sabato 20 settembre 2008

Il mercato e la finanza. Francesco Giavazzi

Nei momenti di crisi lo smarrimento, la difficoltà di capire ciò che succede, favoriscono la popolarità di un certo numero di sciocchezze. A diffonderle spesso sono i politici: essi avvertono il disorientamento dei cittadini, vogliono dare l'impressione di avere le idee chiare, ma hanno poco tempo per riflettere e spesso elaborano sciocchezze. Il guaio è quando queste si trasformano in azioni di governo. Accadde durante la peste, a Milano nel Seicento, e negli anni Venti del secolo scorso negli Stati Uniti, quando gli errori del presidente Hoover trasformarono una grave crisi finanziaria in una depressione in cui un americano su tre perse il lavoro.
Prima sciocchezza: la crisi dimostra che gli strumenti finanziari che consentono di diversificare il rischio sono il cancro del capitalismo. Non è vero: diversificare il rischio protegge i deboli perché sono i poveri i più esposti alle fluttuazioni dell'economia. Chi soffrirebbe meno se venissero aboliti i mercati finanziari sono i ricchi: un grande proprietario agricolo può usare la sua ricchezza per far fronte ad una cattiva stagione, ma un piccolo coltivatore quando il raccolto va male, può solo tirare la cinghia. Altro che uno strumento per arricchire ancor più i ricchi: i mercati finanziari sono innanzitutto un'opportunità per i poveri. Basta chiedere ad un agricoltore indiano che cosa significa per lui poter vendere il suo prodotto su un mercato a termine e così assicurarsi contro fluttuazioni nel prezzo. Certo, questi strumenti debbono essere regolati e comunque non sostituiranno mai le assicurazioni pubbliche (ad esempio contro la disoccupazione). Ma appunto: regolati, non vietati.La crisi dimostrerebbe la superiorità dell'industria sui servizi, dei sistemi finanziari fondati sulle vecchie banche commerciali anziché sulle banche di investimento. Non e' vero. Ci sono paesi come la Germania che hanno successo con molta «vecchia» industria, altri come il Regno Unito che hanno scelto la strada dei servizi finanziari e per un decennio sono cresciuti più della media europea. Lo sviluppo di un' economia dipende dalla capacità delle sue aziende di innovare, quindi dalla qualità delle sue scuole, dalla capacità di trasformare idee e brevetti in imprese, da una finanza pronta a sostenere imprenditori nuovi, anziché far credito solo a chi possiede un immobile da dare in garanzia. Non esistono ricette buone per tutti, sebbene l'evidenza suggerisca che nei paesi in cui ci sono più banche di investimento nasce un maggior numero di imprese nuove.
«Vincono i Paesi che difendono le proprie aziende e bloccano gli investitori stranieri». Non mi sembra: basta confrontare Alitalia, un'azienda che vogliamo testardamente mantenere italiana, con il Nuovo Pignone che quindici anni fa vendemmo alla General Electric. Poiché poche aziende al mondo sanno costruire turbine e compressori come il Pignone, Ge concentrò le produzioni a Firenze. Oggi quello stabilimento è un centro di eccellenza per la fabbricazione di macchine che un tempo si costruivano in vari stabilimenti della Ge in giro per il mondo ed oggi solo a Firenze.Come si uscirà dalla crisi? Il Congresso di Washington sembra voler ripercorrere la strada seguita all'inizio degli anni '80, al tempo della crisi dell'America Latina, e più tardi dopo il fallimento di molte casse di risparmio: togliere dai bilanci delle banche i titoli che sono all' origine della crisi e sostituirli, sia pure a condizioni penalizzanti, con carta dello Stato, liquida ed affidabile. (Osservo, per chi pensa che gli economisti siano inutili, in particolare quelli italiani, che questa è la proposta che avanzò Luigi Spaventa in un articolo sul Financial Times il 10 aprile scorso).
Può darsi che a questo punto ciò sia inevitabile. Ma non si uscirà dalla crisi finché al sistema finanziario non affluirà una gran quantità di nuovo capitale privato. Dubito che ciò accadrebbe in un mondo in cui la politica diffondesse sfiducia verso il mercato e imponesse regole volte a impedirne il funzionamento. Chi oggi rivendica il diritto della politica di scrivere nuove regole per i mercati finanziari dovrebbe ricordare che fino a poche settimane prima della crisi i politici ritenevano che la maggior area di rischio nei mercati fossero i fondi hedge, una delle istituzioni che ha meglio retto alla crisi. (Corriere della Sera)

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