giovedì 28 febbraio 2008

Il ritorno dei comunisti. Riccardo Barenghi

Libera da vincoli, libera dal governo e dagli incarichi istituzionali, la sinistra radicale, un po’ comunista un po’ no, ritrova se stessa. Con un pizzico, anzi più di un pizzico di antico. E così nel programma della Sinistra Arcobaleno che Fausto Bertinotti ha presentato ieri tornano a echeggiare vecchie parole d’ordine, vecchie idee, vecchie proposte che evidentemente non erano morte ma solo cadute in letargo. D’altra parte lo scrivono a chiare lettere, «non sempre nuovo significa meglio».

Ce n’eravamo scordati e invece rieccola. Tagliata, frantumata, sconfitta dal referendum del 1985 contro il decreto Craxi dell’anno prima, infine abolita, la scala mobile riappare come il famoso spettro di Marx. Lo dicono tutti che in Italia è aperta, anzi spalancata una questione salariale, lo dice anche Veltroni, lo sostiene addirittura Berlusconi, dunque per Bertinotti è facile rispondere con una ricetta tanto semplice quanto efficace (secondo lui): indicizzare i salari, legarli al costo della vita reale. Un meccanismo secco, automatico, tale e quale a come lo sottoscrissero trentacinque anni fa Gianni Agnelli e Luciano Lama, presidente della Confindustria il primo, leader della Cgil il secondo.

Non importa che nei decenni successivi la scala mobile sia stata messa sotto accusa, imputata di alimentare l’inflazione, non importa che adesso tutti (quasi tutti) dicano che gli aumenti salariali vadano legati alla produttività: per la Sinistra Arcobaleno bisogna tornare indietro, perché «non sempre ciò che nuovo è meglio».

Non l’avevano mai detto in questi ultimi anni, quando erano al governo. O almeno non con questa chiarezza. Ma adesso il governo non c’è più e non c’è nemmeno la prospettiva di tornarci: dunque ci si prepara a combattere dall’opposizione contro chiunque vinca le elezioni, si chiami Berlusconi o Veltroni. E l’arma della scala mobile, per quanto possa essere giudicata sbagliata o addirittura pericolosa, è sicuramente efficace per una parte del popolo al quale si rivolge la Sinistra di Bertinotti.

Così come un’altra parte di quel popolo sarà soddisfatta del «basta con la Nato e con le sue missioni». Anche qui ritorna alla mente il famoso slogan «fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia». Ritorna l’idea che i comunisti di una volta, quelli del Pci (prima dello strappo di Berlinguer) e quelli dei gruppi extraparlamentari, siano riemersi da non si sa dove, mescolandosi a quel movimento pacifista che ha riempito le piazze all’inizio del nuovo Millennio. Suona strano però se si pensa che chi lo dice oggi, fino a ieri ha votato per mantenere i nostri soldati in Afghanistan e in Kosovo. Ma tant’è, in politica l’abito fa il monaco: e oggi il monaco si è potuto togliere un abito nel quale stava evidentemente stretto.

Ma sarebbe sbagliato vedere tutto nella luce di un ritorno dei comunisti, come fossero appunto usciti da qualche sarcofago nel quale erano stati mummificati. Nel programma della Sinistra Arcobaleno si trovano anche cose nuove (in questo caso evidentemente il nuovo è meglio), per esempio l’abolizione del copyright o il salario sociale. La prima è indubbiamente una battaglia moderna, rivolta ai giovani che non sopportano di dover pagare i diritti d’autore su musica, libri e film che si scaricano da internet. La seconda può anche suonare antica, o se vogliamo comunista, ma così non è: l’idea di dare un salario ai giovani anche se non lavorano - e non solo ai precari tra un contratto e l’altro ma proprio a tutti quelli che sono disoccupati - sarà anche irrealizzabile, non compatibile con i conti pubblici, ma certo non è un qualcosa che viene dal passato. I dirigenti del vecchio Pci, così legati alla loro cultura iper-lavorista, avrebbero fatto un salto sulla sedia solo a sentir nominare una proposta del genere.

Dunque un misto di antico e di nuovo, ma certamente tutto condito con una salsa fortemente identitaria. Capace di far distinguere questa forza politica da tutte le altre, anche mettendo in conto le accuse che da oggi le pioveranno addosso: tardo comunismo o infantile estremismo. D’altra parte se Bertinotti dice - come ha detto nella riunione riservata che ha preceduto la presentazione del Programma - che «bisogna superare l’attuale sistema economico-sociale», cioè il capitalismo, l’impressione che si riceve è quella di un tuffo nel passato. Anche se lui invece lo considera un salto nel futuro. (la Stampa)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

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E' bene che ritornino a fare il loro mestiere, quello che più si addice alla loro indole:
parolone vuote su giustizia, pace, libertà (da che o da chi?), equità, redistribuzione della ricchezza, tasse ai ricchi, apertura delle frontiere, comizi, adunate, manifestazioni di piazza, cortei con i ritratti di Stalin, di Mao, di Castro, del Che, di Hochimin, bandiera rossa (che immancabilmente trionferà), slogan urlati con il megafono ...
... insomma, ritorna il vecchio folklore di cui sentivamo tanta nostalgia.
Mancano Peppone e Don Camillo: peccato, saremmo proprio al completo!

*paraffo* ha detto...

Povero Barenghi! Il suo articolo trasuda nostalgia per i bei tempi in cui era firma di punta del Manifesto e malcelata invidia per la ritrovata libertà di Bertinotti di poter tornare a dire cose di sinistra. Lui, invece, Barenghi, è inchiodato lì, alla Stampa, a scrivere cose di centro per conto del defunto Re d' Italia, Gianni Agnelli.

Ogni volta che vedo il Barenghi entrare nel salotto di Vespa, mi vengono in mente quei ragazzotti di provincia che, distintisi nelle loro squadrette di origine, approdavano alla Juventus ed erano costretti a "darsi un tono" per essere degni dell' eleganza del loro reale Presidente. Ci pensava il principino reggente (con delega alle pedate) Boniperti ad addestrarli all' uso della giacca e della cravatta regimental, ma il loro disagio era tanto evidente quanto commovente.

Barenghi mi ispira la stessa tenerezza ...