martedì 23 ottobre 2007

Quando la piazza dà i numeri. Filippo Ceccarelli

Chi vuoi essere milionario basta che ne annunci in piazza almeno mezzo mi­lione. Perché di lì a poco, nell'im­mancabile tripudio della folla-record, il raddoppio verrà evoca­to come l'abbagliante entità che unifica, ordina, stupisce e si rispecchia in se stessa. E infatti: «Siamo un milione!» si è sentito gridare sabato scorso dal palco di San Giovanni alla manifestazio­ne della sinistra radicale.

Ed è anche vero che questo è un tempo di naturale enfasi e macroscopiche bizzarrie: ma si ha (ancora) un'idea di che cos'è veramente un milione? Non per fare i pierini, gli scetticoni o i gua­stafeste, ma esiste qualche fondatissima ragione per ritenere che a San Giovanni l'altro giorno non erano più di 150 mila. Che sono anche tanti, diamine, ma non è questo il punto.

Il punto è che per quanto ri­guarda le cifre delle manifesta­zioni, sempre più spudorata­mente i partiti e i loro leader «ci marciano», nel senso che non so­lo danno i numeri, ma li sparano ogni volta più grossi; con il che la forchetta tra il dato reale e quello immaginario comprende di solito una tale massa di persone da poterci riempire una città assai popolosa, o altre sei o sette piaz­ze.

Va da sé che questa pregiudi­ziale esagerazione fanta-numerica viene messa in scena senza alcuna diversità di schieramen­to. Mezzo milione di presenze ha reso noto due settimane orsono An al Colosseo. Ma quando mai? Tutto lascia credere che fosse 70, al massimo 80 mila, e proprio a tenersi larghi. Come per la sini­stra radicale, anche nel caso di Alleanza nazionale la politica c'entra nulla: è un fatto di mate­matica, geometria, fisica dei soli­di.

Un tempo, si sa, c'erano le sti­me della questura: valutazioni istituzionalmente al ribasso che facevano da contrappeso e oggi si può dire: anche da calmiere, al trionfalismo algebrico degli or­ganizzatori. Ma da qualche tem­po, se non espressamente solle­citata, la Polizia se le tiene per sé. C'è da dire che alla questura di Roma il conteggio dei manifestanti è sempre stata un'arte ap­plicata con enorme dispiego di impegno e di forze. Nel 1973, sciopero generale dei lavoratori delle costruzioni, al giovane fun­zionario della Ps Carlo De Stefa­no l'allora leggendario capo della Digos Bonaventura Provenza e il questore (poi capo della Ps) Giuseppe Parlato richiesero di contare, letteralmente ed effettivamente, quanti manifestanti erano presenti a piazza San Gio­vanni. Era un'impresa immane e De Stefano dovette quindi esco­gitare un metodo che rese il futu­ro e attuale Direttore dell'Ucigos il maggior conoscitore delle piazze romane, vuote e piene, deserte o stracolme che siano.

Sistema empirico, ma fino a un certo punto. Si tratta di calcolare la metratura dello spazio e misurarne la densità. In ogni metro quadrato stanno in genere dalle tre alle quattro persone. Ma esistono diverse altre variabili: la posizione del palco (più o meno addossato alla basilica), la dislocazione della folla nelle vie late­rali, l'ampiezza e la velocità del corteo (tanto compatti quelli di un tempo quanto sfilacciati quelli odierni). A quest'ultimo ri­guardo il parametro di raffronto è il tempo di deflusso dello stadio Olimpico (80 mila posti) dopo una partita di grande rilievo. Questi elementi vanno fatti rea­gire con l'afflusso dei pullman (ogni pullman 50 persone) e dei treni straordinari (con 13 carroz­ze si va dalle 700 alle 900 presen­ze).

A Provenza e Parlato il giovane De Stefano, che in mancanza di elicotteri scrutava il tutto dal ter­razzino dell'edificio che contie­ne la Scala Santa, disse che quel giorno del lontano 1973 i partecipanti erano dagli 80 ai 90 mila. Il sindacato ne dichiarò 300 mila. L'esempio è interessante perché da allora consente di stabilire che piazza San Giovanni, stracolma, ospita al massimo 150 mila individui. E non due milio­ni, come proclamò Berlusconi nel dicembre 2006; né un milio­ne e mezzo, come annunciato dal palco durante il Family day del maggio scorso.

Piazza Navona contiene d'al­tra parte tra le 80 e le 90 mila per­sone; e piazza del Popolo a mala pena 60 mila. Il Circo Massimo è uno spazio molto più ampio, ma non riesce a ospitare più di 300 mila unità, a dispetto dei tre mi­lioni propagati dalla Cgil nella manifestazione contro il terrori­smo e le modifiche all'articolo 18 del marzo 2002. Fu quella certa­mente fra le più affollate manife­stazioni della storia repubblica­na. Eppure, rispetto ai criteri di comunicazione propagandisti­ca, per non dire bugiarda, ciò che più fa riflettere è che il coeffi­ciente di scostamento numerico è passato da uno a tre degli anni settanta a uno a dieci di oggi.

Per alcuni decenni, ha soste­nuto lo storico Mario Isnenghi, autore di Piazze d'Italia (Mondadori, 1989), «centomila persone è parso l'ideale». Difficile dire quando esattamente i politici hanno cominciato a farsi presti­giatori, novelli baroni di Munchausen, signori Bonaventura alla ricerca del milione, parteci­panti alla surreale «Gara Mon­diale di Matematica» raccontata da Cesare Zavattini. Certo un buon contributo al fenomeno deve averlo dato Bossi reclaman­do tre milioni di dimostranti nel 996 sulle rive del Po ; e altrettan­ti o forse più nel 1998 ai seggi del­le elezioni padane, quando a suo dire vennero mobilitati 25 mila gazebi. In realtà, calcolò il Vimi­nale, i tendoni furono 2.200, per giunta montati e rimontati nei vari paesi. E' probabile che a quel punto, per malintesa emulazio­ne, anche gli altri vollero sperimentare la «voluttà del numero che cresce» (Elias Canetti).

Ed eccoci così alla smilionante balla contabile normalizzata. Ci­fre asiatiche, cinesi; o forse cifre televisive. Metafore più o meno aggressive in alto e in basso. Co­munque irreali. Truccate e insie­me svergognate. Dopo tutto ci crede solo chi vuole crederci. (la Repubblica)

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