domenica 4 maggio 2008

Aron e gli uomini intelligenti dalle idee stupide. Davide D'Alessandro

Se i giovani del ’68 francese preferirono avere torto con Sartre piuttosto che ragione con Aron, che cosa induce i cosiddetti maestri del pensiero come Gianni Vattimo, Luciano Canfora e Domenico Losurdo, a continuare ad avere torto con Sartre, con la loro storia, con la loro Chiesa, dalla quale non riescono a distaccarsi?

“L’oppio degli intellettuali”, il pamphlet capolavoro di Raymond Aron, nella nuova edizione Lindau, ripropone una storica riflessione sul pensiero “sinistro”, accecato dall’ideologia, dalla guerra incessante contro la verità.

Fu Vattimo, anni fa, a invocare le brigate di combattenti a favore di Saddam, per partecipare a quella che riteneva “la difesa della libertà contro l’invasore americano”, convinto di farle agire come in Spagna contro la dittatura franchista. Lo stesso Vattimo boicotta la Fiera del Libro di Torino, perché non ritiene che un luogo di cultura possa e debba celebrare Israele.

Fu Canfora, anni fa, a liquidare il Massacro di Katyn come un atto di guerra, duro sì, ma solo atto di guerra, tanto da far inorridire Umberto Piersanti, intellettuale che non ha il cuore certo a destra: "Giustificare le fosse di Katyn è come giustificare i Lager: il revisionismo rosso di Canfora non ha nulla da invidiare al revisionismo di chi ridimensiona o, addirittura nega, la portata dei campi di sterminio”.

E’ stato Losurdo, appena un mese fa, ad assurgere agli onori delle cronache con un manifesto, subito firmato ovviamente da Vattimo, Canfora e altri, per denunciare “un’indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese” e accostare le presunte aggressioni dei tibetani contro i negozi cinesi a quelle dei nazisti contro gli ebrei.

Perché? Perché studiosi di valore (per capire che lo sono basta leggere “Il soggetto e la maschera” del primo, “Il papiro di Dongo” del secondo e “Nietzsche, il ribelle aristocratico” del terzo), nelle analisi della storia e della politica non hanno mai smesso di praticare un pericoloso rovesciamento della realtà, scambiando spesso la vittima con il carnefice, incapaci di guardare i fatti con distacco, con serenità, con obiettività?

Che cosa li rende ancora chiusi, faziosi, settari, fanatici?

Leggiamo Aron, rileggiamo Aron e troviamo la risposta: è il mito comunista che li rende ciechi. E’ la fede nell’idea, che diventa sistema e dunque ideologia. E’ la solidarietà. E’ l’amore incondizionato. E’ l’adesione immediata e totale che scatta, quando c’è un angolo rosso, magari l’ultimo rimasto, da difendere, da preservare. Senza se e senza ma.

Aron metteva in guardia da chi era indulgente verso i grandi crimini purché perpetrati in nome delle buone dottrine. Come aveva ragione, come ha ragione!

"L’oppio degli intellettuali" è del 1955. Angelo Panebianco, nella splendida introduzione di oggi, ricorda che scatenò feroci controversie in Francia, mentre da noi non ebbe alcuna fortuna e spiega perché: ”La sinistra intellettuale, che all’epoca esercitava un’influenza preponderante sui circuiti della comunicazione culturale, non amava confrontarsi con le espressioni più alte, e più forti, del pensiero a essa avverso. In parte per arroganza, in parte a causa della sua cattiva coscienza, di una certa vaga consapevolezza dell’inconsistenza dei propri argomenti. Non è sicuro che le cose siano oggi davvero cambiate”.

Continua Panebianco: ”Nonostante il ripudio (tardivo) del comunismo, a comunismo già morto, la sinistra intellettuale italiana, nelle sue componenti maggioritarie, non ha mai davvero fatto i conti con le ragioni dei propri errori di allora. Tanto è vero che fior di intellettuali di sinistra continuano, oggi, a usare, per esempio nell’interpretazione della storia italiana recente, categorie molto simili a quelle che usavano allora, ai tempi del comunismo trionfante. Questo libro, al tempo stesso documento sulla Guerra Fredda e spiegazione sociologica delle ragioni che spingono uomini intelligenti ad adottare idee stupide, potrebbe aiutare alcuni di loro a sbarazzarsi finalmente di quelle categorie. Proprio per questo, credo, continueranno a non leggerlo”.

Così come non leggono Boudon, che in :”Perché gli intellettuali non amano il liberalismo” (Rubbettino, 2004) spiega l’avversione, di chi si sente depositario della verità, verso le idee liberali, che non solleticano, per varie ragioni, le ambizioni dei cosiddetti maestri del pensiero.

Così come non leggono Dahrendorf, che in “Erasmiani. Gli intellettuali alla prova del totalitarismo” (Laterza, 2007) sostiene che il dio da tanti cercato, aveva fallito perché era un falso dio e scrive:”Nel comunismo si parla in continuazione di “fede” e anche di una fede equiparata a quella religiosa”.

Il comunismo attirò con il legame e la speranza. Era ideologia del futuro. Ma non era obbligatorio lasciarsi conquistare. Dahrendorf dimostra che ci furono persone impermeabili alle tentazioni: Karl Popper, Raymond Aron e Isaiah Berlin su tutti. Rimasero forti, annota lo scienziato sociale, quando la maggior parte degli altri diventarono deboli:”Difesero, anche nelle situazioni più sfavorevoli, le idee su cui si fondavano gli ordinamenti liberali”.

Così come, gli intellettuali dei quali scrive Panebianco, non hanno mai letto Montanelli che, prima di andarsene, nel 2001, scrisse sul Corriere della sera: ”L’ntellighenzia di sinistra è davvero insopportabile e - quel che è peggio - inseppellibile. Autoinvestitasi - quando aveva tutto dalla sua, compresa la contestazione - della esclusiva del Verbo, ci ha costruito sopra un reticolo clientelare di posti di potere culturali a prova di tutto, compresi i certificati della sua incultura. Questi titolari del «Sale e Tabacchi» della ragione storica, li abbiamo avuti sul gobbo, noi del Giornale, per vent' anni con tutta la loro prosopopea, per fortuna corretta dalla illeggibilità dei loro saggi, o per meglio dire, delle loro truffe. Che continuano, imperturbabilmente, come se il muro di Berlino fosse ancora lì, a occultarci quello che c' era dietro”.

La speranza, oggi, è che i politici, tutti i politici, chiamati a scrivere le nuove pagine della storia di un paese moderno, libero, democratico, all’interno di una legislatura che ci auguriamo davvero costituente, smettano anche solo di udire da lontano le canzoni stonate e composte da pseudo-maestri, che non hanno più alcuna ragion d’essere.

La libertà è più importante dell’uguaglianza. Lo diceva Popper. Liberale come Aron. Come Berlin. Occorre leggerli. E per chi l’avesse già fatto, rileggerli. (l'Occidentale)

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