lunedì 13 ottobre 2008

Ma non si portano i bambini in piazza. Paolo Granzotto

Ma il Telefono Azzurro, cosa ci sta a fare? Quando la finiranno di trattare i bambini come fenomeni da circo (mediatico), come braccio innocente ma attivo della demagogia? Ci sono le fotografie e i filmati televisivi: la folla che sabato manifestava contro il decreto sulla scuola pullulava di bambini. Qualcuno, come testimoniano le immagini da noi pubblicate, ancora col ciuccio in bocca, ancora in età prescolare. I più grandicelli, buoni al massimo per l'asilo, avevano appeso al collo o inalberavano cartelli che denunciavano «Gelmini ministro della di-struzione» o ironizzavano «Il futuro di Gelmini non fa rima coi bambini». Uno, brandito da una bambina che avrà avuto sì e no sei anni, recitava: «È una proposta classista ».

E il Telefono Azzurro, zitto. E nessuna «coscienza critica della nazione », nessun esponente della società civile, nessuna Alta Autorità Morale, nessuna Unicef, nessuna delle migliaia di Ong o Onlus che affermano d'aver in cima ai propri pensieri l'infanzia e i suoi diritti, apre bocca per denunciare la scandalosa, la ributtante strumentalizzazione di bambini ai quali non solo hanno scippato il girotondo, ma sono trascinati in piazza, a marciare e contestare concetti - la scuola classista! - dei quali giustamente ignorano il significato. Che razza di genitori hanno quelle disgraziate creature? Ma che cos'è questa insana fregola di mobilitare i fanciulli, incolonnarli e farli sfilare una volta per dire no alla mafia, l'altra per dire no alla guerra, l'altra ancora per dire no agli Ogm o alla «scuola classista»? Cos'è questa sconsiderata pulsione a imporre a intere scolaresche di tradurre in disegni - rigorosamente di taglio buonistico, bamboccescamente caramelloso e destinati alla pubblicazione sulla stampa progressista - la loro visione dello tsunami, della carestia nel Bangladesh, del disastro aereo o degli sbarchi dei clandestini?

Non possiamo escludere che qualche genitore col cervello anchilosato per overdose ideologica ritenga che ciò serva a far partecipi i bambini - ovviamente «a livello di presa di coscienza» - di problemi smisuratamente più grandi di loro. O che i loro scarabocchi e la presenza in piazza stia a significare la giustezza d'una causa sottoscritta fin dall' età dell'innocenza. Ma anche in presenza di quella che solo un cervello anchilosato può ritenere una giusta causa, la mobilitazione, la strumentalizzazione, in poche parole lo sfruttamento dell'infanzia resta un comportamento moralmente condannabile. Senza mettere in conto, poi, il ridicolo. «Stiamo dimostrando che la sinistra è viva» gongolava il rifondaiolo Paolo Ferrero riferendosi al corteo contro la Gelmini, «che sta nascendo una nuova soggettività politica». Quella coi Pampers? (il Giornale)

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Quegli insegnanti che imboniscono gli alunni a scopi politici andrebbero denunciati per plagio di minore, per istigazione alla sovversione, nonché per propaganda politica (non ammessa nelle aule scolastiche).
E i Pm stanno a guardare ...
ps
farebbero meglio certi insegnanti a fare con più scrupolo il loro lavoro. A proposito: quando incomincerà Brunetta a introdurre la meritocrazia nella scuola?
Tanto per gli alunni, quanto per gli insegnanti.

Anonimo ha detto...

Giustissimo sig. Granzotto.

I bambini in piazza sono autorizzati solo per il family day.

Devil

Anonimo ha detto...

I genitori che conducono i propri bambini a certe manifestazioni, dimostrano di essere veramente stupidi (nel numero è compreso anche quelli che portano il figlio al family day). Il minore sotto dieci anni non è assolutamente in grado di capire la complessità di certi problemi.
Cambia il discorso nei confronti di presidi e di insegnanti che strumentalizzano gli allievi, li imbottiscono, li plagiano, li ubriacano di slogans insensati, e quel che è peggio nell'orario scolastico (la scuola non è istituita per indottrinare scolari e studenti -elementare Wotson!), per poi scatenarli nelle strade e nelle piazze in funzione antigovernativa (secondo quanto voluto dalle sx).
Facciano sciopero, insegnanti e presidi, ma non coinvolgano scolari e studenti!
Manifestazioni preparate nella scuola, sotto la guida dei professori, accarezzati dall'occhio benevolo di presidi compiacenti, non dovrebbero essere ammesse, per il semplice fatto che tutto questo costituisce un REATO
-propaganda politica a scuola in orario scolastico
-indottrinamento di minori, plagiati, ideologizzati, pilotati, istigati ...
E così come è l'ora di farla finita con le toghe multicolore, con prevalenza rosso, così è l'ora di farla finita con professori che fanno politica in cattedra, nonché con i testi che presentano la storia a senso unico.
Vado avanti?
Per ora mi fermo qui.

Anonimo ha detto...

PS
Come sarebbe l'ora di farla finita (so che predico al vento!) con trasmissioni altamente politicizzate come Anno zero, Ballarò e con tutta spazzatura messa in onda da Rai3.
Sono FASCISTA?
No, sono semplicemente un cittadino che è stufo di pagare l'abbonamento RAI; perché pagando tale abbonamento contribuisco (forzosamente) a finanziare il carrozzone della propaganda di Sx.
Libertà di opinione? Sacrosanta.
Ma la propaganda ognuno se la faccia con i propri mezzi.

Anonimo ha detto...

Se elimini Anno Zero, il federalismo virtuoso (parole dell'On. Della Vedova) del Lombardia call Center di Paternò, dove le vedi su Verissimo? su Voyager? o a Uomini e Donne?.

Devil

Anonimo ha detto...

A me non mi frega "gnente" di dove vado a seguire l'ascolto del federalismo virtuoso di DellaVedova.
Come non mi frega "gnente" di DellaVedova.
Il quale (DV) può andare comodamente a porta a porta oppure all'inferno. Per me fa lo stesso.
In passato ho dato qualche occhiata di sfuggita alle trasmissioni di Santoro (anche prima di Anno zero), cioè anche a quelle sottozero.
Ti confesso che non sono riuscito a stare davanti al televisore più di 5 minuti. Poi ho vomitato.
Ogni trasmissione, di qualunque colore, condotta con quello stile sulla TV pubblica non la ammetto.
Quindi non ammetto "Che tempo fa", non ammetto quella della sera di F Fazio, non ammetto Ballarò, non ammetto i TG3, ...
e non ammetto ogni trasmissione PILOTATA verso un fine propagandistico-politico dichiarato o nascosto o tendenzioso o che altro.
La TV pubblica è di tutti, tutti la paghiamo con tanto di abbonamento (e se non pagassimo il canone pagherebbe lo stato con le nostre tasse) e nessuno ha il diritto di far prevalere le proprie idee su quelle degli altri, sia incensandole, sia demonizzando le idee o l'operato degli altri.
Nella TV pubblica non si fa propaganda né per il governo, né per la maggioranza al potere, né per l'opposizione. SI INFORMA. E BASTA.
Non sto addirittura a ricordare i tempi della gestione Zaccaria, quando con con tutte le reti Rai (mobilitate a tempo pieno) la sx fece una vergognosa propaganda elettorale, alla faccia della così detta da loro stessi "par condicio". Vedi le finte satire di Benigni, di Travaglio & c.ni, della Guzzanti. Ed alla "satira" facevano eco le sparate di Santoro e di E. Biagi. Senza contare i telegiornali tutti con guida a sx.
Caro Devil ti saluto e mi dichiaro il tuo umilissimo servo.
A ben rivederti
ciao
z

Anonimo ha detto...

PS
E veniamo all'informazione al giorno d'oggi
anno di grazia 2008
Berlusconi è il padrone assoluto di tutta l'iformazione televisiva!!!
Almeno a leggerela repubblica e l'Unità.
Apro la finestra e vedo: che vedo?
Mamma mia!!!
Siamo alla dittatura (di Pinochet?)!!!!
Andiamo avanti-

Lasciamo stare le cariche in consiglio di amministrazione rai, che - è un dato di fatto - non influiscono più di tanto sulle redazioni dei tg e sul taglio politico degli stessi. Quello che non può essere messo in discussione, è che rai1 e rai3 (con l'eccezione di Vespa) offrono informazione a senso unico. I telegiornali di rai 2 sia pure in modo più sfumato, privilegiano la sinistra. Venendo alle tv private, Canale 5 ha un telegiornale abbastanza equilibrato, ma tutto il resto (inclusa la satira) è in mano a persone dichiaratamente di sinistra. Italia Uno di informazione ne fa poca. Resta il Emilio Fede (detto anche Emilio Fido; e Santoro come viene soprannominato?). Lo guardano quattro gatti, sono tutti berlusconiani, quindi non fa danni. La 7 è di sinistra. Vi era un parziale riequilibrio con 8 e 1/2 ai (bei) tempi di Ferrara, ma adesso non c'è Più. Sky non è certamente di destra...Dov'è lo strapotere televisivo berlusconiano?
L'ennesimo modo della sx di girare le frittate.

Anonimo ha detto...

PS del PS
Se fossero riusciti ad oscurare rete4 cosa serebbe rimasto dell'informazione?
E rete4 con Walter al governo, sotto gli spintoni di Tonino, sarebbe finita sulla luna.
Ma i compagni avrebbero tuttavia continuato a ripetere fino alla noia che Berlusconi è il padrone di tutte le televisioni e che controlla tutta l'informazione.
Alla faccia !!!! ...

Anonimo ha detto...

Vogliono un altro Sessantotto

Il messaggio lanciato ad amici e nemici è chiaro e semplice: è tornata la piazza. E con la piazza, questa è la deduzione non esattamente aristotelica, è tornata la sinistra. Quella vera, quella tosta, quella dei senza se e senza ma, quella che mette paura e che pur essendo costituzionalmente di lotta all'occasione può accollarsi l'onere d'essere anche di governo. A dare il via ai festeggiamenti per il ritorno della piazza fu Paolo Ferrero, segretario del clandestino partito della Rifondazione comunista. L'11 ottobre, a conclusione del corteo contro le politiche del governo Berlusconi dichiarò, con accenti tenorili: «Manifestazione riuscita al di là delle aspettative! È finita la ritirata dopo mesi di conflitti e congressi». Avrebbe potuto essere più sincero e ammettere che la ritirata era, anzi, è dovuta non alle beghe con Nichi Vendola quanto alla tremenda, definitiva batosta elettorale, ma il sacco comunista è quello e quella farina dà. Comunque sia, le parole di Ferrero hanno galvanizzato la sinistra in ritirata e larghi strati di quella in libera uscita e ora è tutto un festeggiare il ritorno alla piazza come strumento ideologico e dialettico, arma terribile nelle mani delle masse operaie e del proletariato urbano (cosa ne potranno fare, della piazza, i bambini delle elementari che hanno sfilato per salvare la scuola democratica minacciata dal grembiule classista è tutto da vedere. Si dia tempo al tempo).
Che la sinistra si sia storicamente appropriata della piazza facendola una cosa sua, è indubbio. Anche se la Marcia su Roma - che fu una marcia per convergere in una piazza, quella del Quirinale, niente di diverso delle marce per convergere, anni dopo, nella piazza di San Giovanni pavesata di bandiere rosse - consiglierebbe di andarci cauti nell'attribuire le primogeniture. Altrettanto indubbio è, però, che la piazza ha perduto molto del suo smalto e del potere intimidatorio. Un po' perché la si è inflazionata, un po' perché scavalcata dal popolo dei fax, dal popolo degli appelli, dal quello dei blog, da quello del girotondo, per non parlare delle piazze televisive, affollate come neanche Palmiro Togliatti se lo sognava. Che la sinistra-sinistra ne faccia dunque il tardo simbolo della propria identità e che con quella tenti di ringalluzzirsi, di uscire dalla ritirata è, per la sinistra medesima, un brutto segno. Perché significa ammettere di essere drammaticamente a corto di idee, di progetti, di programmi. Di politica. Significa riconoscere che non si può rifondare alcunché sulla polvere di una ideologia spazzata via dal vento della Storia. Ma siccome l'orgoglio di quella sinistra è pari alla sua incommensurabile saccenteria non si danno per vinti e si illudono di ritrovare una ragion d'essere, un ruolo politico in quanto signori delle masse. Scendono in piazza come lo sciupafemmine in disarmo assume il Viagra: per sentirsi, almeno per un'ultima volta, virilmente di sinistra.
PaoloGranzotto

Anonimo ha detto...

L’UNIVERSITÀ DEI SOMARI
di Mario Giordano

Agli esami per magistrati abbiamo scoperto schiere di laureati che riempiono i loro temi di «ogniuno», «comuncue», «l’addove», «un’altro», «qual’è» e «risquotere». Un altro laureato tristemente celebre, Raffaele Sollecito, processato a Perugia per la morte di Meredith, nel suo memoriale scrive: «Il bagno è sporco ho chiesto che venghino a pulirlo». Ricevo il curriculum di una laureata in Scienza della Comunicazione alla Sapienza che si candida a lavorare come giornalista che comincia così: «Denoto un grande interesse per il mondo del giornalismo...». Denoto? Io denoto, tu denoti, egli denota interesse? E vuol fare la giornalista? Sempre meglio della sua collega, pure lei laureata, che ha scritto: «L’attore all’ungandosi verso la finestra...».
E dunque: laureati? O l’aureati? In questi giorni gli studenti di alcuni atenei hanno provato a inscenare proteste. Fallite. In corteo quattro gatti e un megafono, tutti gli altri in classe a studiare. Ma studiare cosa? Quanto? Come? E con che profitto? Cercheranno, nelle prossime settimane, di far montare la protesta anche qui, in facoltà. La sinistra ha voglia di Sessantotto, e il Sessantotto non partì proprio dagli atenei? Il paradosso è che quarant’anni fa la rivolta, che si rivelò sciagurata, cominciava da un principio sano: quello di cambiare un sistema universitario che non funzionava. Ora, invece, chi scende in piazza, quel sistema che non funziona, lo vuole conservare. Ma sì, vuole conservare quest’Università, cioè l’Università dei concorsi bloccati, della parentopoli, degli scandali dei baroni. L’Università delle lauree vendute e dei testi falsificati. L’Università truccata, come rivela in un bel libro della Einaudi, il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi: l’Università che nelle classifiche internazionali finisce dietro quella delle Hawaii, che spende più di tutto il resto del mondo (16mila dollari per ogni studente contro i 7mila degli Usa) ma non dà risultati scientifici né una formazione adeguata. L’Università che, grazie alle sue inefficienze, premia le élite e, contrariamente a quello che si crede, punisce i ceti meno abbienti: solo l’8 per cento degli universitari italiani proviene dalle fasce più basse contro il 13 per cento degli Stati Uniti. Ma non erano i costosi Atenei americani il simbolo dell’anti-democrazia educativa?
Oggi vi raccontiamo l’ultima scoperta: all’Università di Como ci sono 24 docenti per 17 studenti. Un bel record, non vi pare? Ma da qualche giorno il Giornale (e solo il Giornale, come spesso accade) sta denunciando questa strana situazione dei nostri atenei che alzano la voce per lamentarsi dei tagli, dimenticando i loro sprechi. In sei anni le Università hanno moltiplicato i corsi di laurea: da 2444 a 5400. E non tutti utilissimi, si direbbe a prima vista. In effetti oggi si può diventare dottori, tanto per dire, in scienza dell’aiuola, in mediazione dei conflitti, in tecnologia del fitness, in scienza del fiore e in benessere animale. Manca solo il corso di laurea in raffreddore dei suini e quello in filosofia delle oche e poi il quadro sarebbe completo.
Ma poi che sbocchi danno queste facoltà? E chi le frequenta? Tenetevi forte: trentasette corsi di laurea in Italia (dicasi: 37) hanno un solo studente, a questi vanno poi aggiunti altri 66 corsi che hanno meno di sei studenti. Ma vi pare possibile? Tenere in piedi un corso di laurea e relative spese per un unico studente? O per due o tre? E poi le Università si lamentano dei tagli... A Siena hanno collezionato un buco di 145 milioni, non pagano le tasse dal 2004. Poi vai a vedere i bilanci e scopri che, per esempio, l’oculato ateneo spendeva 150mila euro l’anno per affittare alcune stanze di lusso con affaccio su piazza del Campo: inutile tutto l’anno, certo, ma nei giorni del Palio, sai che goduria...
L’Università di Siena utilizza il 104 per cento del suo bilancio per pagare stipendi. 104, avete capito bene: e per tutto il resto? Niente. Nell’ateneo toscano i tecnici sono più numerosi dei professori. E non è un caso unico: a Palermo, per esempio, ci sono 2.103 professori e 2.530 amministrativi, a Messina 1.403 professori e 1.742 amministrativi. La Federico II di Napoli, che nelle classifiche si piazza fra le dieci peggiori università d’Italia, spende il 101 per cento dei suoi soldi per il personale. L’impressione è che anche le facoltà, come la scuola, negli ultimi anni siano stati concepiti più come ammortizzatori sociali che come luoghi di formazione: non si sa se chi esce troverà un posto di lavoro. L’importante è che trovi un posto di lavoro chi resta dentro.
Dunque è vero che ci vorrebbe una protesta. Ci vorrebbe un Sessantotto. Ma per rivoluzionare l’Università, non per tenerla così com’è. E invece oggi assistiamo a questo strano paradosso: si scende in piazza solo per difendere il sistema, anche quando il sistema non funziona. I riformisti nel palazzo e i conservatori nel corteo. Strano, no? Ma nelle università ci sono i nostri migliori cervelli: gente di talento, e anche di buona volontà. Non possono non capire che dietro i luoghi comuni e la lagna per i tagli si nasconde la solita difesa di privilegi, baronie, sprechi e inefficienze, quelli che hanno creato quest’Università di laureati (o l’aureati?) pieni di lacune. O forse lagune. Quelli che ti dicono: vedrete, faremo il Sessantotto e la protesta si estenderà a macchia d’occhio. Sì, a macchia d’occhio. E la gente arriverà in piazza a frottole.

Anonimo ha detto...

Sorpresa: i docenti italiani più ricchi dei colleghi Usa
di Giuseppe Marino

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=299129

Anonimo ha detto...

... un video, finito su Youtube, in cui un baby squadrista di sei o sette anni, teso il braccio fascista, canta:

«Le teste rosse cominciano a cadere / sono tornate le camice nere / sono tornate con spranghe e manganelli / son tornati per l'amor dei miei fratelli / boia chi molla, un grido di battaglia / boia chi molla, là dove si scaglia / questa è la storia di un piccolo fascista / che ammazzò quel bastardo comunista ».

Si dirà, a sinistra e a destra e al centro, che ogni papà ha diritto a educare il figlio come vuole. Contro Mariastella Gelmini o contro i «terroni», contro i sindacati o contro i comunisti. E c'è chi in nome della libertà educativa ha teorizzato perfino l'apertura di scuole di destra per i bambini figli di genitori di destra e di sinistra per i bambini figli di genitori di sinistra. Ma non sarà il caso che, su questo punto, facciano tutti un passo indietro?

Ed ecco perché nella scuola la politica di ogni colore dovrebbe stare lontana.
I bambini debbono essere educati ai valori morali, senza colori di sorta, alla solidarietà umana, senza nessun fine politico.
E soprattuto, fuori i bambini da ogni tipo di manifestazione di carattere politico, religioso, o, peggio ancora, non dichiarato ma tendenzioso.

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

La ringrazio per Blog intiresny