogrammarsi in così poco tempo, e finisce per sentirsi ingannato e tradito. Proprio perché sono decise a tavolino, senza una lunga e severa discussione pubblica, le novità che Veltroni e i suoi ci stanno apparecchiando hanno un inevitabile sapore Ogm, di organismo geneticamente modificato: il Partito democratico sarà pure una creatura perfetta, ma le sue parole d'ordine sono troppo nuove e tardive per non apparire il frutto di un esperimento di laboratorio.

Ci sono però, forse, anche altre ragioni - più rispettabili e più serie - che guidano la recente raffica di dietrofront. Può darsi che alcune cose, nell’immobile e spesso autocompiaciuta cultura della sinistra, stiano cambiando davvero. Una prima cosa che sta cambiando è il rapporto della sinistra con il senso comune. Alcune delle idee che la sinistra va affermando, e che appaiono scandalose a tanti intellettuali, sono di puro buon senso. Che a scuola si vada essenzialmente per studiare, che i fannulloni vadano licenziati, o che la legge debba valere per tutti (compresi gli «ultimi»), possono sembrare idee di destra solo per l’ostinazione con cui sono state combattute per tanti anni, e possono apparire innovazioni rivoluzionarie solo per la spocchia con cui la cultura di sinistra ha sempre disprezzato i (presunti) pregiudizi delle persone semplici. Checché ne pensino i militanti più puri e duri, non è la sinistra che sta andando a destra, ma la rivoluzione del buon senso che sta travolgendo la sinistra.

Ma c’è anche un’altra cosa, forse, che sta cambiando a sinistra. Poco per volta, lentamente ma ineluttabilmente, ci si sta rendendo conto che i deboli «non sono più quelli di una volta, e che ormai né i partiti di sinistra né i sindacati difendono i veri deboli». In materia pensionistica, i diritti dei giovani vengono calpestati a favore dei privilegi dei cinquantenni. Nelle politiche del lavoro i diritti dei disoccupati, dei lavoratori in nero, dei precari sono sistematicamente subordinati a quelli degli occupati forti (dipendenti pubblici e delle grandi imprese). Nell’istruzione l’abbassamento degli standard penalizza i ragazzi dei ceti più umili, mentre i figli di papà possono tranquillamente rifarsi grazie alle risorse famigliari. Sul territorio la tolleranza per la microcriminalità protegge i prepotenti e mette a rischio i soggetti più vulnerabili (donne e anziani). Per non parlare dell’immigrazione, dove l’incapacità di espellere i criminali e i clandestini rende la vita più difficile innanzitutto agli immigrati onesti.

Chi sono i veri deboli? Questa è la domanda cui - a sinistra - non si riesce più a dare una risposta condivisa. (la Stampa)

1 commento:

nicknamemadero ha detto...

Grazie. Questo editoriale di Ricolfi mi era sfuggito. Sarebbe stato un peccato non leggerlo, perché Ricolfi, del quale nutro grande stima, è uno dei pochi di sinistra che ha il coraggio di dire le cose come stanno. E dette da lui fanno ancora più effetto.