mercoledì 24 ottobre 2007

No al suicidio dell'italiano. Magdi Allam

Aiuto, stiamo «suicidando» la lingua italiana! Dalla pubblica amministrazione alla scuola, dalla sanità alla giustizia, dalla religione alla sicurezza, dal lavoro alla pubblicità, ci affanniamo a persuadere le menti e a conquistare gli animi degli immigrati comunicando con decine di idiomi diversi, mobilitando un esercito di mediatori linguistico-culturali, anziché chiedere ed esigere che siano degli ospiti— che accogliamo dando loro l'opportunità di migliorare la loro condizione di vita — a conoscere e a dialogare nella nostra lingua nazionale.

Oltretutto, se ci pensiamo bene, l'italiano è la certezza che ci è rimasta di un'identità collettiva vilipesa e tradita dal rischio di estinzione a causa delle conseguenze letali del morbo del multiculturalismo sul piano della perdita dei valori comuni e condivisi. In un mondo in cui siamo soltanto noi a parlarlo e che ci ha già declassato a idioma di serie B, se siamo noi stessi a relativizzarne il valore all'interno stesso dell'Italia mettendolo sullo stesso piano di decine di lingue straniere, la sua morte certa sarà ancora più precoce dell'inevitabile tracollo demografico di una popolazione autoctona a tasso di natalità zero. Non è una scoperta assoluta ma l'apparire sui tram milanesi della pubblicità della Kinder Ferrero in inglese, spagnolo e arabo ci costringe a una rinnovata riflessione.

Come interpretare il fatto che la parlamentare di An, Daniela Santanchè, decida di far pubblicare un manifesto a pagamento con una scritta in arabo che recita «Imparate l'italiano e sarete più sicuri dei vostri diritti, dei vostri doveri e del posto che vi spetta nella nostra Patria»? Perché in uno Stato che si rispetti un privato cittadino si accolla l'onere anche finanziario di esortare lo straniero a imparare la lingua nazionale? Non dovrebbe essere una prerogativa e un dovere del governo e delle istituzioni affermare la centralità dell'italiano? Evidentemente non è così visto che non solo non si ritiene che l'immigrato debba conoscere la nostra lingua, ma ci si rifiuta per ragioni ideologiche di prendere in considerazione tale ipotesi.

Tutt'al più si offre l'opportunità all'immigrato di imparare l'italiano, come è nei piani del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, ma a condizione che sia lui a decidere se, quando e come accettare. E' stato il ministro dell'Interno Giuliano Amato, lo scorso 11 ottobre, a formalizzare il rifiuto del governo a chiedere all'immigrato di conoscere l'italiano. L'ha fatto con una battuta: «Se a mia zia fosse stato chiesto di recitare l'Oxford Dictionary quando sbarcò a Staten Island, probabilmente sarebbe stata respinta dagli Usa e rispedita in Sicilia a fare la fame perché, a quei tempi, lei e tanti altri emigranti parlavano a stento l'italiano». E questa è stata la sua conclusione: «Ciò che non hanno chiesto a mia zia non intendo chiederlo agli immigrati che arrivano in Italia». Il discorso di fondo è una esplicita opzione per una società multiculturalista in cui vengono relativizzate le identità, le culture, le religioni e le lingue.

In quell'occasione Amato ha presentato raggiante un opuscolo «In Italia in regola », tradotto in sette lingue straniere e stampato in un milione di copie. Iniziative simili sono state fatte da diversi ministeri che interagiscono con gli immigrati. Ebbene se lo Stato investe milioni di euro per tradurre le regole comuni e riuscire a comunicarle a chi risiede nello stesso spazio territoriale, significa che ha fallito in partenza perché non ha compreso che solo condividendo la lingua nazionale, in aggiunta ai valori e alla cultura, potrà iniziare il percorso per una costruttiva integrazione. L'investimento deve essere fatto non per rincorrere le lingue dei nostri ospiti,ma per vincolare l'ospite a conoscere la nostra lingua. Deve essere un obbligo, non un optional.

Non c'è poi da sorprenderci se al tradimento dell'italiano in patria si accompagna l'abbandono totale della sorte della lingua nazionale all'estero, concedendo spiccioli alla Società Dante Alighieri (solo 1,7 milioni di euro contro i 300 milioni del Goethe Institut) e assottigliando sempre più i finanziamenti agli istituti di cultura italiani nel mondo (17,5 milioni di euro nel 2006). Ecco perché è ridicolo che ci si scandalizzi se l'Unione Europea e le Nazioni Unite declassificano l'italiano. Ma se non ci crediamo noi stessi al valore della nostra lingua e l'abbiamo trasformata nel simbolo di un suicidio nazionale, perché dovrebbero riabilitarla e riesumarla gli stranieri? (Corriere della Sera)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

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Se si aggiunge che le minoranze etniche dell'Alto Adige e Tirolo cancellano le iscrizioni in italiano per privilegiare quelle in lingua tedesca si dimostra come
-in molti luoghi,da noi, sia conservato gelosamente il patrimonio etnico locale
-all'estero poi tutti sono fieri e gelosi della propria lingua e delle proprie tradizioni
-solo quando arrivano qui ci vengono a parlare di multiculturalismo e balle varie, mettendo in ombra la nostra lingua e la nostra storia.
-vada Amato a vedere se nei LORO PAESI si fa altrettanto che da noi. Ne rimarrebbe profondamente deluso.Troverebbe gente che se dovesse, per ipotesi, verificarsi presso di loro una situazione come la nostra non parlerebbe di immigrazione ma di invasione, di occupazione straniera, di violenza all'integrità del proprio territorio e della propria storia.
Accogliere è giusto e doveroso... ma così !!!!! ....
PS
Ricordi Amato che l'America è una terra abitata esclusivamente da immigrati, i quali hanno fatto l'America dove la società multietnica si è costituita nel corso di cinque secoli non di cinque anni. Non parliamo poi della densità di popolazione.

Nessie ha detto...

Stupisce che un articolo del genere l'abbia scritto un egiziano e non un italiano. Anzi, no, non stupisce affatto, ma rientra perfettamente nell'ottica del suicidio dell'italianità.
Amato è un vecchio socialista e da sempre il socialismo pratica l'internazionalismo. Più o meno proletario. Cosa vogliamo aspettarci inoltre da un uomo che a che fare con la finanza la quale è internazionale e globale per vocazione? Ovvio che le stronzate che spara su sua nonna e sulla rivista Reset circa il fatto che l'italianità non esiste perché gli Italiani sono il frutto di tante scorribande e dominazioni avvenute (che è come dire che anticamente ci cibavamo tutti di radici), raggiungono solo uno scopo: riempirci il più possibile di immigrati e farceli digerire con la forza secondo la sua teoria della "contaminazione benefica". Da abrogare.

Anonimo ha detto...

GRAZIE A DIO -E AD AMATO- L'ITALIA E' ORMAI TERRA DI IMMIGRATI.
GLI ITALIANI, CHE ORMAI SARA' BENE CHIAMARE GLI ABORIGENI, SONO UNA RAZZA IN ESTINZIONE SIA IN SENSO CULTURALE (VEDI IL CHIASSO CHE SUSCITA UN CROCEFISSO IN UN'AULA) SIA IN SENSO GENETICO.
LE NOSTRE MILLENARIE TRADIZIONI -COMPRESA QUELLA DEL CROCEFISSO- VANNO A REMENGO PER DAR LUOGO AD OGNI TIPO DI BARBARISMI CHE, MOLTO EUFEMISTICAMENTE VENGONO CHIAMATI "CULTURE". VEDI IL CANNIBALISMO, VEDI LA POLIGAMIA, VEDI L'INTOLLERANZA RELIGIOSA, VEDI IL BURKA, VEDI LE DONNE SCHIAVIZZATE ...
TUTTE MANIFESTAZIONI DI "ALTRE CULTURE" CHE NON SOLLEVANO NESSUN POLVERONE.SOLO IL CROCEFISSO, VA DA SE', E' L'UNICA COSA CHE DA' FASTIDIO.
E TUTTO ANDRA' AVANTI COSI' E SEMPRE PEGGIO FINCHE' MOSTREREMO PAZIENZA E TOLLERANZA.