giovedì 18 ottobre 2007

La città è più vivibile se il tuo vicino non si lava? Carlo Lottieri

Come ogni anno, con la stessa inesorabile puntualità dei primi raffreddori di stagione, Legambiente ha reso pubblica la classifica delle città italiane più vivibili. Realizzata in collaborazione con “Il Sole 24 Ore”, tale graduatoria ha posto in cima alla classifica Belluno, Bergamo e Mantova, mentre gli ultimi posti sono occupati da Ragusa, Benevento e Frosinone. Qualche sindaco festeggerà e qualche altro cercherà di non farsi vedere troppo in giro: almeno per qualche giorno.
In realtà, l’inchiesta pare costruita sulla base di criteri a dir poco discutibili. Per definire i punteggi che poi delineano la classifica generale (dai 71,40 punti di Belluno giù giù fino ai 26,84 di Ragusa) Legambiente ha individuato sette ambiti fondamentali e, all’interno di ognuno, tutta una serie di elementi.

Scorrendo gli indicatori di questa inchiesta sugli ecosistemi urbani si scoprono però cose veramente curiose. Ad esempio, all’interno dell’analisi riguardante “Ambiente e verde” si attribuisce un punteggio più alto alle città che hanno una maggiore superficie di aree verdi in rapporto alla superficie complessiva. In prima battuta ciò sempre comprensibile, salvo che le città sono entità amministrative molto arbitrariamente definite. Milano è una città senza campagna (ha solo 182 chilometri quadrati) perché i confini comunali sono assai ristretti, mentre Roma (1.285 chilometri quadrati) è notoriamente al centro di un comune vastissimo ed all’interno del territorio amministrato da Veltroni anche chi vive a molti chilometri di distanza dal Colosseo. Tutto questo ha qualche ricaduta sulla vivibilità della Garbatella o di corso Vittorio Emanuele? Non credo.Continuiamo. Un criterio che “dà punti” in classifica è la lunghezza delle piste ciclabili. Questo spiega perché sindaci e assessori amino alla follia tirare qualche riga di vernice sui marciapiedi e allungare la lista delle corsie per le biciclette. Trovarsi in mezzo a qualche mountain-bike ogni volta che ci si decide a fare due passi vuol forse dire che si vive in una città “ecologica”? Chissà.
Un altro parametro è la qualità del parco-macchine, ovvero sia la percentuale delle vetture Euro 3 ed Euro 4 sui veicoli in circolazione. E qui è difficile dare torto all’inchiesta, che in tal modo finisce per sottolineare come la crescita economica faccia bene all’ambiente.

Il rapporto insiste pure sul numero dei passeggeri dei mezzi pubblici. Chi scrive usa molto l’autobus e quindi sa molto bene una cosa: che un elemento che fa crescere in maniera significativa il rapporto tra i viaggi con i mezzi pubblici e l’insieme della popolazione residente è la percentuale degli immigrati. Aumentare il numero degli stranieri, molti dei quali senza vettura e/o senza patente, e quindi la percentuale della popolazione che usa bus e metrò significa migliorare la vivibilità? Ho qualche dubbio.

Un altro elemento in grado di alterare la propria posizione in classifica è il consumo di acqua. Questa però è davvero bella, dato che il sindaco di Ragusa – che immaginiamo desideroso di scalare la classifica e perdere la “maglia nera” – dovrebbe quindi non limitarsi a usare la vernice gialla per moltiplicare le piste ciclabili, ma dovrebbe pure invitare i propri concittadini a… lavarsi meno. Questo fu il consiglio dato da Fulco Pratesi, qualche mese fa, in un esilarante articolo apparso sul Corriere della Sera, ma tutti avevamo creduto che in realtà quello fosse uno scherzo architettato da via Solferino a tutto danno di uno dei guru dell’ecologismo nostrano… Ovviamente, finisci in cima alla lista anche se ai dipendenti pubblici la mensa dà cibi “bio”, se negli uffici si usa carta riciclata, se le auto comunali vanno a energia elettrica, e via dicendo.

Non bastasse tutto ciò, Roberto della Seta (presidente di Legambiente) ha sintetizzato i risultati dell’inchiesta sostenendo non soltanto la necessità di far sempre più ricorso a fonti di energia costose e inefficienti (sole, vento, ecc.), ma ha anche enfatizzato l’esigenza di proteggere la città dal cemento e affrontare con decisione l’emergenza-casa. Concludendo in questo modo: “dare nuovo impulso al mercato degli affitti è una necessità sociale e ambientale inderogabile”.
Sottoscriviamo in pieno quest’ultima considerazione, ma facciamo fatica a comprendere come ciò sia possibile se si attacca chi – come Milano – “in meno di quattro decenni ha urbanizzato il 37% del territorio comunale, convertendo quasi tutti gli spazi agricoli e naturali”. Perché l’unico modo serio di affrontare strutturalmente i problemi di quanti oggi sono costretti a pagare canoni di locazione molto alti consiste nel liberalizzare l’urbanistica e restituire la piena titolarità sui terreni ai legittimi proprietari. Quanto costerebbe un affitto a Milano, oggi, se quel 37% del territorio comunale fosse tutto campi e rovi come piacerebbe ai nostalgici della via Gluck?

La classifica stilata da Legambiente presenta tratti perfino imbarazzanti. Basti dire che quanto più una città estende le isole pedonali e tanti più punti ottiene (ma davvero Roma e Milano sarebbero più vivibili, secondo Legambiente, se fossero tutte chiuse al traffico?).
Al di là di questi svarioni, però, ben più grave è il fatto che questa operazione – di sicuro effetto mediatico – è tutta costruita su logiche anti-industriali, sull’avversione alle automobili e l’esaltazione degli autobus, e su tutta una serie di altri miti ambientalisti che con la qualità reale della vita dei centri in cui viviamo hanno davvero poco, ma molto poco, a che fare. (l’Opinione)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

Anonimo ha detto...

imparato molto