sabato 20 ottobre 2007

"Non salvateci più"- Anche gli africani l'hanno capito. Francesco Borgonuovo

Intellettuali ed economisti criticano la politica dell'elemosina: «Così non ci sarà mai sviluppo vero».

Per farla ancora più impressionante, provate a tradurre la cifra in lire: il risultato finale occupa tutto lo schermo della calcolatrice. 23.000 miliardi di dollari sono i soldi che i Paesi occidentali hanno versato negli ultimi cinquant'anni a beneficio dell'Africa e di altri stati del famigerato Terzo mondo. Migliala di miliardi sprecati, non ci vuole un economista per capirlo. Nonostante i rubinetti del «nord del mondo» siano costantemente aperti e riversino cascate di denaro sui governi delle zone povere del pianeta, la velocità dei progressi in campo economico e di qualità della vita in Africa si misura nell'ordine di ere geologiche.

Sono gli africani stessi a dirlo: cari bianchi, basta con gli aiuti, ci fanno solo del male. Mentre Madonna scorrazza per il Malawi e Angelina Jolie accarezza i faccini smunti di bambini nel profondo del continente nero, gli abitanti di quei luoghi si sono stancati del loro «umanitarismo sexy». Uzodinma Iweala, classe 1982, professione scrittore (in Italia è uscito l'anno scorso il suo "Bestie senza una patria" Einaudi pp. 130, euro 9,5) l'ha scritto senza mezzi termini addirittura su Repubblica, non più tardi di quest'estate: «Caro Occidente, smetti di salvare rAfrica».

Bono, Bob Geldof e Madonna: i profeti della pietà

«L'Africa non vuol essere salvata» ha spiegato. «Ciò che l'Africa chiede al mondo è il riconoscimento della sua capacità di avviare una crescita senza precedenti, sulla base di un vero e leale partenariato con gli altri membri della comunità globale». Un concetto chiarissimo, che però dalle nostre partì fatichiamo a capire, presi come siamo dalla cultura dell'umanitarismo pietoso, la quale fa presto a trasformarsi in compassione un tanto al chilo.

Il leader degli U2 Bonovox, l'organizzatore del Live Eight Bob Geldof, l'economista fabbricante di ricette contro la povertà Jeffrey Sachs, Naomi Klein, lo scrittore Bave Eggers e le sue struggenti storie di bambini soldato: c'è bisogno di elencarli di nuovo, i profeti del bla bla bla terzomondista? Campeggiano sugli schermi tivù e ci chiedono un sms al costo di un euro per salvare il Burundi, l'acquisto di un cd a 9,9 per pacificare il Darfur, un obolo nella lattina per pagare un pranzo a un disperato del Ghana, tanto per sparare nel mucchio.

Eppure - spiega l'economista William Easterly, che dopo un passato alla Banca mondiale si è dedicato alla pratica del sostengo umanitario in Africa - con tutto questo denaro non riusciamo neppure a pagare ai Paesi poveri medicine che costano pochi euro a scatola.

Con la connessione a Internet, ma senza strade e medicine

Le strategie di aiuto pianificato, sostiene nel suo nuovo saggio "I disastri dell'uomo bianco. Perché gli aiuti dell'Occidente al resto del mondo hanno fatto più male che bene" (Bruno Mondadori, pp. 437, euro 34),sono piovuti dal cielo senza conoscenza delle esigenze reali e hanno prodotto soltanto dei mostri.

Qualche esempio? In Tanzania è facilissimo prenotare online un volo per gli Stati Uniti, ma è spesso impossibile percorrere cinque chilometri in auto perché mancano le strade. Oppure: si spendono 1500 dollari all'anno per garantire a un africano farmaci retrovirali contro l'Aids, che aumenteranno di un anno la sua aspettativa di vita. E Intanto i suoi compatrioti continuano a morire come mosche per malattie come il morbillo o la diarrea.

«Non bisogna cadere nel tranello di pensare che la quantità dell'aiuto risolva il problema della cooperazione di un paese» ha spiegato qualche tempo fa in un'intervista alla rivista "Nigrizia" Biagio Bossone, direttore esecutivo della Banca Mondiale per l'Italia (non certo un esponente del "capitalismo assassino").

«Quando la comunità internazionale era più generosa, vedi gli anni '60, arrivava a dare anche lo 0,50% (del Pii, ndr)» ha detto «ma queste risorse venivano spesso utilizzate per fini politici. È lì che è nato il seme del debito, che tanto angustia ancora oggi i paesi del sud del mondo. Il tema è quello dell'efficacia degli aiuti e non solo della quantità».

Non è solo una questione di soldi, ci sono anche scogli culturali. Lo strumento degli aiuti - lo sostengono da decenni perfino gli esponenti dell'ultrasinistra, i filosofi e scrittori neri dell'esperienza "Black Atlantic", i fautori del black power e i seguaci del postcolonialismo come il regista Spike Lee o il saggista Paul Gilroy - è un fallimento colossale e per di più è umiliante.

L'Africa può farcela da sola, non ha bisogno dell'elemosina. Può crescere a modo suo, inserita in un mercato globale, ma con le proprie regole, secondo le sue vere necessità. E poi se non conviene buttare cinquanta centesimi nel cappello del lavavetri al semaforo, non si capisce perché dovrebbe servire a qualcosa versare miliardi di dollari in quello di un capo di Stato militare. Anche se vive al di sotto dell'Equatore. (Libero)

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