giovedì 3 gennaio 2008

Il discorso di Napolitano? Un concentrato di nulla. Milton

Quello che più stupisce è la mancanza di stupore. Le reazioni al discorso di fine anno del Presidente della Repubblica sono state pressochè tutte improntate alla “larga condivisione”. Insomma toni positivi da quasi tutti; stampa e poltica. Ma se per molti giornalisti vale l’ormai atavica tendenza alla “supineria” culturale, sorprende molto di più il coro pressochè unanime di consensi che viene dalla classe politica. Chi ci governa, o ci vorrebbe governare insomma, ha trovato il saluto di fine anno del Presidente Napolitano all’altezza della situazione.

Dopo il delirio arrogante e pervicacemente cinico a cui siamo stati sottoposti ascoltando la conferenza stampa natalizia del Presidente del Consiglio, durante la quale Romano Prodi ci ha ancora una volta di più confermato che lui vive nel paese dei balocchi, ci si poteva aspettare almeno dalla più alta carica dello Stato un’analisi schietta, precisa, implacabile ed un impulso nuovo a ripartire e a cambiare.

Ma nell’ascoltare il Presidente della Repubblica la sera di San Silvestro, si è avuta una netta sensazione di vecchio e stantìo, di politica politicante, di equilibrismo dialettico, il tutto soppesato dal celeberrimo pragmatismo comunista. Il tutto intriso da una certo afflato patetico, quando il Presidente ha tentato di imprimere fiducia plaudendo ad una mostra attualmente ospitata al Quirnale, composta da capolavori italiani recuperati da musei stranieri (sic!)

Insomma un melanconico e profondo senso di inadeguatezza a comprendere e a risolvere i problemi del Paese, da chi dovrebbe dettare la linea e definire i principi, da chi dovrebbe traghettarci verso il nuovo. E già, il nuovo!? Così nuovo, che si prova anche una certa qualsivoglia tenerezza per un vecchio politico cresciuto alla scuola di Togliatti ai tempi di Stalin e capitato per caso (o per esclusione) sul colle più alto, che dovrebbe, nell’epoca della globalizzazione e di youtube, ispirare il cambiamento, promuovere il nuovo e segnare una svolta.

Il Presidente dice di aver colto nel Paese segni di dinamismo, le esportazioni sono in ripresa, “la cultura della creatività” resta un nostro “punto di forza” e il patrimonio storico è un formidabile “polo di attrazione”. Tradotto, i poveri cristi del Nord Est e il vituperato popolo delle partite IVA, si è ancora una volta rimboccato le maniche - mentre a Roma si concertava e si aumentavano le tasse – il tutto condito con la solita cantilena di poeti, santi e navigatori, il sole e il Colosseo. Intanto la Spagna ci ha superato come flusso turistico e alle nostre spiagge ormai gli stranieri preferiscono la Croazia (che con tutto il rispetto, non è la Polinesia). Ma davvero ancora si può pensare di risolvere tutto con la buona volontà, il mandolino e i musei aperti la domenica?

Il Presidente però ammette che un po’ di malessere c’è. Una parte cospicua dei cittadini “fa sacrifici seri, non regge più l’aumento del costo della vita” e i salari non sono competitivi. Un aiutino da Napolitano alla creazione del tavolo sui salari che i sindacati chiedono a gran voce al Governo. Analisi giusta, forse un po’ timida, ma priva di progettualità e visione. Ci si ridurrà infatti, come per tutto quello che rigurada la politica economica e sociale, a consegnare il nostro futuro alle organizzazioni sindacali, che come al solito proteggiaranno il potere d’acquisto solo delle loro corporazioni. Non un accenno al fatto che la politica dei redditi, va di pari passo con la politica per lo sviluppo, non si può distribuire ciò che non c’è. I salari non aumenteranno se la produttività resterà una delle più basse d’Europa, non aumenteranno se non si smetterà la patetica cerimonia dei contratti nazionali che giova solo al potere ricattatorio della triplice. Si detassino gli straordinari, i premi di produzione, si riducano le regole e si liberino costi della burocrazia amministrativa per investirli in formazione.

Per la verità, un accenno, per quanto generale di ricetta il Presidente lo ha fatto: bisogna puntare su innovazione, merito, privilegiando l’istruzione. Già il merito. Ma, Presidente, Lei non ha appena controfirmato una finanziaria, che tra le altre aberrazioni, stabilizza centinaia di migliaia di precari dell’amministrazione pubblica, entrati, nella maggioranza dei casi, per raccomandazione, alla faccia di chi il concorso pubblico l’ha fatto, vinto ed è da anni in attesa del posto? Ma suvvia non c’è proprio nessuno in questo Paese che sappia dire ai giovani, abbiate coraggio, mettetevi in discussione, non barattate la vostra libertà per un impiego fisso, non ascolate chi vi illude dicendovi, meglio un impiego modesto ma sicuro, siate padroni del vostro futuro!

Il Presidente Napolitano ha poi disguisito di sicurezza e criminalità, in relazione al problema immigrazione. Comprendo che forse era troppo aspettarsi anche un piccolo rimbrotto al Governo, dopo il pasticciaccio vergognoso sul decreto sicurezza (a proposito Ministro Amato, le dimissioni dove sono?), ma almeno un accenno al fatto che l’unico (si uno solo!) rumeno rimpatriato, è già probabilmente rientrato in Italia, forse andava fatto. O no?

Ma l’apice dell’equilibrismo cerchiobottista del Presidente si è raggiunto quando Napolitano ha fatto cenno a “paure irragionevoli o particolarismi, politici o localistici” che “ emergono in troppi casi” in relazione al problema dei rifiuti in Campania. Ma un po’ di decenza, Presidente, perché non fare nome e cognone del compagno Bassolino e della ineffabile Iervolino unici e soli responsabili di una situazione vergognosa, vecchia di quindici anni e costata finora tra consulenti e commissioni, 2 miliardi di euro, che ci rende ridicoli nei confronti del mondo. Ma non c’è proprio nessuno in Italia che è in grado di avviare la costruzione di 2 (numero due) termovalorizzatori in Campania, magari con l’aiuto dell’esercito, se serve. O si preferisce che i cumoli di immodizia, che già raggiungono i primi piani dei palazzi napolitani, arrivino fino ai tetti, sprigionando tanta diossina, da far apparire il disastro di Seveso una banale fuoriuscita estemporanea.

Si potrebbe continuare citando il generico accenno alla necessità di riforme (si ma quali? e come?), per chiudere con il consueto e stantìo richiamo alla “sacra” Carta Costiuzionale promulgata esattamente 60 anni fa, nata già vecchia, intrisa di cripto-comunismo fin dal suo primo articolo, un feticcio che frena lo sviluppo, sicuramente non adeguata al nuovo e al cambiamento. Chi deve avere il coraggio e la forza di dire che forse è ora di aggiornarla?

Si esce davvero senza speranza da un discorso di tale inconsistenza e vaghezza, ma soprattutto con la consapevolezza che ci rimane solo la Provvidenza (che però temo abbia ben altri problemi a cui pensare).

Intanto anche Grillo ha fatto il suo discorso di fine anno alla nazione. Aspettando che Celentano torni dalle vacanze in montagna e ci faccia conoscere il suo verbo, ho cambiato canale (grazie a Dio le reti non sono tutte unificate) e mi sono guardato melanconicamente un film di Totò. (l'Occidentale)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Gli italiani sono ubriachi di povertà, e se ne sono accorti all’inizio dell’anno. L’Economist, il settimanale britannico che giudicava l’ex premier Silvio Berlusconi unfit, «inadatto» a governare l’Italia, si è accorto che gli italiani si sentono più poveri rispetto a qualche anno fa.
La spiegazione per l’Economist è semplice: è tutta colpa di Vincenzo Visco, il vicepremier ds con delega alle Finanze, e della sua stretta fiscale che ha portato nelle casse dello stato 25 miliardi di euro di extragettito nel 2007 e 36 miliardi nel 2006, «nonostante la leggendaria abilità degli italiani nel tenersi stretti le proprie ricchezze e i propri guadagni», sottolinea il settimanale.
…. ispezioni in negozi, bar e ristoranti e ha obbligato i professionisti a pagare con denaro elettronico e assegni. Peccato che «più della metà dei 40 milioni di contribuenti italiani siano lavoratori dipendenti e pensionati» e che siano stati loro a soffrire di più.
…. tanto che «perfino i sindacati chiedono tagli selettivi delle aliquote».
… come i contribuenti italiani siano «gravati in maniera irragionevole» da un carico fiscale senza precedenti»
Questa è l’Italia vista dall’Economist. Italiani sbronzi di povertà, governo sempre più vorace.
felice.manti@ilgiornale.it

Anonimo ha detto...

baila milton baila

Anonimo ha detto...

imparato molto

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie