mercoledì 10 ottobre 2007

I veri padri del debito pubblico. Paolo Cirino Pomicino

Caro direttore,
da qualche tempo ministri come Padoa-Schioppa nonché professori universitari ed esperti a vario titolo, a fronte delle difficoltà della nostra economia, ripetono spesso che la colpa è del debito pubblico fatto negli Anni Ottanta. Sono passati oltre quindici anni dal 1992, anno dell’ultima svalutazione. Lo stesso periodo servì per ricostruire l’Italia del dopoguerra, e ultimamente al Belgio per ridurre il proprio debito dal 130 per cento del Pil all’80. Da noi il debito è aumentato rispetto al ’91 nonostante quindici anni di manovre finanziarie e la vendita per oltre 150 miliardi di euro di aziende pubbliche. Davvero, allora, si può fare sempre riferimento ai presunti errori di «Garibaldi» parlando di un presente che non si sa governare?

Siamo seri e cerchiamo di ragionare sui guasti politici, istituzionali ed economici prodotti in questi quindici anni in cui l’Italia ha perso in competitività, ha ridotto le proprie quote nel commercio internazionale, ha frantumato il suo panorama politico ed è la Cenerentola d’Europa per tasso di crescita. Ma veniamo solo per un momento agli errori di «Garibaldi» nel decennio 1982-92 di cui parla il ministro Padoa-Schioppa.

A fare la storia economica di un periodo senza collegarla alla storia politica di quel tempo si fa solo un esercizio accademico che porta tutti fuori strada, autorevoli professori come Tito Boeri e gli studenti serali come il sottoscritto. Alla fine degli Anni 70 e fino all’89 l’Italia aveva tre grandi questioni politiche davanti: l’inflazione a due cifre, il terrorismo che ammazzava in genere i democristiani e la bassa crescita economica. Affrontare quelle tre questioni senza che le prime due si saldassero in una miscela esplosiva era l’impegno delle forze politiche dell’epoca per ridare proprio a quelle giovani generazioni di cui parla Boeri un Paese normale.

L’accordo del 1984 e poi il referendum del 1985 sulla scala mobile sconfissero l’inflazione che nel 1988 rientrò al 5 per cento continuando poi la sua discesa. Il terrorismo fu battuto dopo una lunga battaglia (l’ultimo assassinio brigatista fu quello del senatore Ruffilli nel 1988) senza intaccare il tessuto democratico e lo Stato di diritto, mentre la ripresa economica fu tale che nel 1985 l’Italia entrò nel G7. Chi pagò per quelle vittorie fondamentali per il futuro del Paese fu proprio il debito pubblico perché se all’inizio degli Anni 80, dopo il divorzio Tesoro-Banca Italia, Craxi Forlani e Visentini avessero fatto una politica fiscale restrittiva (a quel tempo la pressione fiscale era del 36%) avrebbero messo in corto circuito il terrorismo, una bassa crescita, un’oppressione fiscale e, con l’opposizione del Pci e della Cgil, non avrebbero abbattuto la più odiosa delle tasse, l’inflazione.

Questa, in breve sintesi, è la storia di quel periodo che riconsegnò all’Italia un Paese normale e autorevole. Il risanamento dei conti pubblici, come certamente sa il professor Boeri, iniziò nel 1989 e tre anni dopo avemmo il primo avanzo primario per ottomila miliardi e un debito pubblico al 100 per cento del Pil. Senza quella scelta sciagurata, cui partecipò anche Padoa-Schioppa, di portare nel 1990 la lira nella banda stretta dello Sme producendo una politica di alti tassi di interesse e senza l’aggressione a quei partiti di governo che avevano vinto la battaglia della storia, non avremmo avuto questo quindicennio di errori, di omissioni e di dilettantismo che sta davvero, e su questo concordiamo con il professor Boeri, penalizzando le giovani generazioni con la minore crescita, la bassa produttività e l’assenza totale di un progetto politico capace di mobilitare la parte migliore del Paese.

E tanto per concludere, se nel ’91 il debito pubblico era per il 90 per cento nelle mani delle famiglie italiane, oggi per oltre il 50 per cento è nelle mani di fondi stranieri grazie alla bassa crescita degli ultimi quindici anni e al conseguente minor risparmio delle famiglie italiane. Abbiamo, cioè, ceduto una parte della nostra sovranità nazionale. (la Stampa)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

se lo dice lui da tangentista c'è da credergli
e andiamo avanti con gli "intellettuali" condannati, ma sempre "intellettuali" sono...

bell'esempio Maurom continua così

Anonimo ha detto...

appunto.. un condannato con sentenza definitiva per una tangente da 5 miliardi di lire che ha il coraggio di fare ancora il politico.. ma si nasconda..

Unknown ha detto...

lasciando un attimo in secondo piano la storia politica di Pomicino, gli errori commessi e quant'altro, non si può non dire che sia stato ed è attualmente un gran Politico della vecchia scuola.
Quelli della scuola di partito, intellettuali e capaci nell'amministrazione. Che poi abbiano approfittato della situazione di potere è indubbio, ma succede anche oggi. Il fatto è che in passato si sapeva anche portare avanti l'Italia, il Paese era tenuto in considerazione!
Oggi invece rimane solo il tornaconto personale!