martedì 2 settembre 2008

L'arte diplomatica di Berlusconi. Raffaele Iannuzzi

Berlusconi il saggio. La crisi georgiana non ha bisogno di muscoli, né di esternazioni da anime belle. Non ha bisogno dei cahiers de doleance della premiata coppia Glucksman-Henry-Levy, i nouveaux philosphes in servizio permanente, anche quando non sono più nouveaux. La partita è difficile e ci vuole coraggio e prudenza. Il coraggio per una Nazione come l'Italia, che ha appena siglato un accordo euro-mediterraneo e si trova appunto nel cuore del Mediterraneo, vuol dire evitare di agire di rimessa, cioè di reagire, dimostrando duttilità e capacità di giudizio strategico.

Berlusconi, a Bruxelles, ha giustamente gettato acqua sul fuoco e si è dichiarato «amico di tutti» e, per ciò, in un certo senso, amico di nessuno, il che vuol dire, amico del proprio Paese. Egli ha giudicato una provocazione inaccettabile l'aggressione dell'Ossezia da parte della Georgia di Saakashvili e, alla replica circa la sproporzione della reazione della Russia, ha domandato quale dovesse o potesse essere una reazione «proporzionata», non ricevendo risposta alcuna.

Il re è nudo: dopo l'errore dell'indipendenza del Kossovo, la frittata è fatta. La legittimazione nella comunità internazionale della Georgia non può essere ottenuta a scapito della Russia, né è possibile pretendere che territori della Georgia come l'Ossezia del Sud, che ha votato nell'ultimo referendum al 97% per l'indipendenza, si senta parte della Georgia, in una scacchiera di pesi e contrappesi imperialistici. Questi sono i dati. Se, ad essi, aggiungiamo che l'Europa non ha politica energetica comune, non ha un esercito ed una politica strategico-difensiva comune, cosa pretendere? Ogni eccesso di zelo in termini di sanzioni nei confronti della Russia rischia di far saltare l'asse degli equilibri internazionali. Yalta non c'è più da tempo, non da oggi, come ha sostenuto Sarkozy. La Russia sa di poter contare su un impianto di egemonia regionale assai compatto e di poter tenere sotto schiaffo l'Europa e gli Usa con eventuali accordi e scambi a base di missili e strategie comuni con l'Iran. Si tratta, certo, di una smoking gun, che vale, però, una piena e solida deterrenza, soprattutto oggi, con l'America in stato di debolezza.

Dunque, Berlusconi si staglia, oggi, per senso strategico e arte diplomatica. Non a caso, con questa posizione equilibrata e ragionevole, perché fondata su una seria analisi dello status quo, il Presidente del Consiglio è riuscito a mitigare la posizione degli inglesi e a rintuzzare le posizioni anti-russe di Paesi come la Polonia, dei Cechi, della Lituania, portando a casa una mediazione al rialzo, che non scontenta nessuno, né la Russia, né gli Stati Uniti. Complexio oppositorum: talvolta, è una posizione che paga. Tenere insieme gli opposti, facendo quadrare il celebre cerchio può servire a creare le condizioni per un futuro di incerta ma contrattabile stabilità, anziché far piombare il mondo in un'altalena di tentati golpe regionali e azioni militari destabilizzanti, in un'area calda e sensibile come l'Asia Centrale, con la Turchia che sta vivendo uno dei momenti più delicati della sua storia. A causa di un nemico comune: il fondamentalismo islamico.

Meglio un Putin ancora filo-occidentale pagando qualche prezzo, che un Putin neoimperialista rivolto ad Oriente, apparentemente a zero costi al tavolo da gioco. Berlusconi è uno statista mediterraneo, con caratteristiche, anche temperamentali, da statista mediterraneo e con la logica che non privilegia l'aut-aut, favorendo, per contro, l'et-et. Lo statista giusto al momento giusto. (Ragionpolitica)

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