venerdì 4 gennaio 2008

Il caso Sara Jane Moore: una lezione americana. Ruggero Guarini

Spesso minuscoli fatti, apparentemente secondari e marginali, e comunque destinati a essere smorzati e soffocati dal fragore dei grandi eventi del giorno, possono gettare, su certi argomenti di enorme rilievo, un fascio di luce molto più abbagliante di tanti dotti discorsi. Uno di questi fatti è la scarcerazione, avvenuta martedì, dopo 32 anni di detenzione nel penitenziario di Dublin presso Los Angeles, di Sara Jane Moore, la terrorista americana che il 22 settembre del 1975 tentò di uccidere, senza riuscirci, il presidente Ford, con un colpo di rivoltella la cui traiettoria fu per fortuna deviata dal braccio di un ex marine invalido che in quel momento era venuto a trovarsi accanto a lei. Sparato a San Francisco da una distanza di 12-14 metri, il colpo andò quindi a vuoto. Il che tuttavia non impedì che la Moore, che aveva allora 44 anni, e che durante il processo ammise di essere colpevole, in base alle leggi del suo paese, fosse condannata all’ergastolo. Né che ieri, in base a quelle medesime leggi, che prevedono che gli ergastolani che tengono buona condotta possano essere rilasciati dopo tent’anni, essa venisse infine rimessa in libertà. Ebbene: qual è l’argomento di grande rilievo sul quale questo minuscolo fatto getta una luce abbagliante?

È l’abisso che separa la severità e il rigore con cui le leggi degli Stati Uniti trattano i crimini politici dall’irresponabile ed equivoca indulgenza con cui li trattano le nostre. La storia dei trent’anni e rotti di galera inflitti a Sara Jane Moore per il suo tentativo, peraltro fallito, di uccidere Gerald Ford, compreso il lieto epilogo della sua scarcerazione per la buona condotta tenuta durante tutto il periodo della sua detenzione, basta infatti da sola a dimostrare che sul fronte della lotta al terrorismo, mentre gli Stati Uniti sono un paese serio, noi siamo un paese grottesco. Nulla comunque sembra illuminare il baratro che ci divide su questo fronte come il fatto manifesto che mentre negli Stati Uniti, chiunque attenti alla vita di uno statista, presidente o giù di lì, eventualmente anche senza riuscirci, rischia l’ergastolo, da noi invece i terroristi che sequestrano e giustiziano i nostri leader politici e sindacali rischiano com’è noto di finire, dopo pochi anni di detenzione, sotto le luci del varietà, in quell’eletta compagnia di giro che da ormai circa un trentennio, con l’incoraggiamento di gran parte della nostra sinistra parlamentare, e soprattutto col sostegno finanziario delle nostre istituzioni ufficiali (comuni, regioni, editoria, università, televisione), permette a una piccola armata di ex terroristi di riciclarsi – a suon di interviste, dibattiti, seminari, talk-show, lezioni accademiche, consulenze, impieghi pubblici e altre attività mediatiche foraggiate a spese del contribuente – come storici, interpreti e cantori delle proprie gesta.

La storia della Moore contiene un altro piccolo insegnamento. La donna, un anno fa, in un’intervista a una tv di San Francisco, aveva dichiarato che al tempo del suo fallito attentato alla vita di Ford era “caduta preda di forze sociali e politiche molto turbolente”. Chiedendo scusa all’America, aveva quindi aggiunto: "Troppa adrenalina, troppe tensioni… Ascoltavo solo quelli che volevo sentire, non avevo le idee chiare, portavo i paraocchi, noi dell'estrema sinistra ci credevamo in guerra con il potere”. Nessun nostro brigatista ha mai rilasciato una simile ammissione. Tutti continuano invece a giustificare i propri crimini con un mucchio di chiacchiere ideologiche che sono soltanto l’espressione del loro ridicolo bisogno di assolversi e rilanciarsi sui sentieri della politica sbandierando l’alibi dei loro pretesi ideali. Perché oggi la Moore osa invece confessare di disprezzare le sue idee di quegli anni? Non si può escludere che il merito vada ascritto in larga misura al rigore delle leggi del suo paese, che potrebbe averla incoraggiata a capire di dover pagare, per meritarsi, a 77 anni, la concessione della libertà per buona condotta, il prezzo di un pubblico pentimento. (il Velino)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Quando un paese ,in questo caso l'Italia ,è dominato da una classe politica corrotta e criminale, il primo obbiettivo della suddetta classe politica è quello di procurarsi, con leggi adeguate ,una sorta di immunità. Di conseguenza la classe politica provvederà ad emanare leggi adeguate al fine di evitare la galera per i reati commessi.Una volta emanate, queste leggi,inevitabilmente, vengono sfruttate da tutti, anche dai criminali di basso livello. Per questo motivo oggi nel nostro paese non abbiamo la certezza della pena, e quindi, così tanti criminali a piede libero ,siano criminali comuni o di alto o altissimo livello.Una situazione come quella degli Usa descritta in questo articolo è semplicemente utopica. Per questo stato di cose dobbiamo ringraziare chi ci ha governato , non ultimo chi, appena è salito al potere non ha fatto nient'altro che , far approvare nuove leggi garantiste per evitare le condanne nei processi cui era pesantemente implicato.