martedì 9 ottobre 2007

Il centrosinistra e la paura delle urne. Augusto Minzolini

Chi prima delle ultime elezioni politiche avanzava dei dubbi sui sondaggi che davano l’Unione avanti di oltre dieci punti sul centrodestra, per bene che andasse si meritava da sinistra l’epiteto di «berlusconiano». Tutti sanno com’è finita dopo lo spoglio delle schede.

Lo stesso vale oggi per chi nel disastro dell’attuale situazione osa argomentare che l’unica soluzione è il voto anticipato. Eppure un sondaggio diffuso ieri da La 7 - non dalle tv Mediaset - riporta che uno sbocco del genere è preferito dal 55% degli italiani e non sono tutti «berlusconiani» visto che la pensa in questo modo anche il 44,5% degli elettori dell’Unione.

L’atteggiamento affonda in un vecchio vizio della sinistra che guarda alla politica ignorandone, quando fa comodo, un elemento basilare: il consenso. Certo, non si può essere ossessionati dai sondaggi secondo lo stile del Cavaliere ma, nel contempo, non si può trascurare del tutto l’orientamento dell’opinione pubblica nelle proprie scelte esorcizzando ciò che non piace come epifenomeno, l’espressione è di moda, dell’anti-politica. In questo caso si corrono grossi rischi e si commettono errori. E’ probabile, ad esempio, tornando indietro nel tempo, che la testardaggine con cui gli autori del «ribaltone» che portò alla fine del primo governo del Cavaliere ritardarono il ritorno alle urne (da gennaio ‘95 alla primavera del ‘96) abbia contribuito non poco al radicamento del berlusconismo nel nostro Paese.

L’opinione pubblica si sentì defraudata di un proprio diritto dalle manovre di palazzo e alle elezioni successive il centro-sinistra riuscì ad imporsi. Ma il Paese complessivamente slittò a destra. Il celebrato trionfo dell’Ulivo fu tutt’altro che una vittoria: la Cdl senza la Lega riuscì addirittura a prevalere nel «proporzionale» per circa 300 mila voti. Non per nulla Massimo D’Alema (uomo delle grandi intuizioni che si perdono per strada) parlò nel celebre discorso al primo meeting di Gargonza dell’Ulivo di «vittoria tecnica» e «non politica». La sottovalutazione di questo elemento provocò non poche conseguenze: in quella legislatura il centro-sinistra produsse tre premier (Prodi, D’Alema, Amato) e un candidato alla sconfitta (Rutelli). Ma soprattutto il suo processo di modernizzazione non fece un passo avanti. Semmai due indietro.

Dieci anni dopo la storia rischia di ripetersi. Per la consueta allergia a misurare le proprie scelte con il consenso il centro-sinistra ha commesso nuovi errori. Una vittoria risicata che ha prodotto un Paese diviso essenzialmente a metà (lo stesso risultato in Germania ha dato vita ad un governo di grande coalizione) è stata interpretata come una «svolta»: è stato messo in piedi un governo con due voti di maggioranza al Senato e l’Unione si è accaparrata tutti i vertici istituzionali. Risultato: dopo un anno è mezzo Prodi ha un indice di gradimento del 23% e il suo esecutivo è sotto il 20%. Cioè più basso di quello che registrava il regime sovietico quando crollò il Muro. Una finanziaria che qualcuno ha addirittura giudicato «elettorale» non ha migliorato il giudizio dell’opinione pubblica di un solo punto percentuale. Per misurare l’impopolarità del governo secondo il direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, basta entrare in un ristorante. E la «zavorra Prodi» può addirittura portare a fondo il Pd targato Veltroni: il nuovo soggetto politico continua ad essere bloccato sul 28% mentre l’indice di popolarità dell’attuale sindaco di Roma, che pure è il doppio di quello del Professore, dà segni di flessione. Inoltre, dato tutt’altro che irrilevante, Prodi e Veltroni hanno due esigenze opposte: il primo per sopravvivere deve restare immobile e compensare le spinte contrarie dei moderati e della sinistra radicale; l’altro per aver successo deve predicare rivoluzioni. Ma tutte le «rivoluzioni culturali», le modernizzazioni vere, la sinistra - da quella di Blair a quella di Zapatero - le ha fatte quando era all’opposizione, libera dalla politica dei pesi e contrappesi con cui deve fare i conti chi deve sostenere un governo.

E la ricetta per risolvere la «crisi» di consenso è la stessa. Di sempre. Prodi ha fatto suo il motto «resistere, resistere, resistere». Veltroni chiede l’approvazione di quelle riforme che in buona parte il centro-destra aveva già trasformato in legge (a cominciare dalla riduzione dei parlamentari) e che la sua coalizione ha cancellato poco più di un anno fa con un referendum. Se deve essere questo governo o un altro a farle, il sindaco di Roma non lo dice, tanto che per molti la sortita ha il sapore di un altro espediente per tergiversare. Insomma, per guadagnare tempo come dieci anni fa, l’Unione immagina richiami alla responsabilità, teorizza riforme e ipotizza «blitz» o manovre di Palazzo. E seguendo questa strategia va contro il sentimento maggioritario nell’opinione pubblica. Qualche settimana fa D’Alema ha citato in privato una regola aurea della politica: «Quando il popolo è arrabbiato bisogna farlo sfogare, farlo votare». Ma è una delle geniali intuizioni che il personaggio dimentica spesso nel cassetto. I vizi sono duri a morire. Solo che questa volta l’epilogo potrebbe essere ancora più paradossale: se la testardaggine con cui Scalfaro rifiutò il voto trasformò Forza Italia da partito di plastica in partito vero, questa volta la tattica del rinvio potrebbe dare linfa vitale a soggetti dell’anti-politica che per il momento sono solo delle parodie: dal «grillismo» a quel surrogato minore del berlusconismo che è il «brambillismo». Per una classe dirigente come quella del centro-sinistra che fa politica da quando aveva i calzoni corti, sarebbe il colmo. (la Stampa)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

ANNAMOSENE A VOTA'
(CANZONE TANGO)

Forze er governo rimarrà in piedi pecché co 'a polittica ecconommica vor contenta' tutti. E quanno tutti so' contenti se metteno l'anima in pace e se va avanti. NO?
Dunque t'arrivveno al Lussumburgo TPS e Romano, co' tutti li scartafacci in regola.
Aho! Ma Armunia che te fa?
Li piglia a pesci in faccia.
Ve pare questo er modo giusto de tratta' sta gente perbene? Urla TPS.
Dice Armunia -Cor debbito pubbrico sete dentro la m.... fino ar collo!
L'avesse mai detto!
TPS si scaglia furibondo e je dice che io a casa mia faccio er commodo mio e te va' a ficca' 'r naso nelli affari tua!
No! -je risponne Armunia- questi so' affari de tutti; inutile che me fa' vede le zanne (a propposito che dentifricio usi?) tanto num me fai paura. Tie'. Chiappete 'sta bocciatura, incartala e portala a casa.
S'accende una zuffa con tonfi, mozzicate, cazzottoni. Dissolto er porverone TPS se squaia e torna a Roma co' 'nocchio nero e una zanna di meno.
Ner riferi' a' giornalisti dice .Non è successo niente! Tutto bene.
E se 'o dice Lui ...

Anonimo ha detto...

SIRVIO

DICE CHE E' ANTICOMUNISTA E POI CHE FA?
PRENDE IL LIBRETTO ROSSO DI MAO, LO LEGGE BENE BEN E POI DICE -HA RAGIONE!
ALLORA PRENDE UNA CANNA DA PESCA E SI METTE IN RIVA AL TEVERE.
ASPETTA ASPETTA ASPETTA.
AHO! SONO QUASI DUE ANNI CHE ASPETTA.
SVELTO ROMANO! BUTTATI A FIUME E CONTENTALO!

Anonimo ha detto...

TPS TORNA ROMA

DOPPO 'A SCAZZOTTATA CO' ARMUNIA TPS ARIENTRA A PALAZZO CHIGGI DA' 'NOCCHIATA A' GIORNALI -E MO' COME A METTEMO? ECCO VOR DI' CHE RACCONTO CHE SEMO VITTIME DE TRAME OSCURE.
E 'NTANTO TRILLA ER TELEFANO CHE ER SEGGRETARIO DICE -MINISTRO QUA C'E'UN CERTO DRAGO CHE JE VO' PARLA'. PARE 'NPO' 'NFEROCITO!
-PRONTO MINISTRO, SONO DRAGHI!
-MENO MALE, ARMENO LEI MI AIUTERA'
-NUN POSSO, ME DISPIACE TANTO MA DEVO DI' CHE PE' 'A CORTE DE' CONTI, FATTI TUTTI I CONTI, I CONTI VANNO MALE! A RUZZOLONI!
AR POVERO TPS JE VIE' UN FARFALLONE. CASCA A BRUTTO. BATTE 'A CAPOCCIA. POI S'ARIARZA, SORIDE E CANTICCHIA
-SETE TUTTI BAMBOCCIONI CHE NUN VOLETE CAPI' QUANTO SO' BELLE 'E TASSE! SETE TUTTI BAMBOCCIONI CHE NUN VOLETE CAPI' QUANTO SO' BELLE 'E TASSE!SETE TUTTI BAMBOCCIONI CHE NUN VOLETE CAPI' QUANTO SO' BELLE 'E TASSE!SETE TUTTI BAMBOCCIONI CHE NUN VOLETE CAPI' QUANTO SO' BELLE 'E TASSE!SETE TUTTI BAMBOCCIONI CHE NUN VOLETE CAPI' QUANTO SO' BELLE 'E TASSE!.....

Anonimo ha detto...

SCUSATE UN'ANTRA VORTA
MI PERMETTO DA DI' CHE ALLE URNE NON CIANNAMO MAI, PECCHE' SI NUN LO SAPETE VE 'O DICO IO.
QUANNO ER GOVERNO STA PE' CASCA' SUCCEDE SEMPRE CHE ARIVA ER SARVATAGGIO ALL'URTIMO SECONDO.
VEDE UN PO' L'URTIMA VORTA: SE GUARDENO TUTTI IN FACCIA E DICHENO -STAVORTA CASCA.
MA CHE CASCA!
QUELLI DE DESTRA SE METTENO A CONTA' E DICHENO -SPERAMO BENE
QUELL'ANTRI SE CONTENO E DICHENO -QUI ER PASSAGGIO E' STRETTO.QUANTI SEMO? 155. NUN BASTA. QUA CE VO' ER MIRACOLO! COME FAMO?
-E ANNAMO A PIJA' RITA!
-MA E' IN RIANIMAZZIONE!
ANDATELA A PIJA' LOSTESSO!
DETTO FATTO. DIECI AUTO BLU DOPPO TRE SECONDI SO' SOTTO L'OSPIDALE. CORONO ALLA RIANIMAZZIONE.
-RITA SVEJATE. STA PE' ARIVA' ER BERLUSCA.
COME SENTE DI' BERLUSCA LA RITA SE SVEJA DI CORPO.
-VIENE CHE TE PORTAMO NOI!
-NO STA' VORTA VO DA SOLA!
-COL TAKSSI?
-NO, MO VE 'O FACCIO VEDE IO.
UN SECONDO DOPO RITA LADY MONTALCINI PIOMBA A PALAZZO MADAMA A CAVALLO D'UNA SCOPA.
VOTI? -156!!!
SEMO SARVI ANCHE STAVORTA!!!

Anonimo ha detto...

VIAGGIO IN ITALIA

Er grande Goethe se risveja doppo ducentanni di sonno e penza da rifa' er viaggetto in Italy.
E'o riafa' aho!
Ammazza che coraggio!
Se fa tutto er giro dall'Arpi a Pantelleria. Je pija un coccolone. Poi si riarza. Torna a casa e se mette a scrive.
Dice e ndove che sta più sta benedetta Italia. E chi 'a riconosce?
Ma l'itagliani a do' stanno? 'Nce sto a capi' più niente!
Prima de tutto quarcuno sè scolorito. Artri so ingialliti. artri ancora se so' scuriti. arti poi so doventati neri come er carbone. Questa è la naturale evoluzzione der poppolo che dicheno che se trasforma e sta cosa qua fa pure piacere.
Ma quello che nun fa piacere penniente è come te se presente in faccia le città.
Aho! E chi 'e riconosce?
Sartando i particolari che ce vo' troppo tempo a riccontalli ne' centri abbitati e pieni de ricordi stoici 'un torizzonti più.
Confusione, tappetini dapertutto dove che se vende 'a robba farsa e rubbata, rigazze ne' 'e pperifferie che fanno er mestiere co' sordi che glieli 'storce er pappone, rigazze che vanno pe li affari sua e che 'nvece quarcuno se le agguanta e senza tanti comprimenti je leva a borzetta e poi l'arza la sottana e poi le leva 'e mutande e doppo ... e doppo si nun l'ammazzeno finischeno all'ospidale.
E come si nun bastasse rappine a manarmata ndove che le povere vittime anche se molleno tutto vengheno marmenate bene bene e che quanno va peggio le fanno fora così 'nsene parla più.
E questa robba qua, dice Gotthe nè nè che cappita 'na vorta ogni tanto cappita tutti li giorni che rbondio mette ntera.
Ma quarcuno, direte voi, ce penserà a mette 'e cose a posto. Macché. Quelli che comanneno se ne fregheno. Magnano e lassano fa.
Che bella Italy!
'Nce torno ppiù - concrude er grande ghette.