sabato 8 novembre 2008

La cura statalista non salverà Wall Street dalla prossima crisi. Elio Bonazzi

Sono ormai anni che lavoro a Wall Street, nel settore delle tecnologie informatiche ad alto valore aggiunto. Disegno sistemi e basi di dati per quelle che fino a due mesi fa erano le grandi merchant banks americane, le varie Merrill Lynch, Goldman Sachs, Morgan Stanley, etc. Dopo il terremoto finanziario delle scorse settimane non esistono più merchant banks. La Merrill Lynch si sta amalgamando con Bank of America, Goldman e Morgan Stanley sono diventate banche normali, retail banks, quindi soggette a regole molto più stringenti in termini di operazioni finanziarie consentite e controlli, con auditing molto più estesi da parte della Federal Reserve e dai diversi enti regolatori del mercato finanziario.

Gli avvenimenti degli ultimi tempi sono ormai l’unico, monotono argomento di conversazione nei miei vari luoghi di lavoro, tra Manhattan ed il New Jersey, dove ormai si estende l’industria finanziaria in seguito all’attacco dell’11 settembre 2001. Tra addetti ai lavori non possiamo che essere scettici sulle reazioni dei politici, che in preda al panico stanno approfondendo la crisi, piuttosto che alleviarla. Ma procediamo con ordine: le crisi finanziarie non sono certo nuove, la storia pullula di esempi simili, antichi e più recenti. Il classico libro di Charles Mackay, pubblicato per la prima volta nel 1841, tradotto in italiano col titolo "La pazzia delle folle. Ovvero le grandi illusioni collettive", riporta esempi di bolle finanziarie come la "mania dei tulipani", che nell'Olanda del 17esimo secolo mise sul lastrico migliaia di persone coinvolte in uno dei primi esempi di crisi finanziaria del capitalismo moderno. Ornamento fra i più ambiti dai ricchi puritani che non eccedevano in consumi vistosi, il tulipano divenne una moda irresistibile all'inizio del decennio del 1630. Dalla moda alla mania speculativa il passo fu quello di una febbrile accelerazione. Più i prezzi aumentavano, più la gente acquistava col miraggio di una scalata senza fine. Fino a un massimo e al crollo del 1636 - 37. Al culmine della mania speculativa il prezzo più alto per un singolo bulbo fu di ventimila sterline. Quando il reddito annuo di una famiglia olandese era di circa 300 fiorini, al crescere della tulipomania, il "Semper Augustus", uno dei bulbi più rari, passava da 5.500 a 10.000 fiorini. Il crollo dei prezzi, alla fine, fu inevitabile e devastante. Così come fu devastante, tra euforia e panico, l'effetto delle altre crisi finanziarie del capitalismo moderno, diligentemente riportate e spiegate da Mackay nel suo libro, come le contemporanee bolle finanziarie della South Sea a Londra e del Mississippi a Parigi nel 1719 e nel 1720.

Guardando alla storia più recente, negli anni ottanta abbiamo avuto la bolla cosiddetta dei "junk bonds", negli anni novanta quella di Internet. Alla fine degli anni novanta lavoravo in Australia, facendo consulenza per Quest Software, una delle maggiori aziende di software mondiali, tra le prime 50 aziende del settore. La Quest aveva 1200 dipendenti in tutto, tra USA, Australia ed Europa, un personal computer per ogni dipendente, e qualche server, ben più costoso di un PC, ma decisamente non paragonabile al costo di un Jumbo jet. La Quest nel 1999 era più capitalizzata della Qantas, la linea area australiana, che possedeva decine di Jumbo jets, oltre ad aerei di minori dimensioni, ed aveva più di 10.000 dipendenti. Quando facevo osservare il paradosso di un mercato che sopravvalutava a dismisura una Quest e penalizzava pesantemente un pezzo dell' "economia reale" dell'Australia come la Qantas, i miei amici col Master in Business Administration mi guardavano con aria di sufficenza, considerandomi un dinosauro che non capiva come nella nuova economia la proprietà intellettuale era tutto, era un valore che, seppure impalpabile, superava di gran lunga il valore intrinseco dei beni dell'economia tradizionale.
L'aprile del 2000 ha reso giustizia ai dinosauri del mio stampo, spazzando via l'80% del "valore" del Nasdaq durante il dotcom crash. Quando la distanza tra valore percepito e valore reale cresce al di là dei paradigmi del senso comune, la bolla esplode. Non dimentichiamoci di Enron e Worldcom, l’ultima bolla prima dei mutui subprime, esplosa nel 2002. Il caso Enron e Worldcom fu essenzialmente uno scandalo contabile, di bilanci gonfiati e fasulli che aderivano sì alle linee-guida burocratiche della SEC, l’analoga della Consob in Italia, ma che nei fatti fuorviavano gli investitori. Un brillante riassunto di come il Caso Enron e Worldcom abbia potuto assumere dimensioni tali da far tremare i mercati finanziari mondiali è disponibile in italiano, grazie a Massimiliano Neri.

Già nel 2002, in seguito a quello scandalo, si levarono alti gli scudi dei regolatori e degli statalisti, che forti dell’indignazione popolare verso, ancora una volta, quegli sciagurati di amministratori delegati che guadagnano milioni riducendo alla rovina i pesci piccoli (i risparmiatori), chiedevano a gran voce una regolazione più stringente ed un maggiore intervento dello Stato, chiamato a sopperire “alle debolezze intrinsiche del mercato”.

E la risposta dello stato arrivò implacabile alla fine di luglio del 2002, con una legge denominata Public Company Accounting Reform and Investor Protection Act of 2002, ma nota come la “Sarbanes-Oxley”, il senatore democratico del Maryland Paul Sarbanes ed il deputato repubblicano dell’Ohaio Michael G. Oxley, che presiedettero la commissione d’inchiesta divenendo gli sponsor della nuova legge. La “Sarbanes-Oxley” ha formato un nuovo ente, un “controllore dei controllori” – il Public Company Accounting Oversight Board o PCAOB – che supervisiona l’operato dei certificatori di bilanci, ed ha imposto un complicato ed astruso insieme di norme e procedure per l’auditing della finanza aziendale.

La risposta dello stato è, come sempre, una risposta “burocratica” – la formazione di un nuovo dipartimento a spese di Pantalone, e la produzione in triplice copia di documenti che se hanno un senso all’inizio, subito dopo la promulgazione della legge, con l’andar del tempo diviene un rito svuotato di ogni contenuto fattuale. Ma per noi informatici la Sarbanes-Oxley fu tanta manna inviata dal cielo. L’attuazione pratica in azienda delle norme Sarbox ha significato un’espansione considerevole dei budget per la spesa informatica necessaria per essere ritenuti conformi alle direttive della legge. Le basi di dati finanziarie sono state soggette ad uno scrutinio mai visto, la Oracle Corporation ha prodotto un nuovo add-on, chiamato Database Vault, che impedisce la visione delle informazioni contenute nella base di dati anche agli stessi gestori del database, che fino ad allora, avendo accesso privilegiato al database, potevano selezionarne i records e visualizzarli. L’azienda di cui sono Chief Technology Officer ha aumentato il fatturato negli anni che vanno dal 2003 al 2006 di circa il 30-35%, grazie alla maggiore richiesta di servizi informatici generata dalla Sarbanes-Oxley. Io stesso ho curato l’implementazione di Oracle Database Vault in alcune delle grandi merchant banks, lavorando con remunerazioni record. La retorica dei politici in quegli anni era dominata dal messaggio “sappiamo di chiedere un grosso sacrificio alle aziende, ma la contropartita è una tale trasparenza da evitare crack finanziari in futuro”. Le ultime parole famose.

Arriviamo alla crisi attuale. Come era ovvio per gli addetti ai lavori, non c’è Sarbanes-Oxley che tenga, quando una bolla si forma deve scoppiare. Ancora una volta, sono i meccanismi di allucinazione collettiva che dovrebbero essere sotto accusa, non il capitalismo. È dal 2004 che ricevo spam email che annunciano il futuro crash del mercato edilizio e propongono forme di investimento alternativo. La realtà era sotto gli occhi di tutti, non che gli spammer promotori di dubbie operazioni finanziarie alternative fossero particolarmente intelligenti o arguti premonitori dell’andamento del mercato. Ancora una volta, come nel 2002 per il caso Enron, la politica ha le maggiori colpe. È curioso come l’attuale crisi dei mutui subprime non sia stata un argomento da usare dai democratici in campagna elettorale contro il candidato repubblicano. Un attacco di Obama contro i repubblicani che li avesse accusati di essere responsabili per la crisi dei mutui subprime si sarebbe ritorto contro di lui. Fin dall’inizio sia democratici che repubblicani hanno ammesso di avere colpe comuni – molto comprensibile, visto che da parte repubblicana lasciare crescere la bolla finanziaria significava dare il miraggio di un “sogno americano” facile per quella parte di popolazione esclusa dai grandi sgravi fiscali dell’era Bush, e da parte democratica il gonfiare a dismisura enti parastatali come Fanny May and Freddy Mac rientrava nella logica di welfare statalista di cui i democratici sono campioni e promotori. Dal 2004 era chiaro che la bolla era in atto, ma nessuno ha mosso un dito per evitarne le catastrofiche conseguenze. Il prezzo politico da pagare era troppo alto per tutti.

Il pensare che un intervento governativo a Wall Street possa migliorare la situazione è risibile. La risposta statale alla crisi sarà ancora una volta burocratica. Un’ennesima commissione d’inchiesta, che comporterà la creazione di un altro ente – prevedo un nuovo controllore dei controllori, una super-SEC – che emanerà direttive che implicheranno la creazione di documenti e rapporti, che con l’andar del tempo nessuno leggerà, ma che entreranno a far parte dei ritualismi aziendali… fino alla prossima bolla. Che arriverà puntualmente, nonostante i nuovi regolamenti.

Ho già avuto un assaggio della nuova ventata regolativa. Per una delle maggiori banche sopravvissute al terremoto finanziario ho disegnato un sistema informativo che calcola l’esposizione al rischio di ogni posizione di trading. Usando una modellistica finanziaria ultrasofisticata, siamo in grado di calcolare il rischio dovuto a shock di mercato, come il prezzo del greggio a 200 dollari al barile o il crollo del rublo. Simulando scenari “normali”, invece che imporre shocks, siamo in grado di consigliare di disfarsi di posizioni più a rischio e di avere un portafoglio più bilanciato. Questo su un volume di circa 4 milioni di posizioni al giorno. I creatori dei modelli di simulazione hanno almeno un dottorato di ricerca in matematica, e guadagnano cifre che solo il settore privato può permettersi. La SEC, che sta già imponendo la produzione di documenti e rapporti obbligatori in seguito alla recente crisi, si è mostrata molto interessata al sistema, il cui by-product è la creazione di rapporti finanziari che ogni giorno dovranno essere obbligatoriamente forniti all’ente regolatore. C’è tuttavia un problema. Siccome alla SEC nessuno è in grado di capire l’output del nostro sistema, perchè troppo complesso, i diligenti funzionari governativi hanno chiesto, in modo candidamente naïve: “Non potreste darci solo una pagina riassuntiva?”. La domanda stessa tradisce la colossale incompetenza dell’ente governativo. No, non è possible riassumere in una pagina il risultato di una simulazione così sofisticata da richiedere menti matematiche e risorse informatiche non comuni, è come chiedere di riassumere in una pagina il contenuto dell’Enciclopedia Treccani. Sappiamo già come andrà finire. I rapporti giornalieri prodotti dal nostro sistema, che presto diventeranno obbligatori per tutto il settore, andranno a formare una pila su una scrivania di un burocrate che non saprà neppure leggerli, ma che li catalogherà con diligente deferenza burocratica in caso una nuova commissione d’inchiesta ne abbia bisogno.

Se da una parte l’immissione di nuove regole urta la mia sensibilità libertaria, dall’altra me la rido pensando alle nuove opportunità per me e per la mia azienda. In controtendenza con il resto del mercato a New York, siamo già in espansione; il nuovo grosso business, per il momento, è l’integrazione dei sistemi informativi in seguito alle fusioni delle grandi banche, per esempio Merrill Lynch e Bank of America. Ma è solo l’inizio – anticipiamo una espansione ancora maggiore quando le banche sopravvissute alla crisi finanziaria dovranno ricorrere ai nostri servizi di supporto informatico per ottemperare alle nuove regole burocratiche che indubbiamente seguiranno il bailout.

Così come i monatti, che immuni alla peste durante le grandi epidemie dal medio evo al seicento, lucravano sulle sfortune altrui, facendosi pagare lautamente per portare i malati al lazzaretto ed i morti al cimitero, noi, monatti del 21esimo secolo, prosperiamo, nostro malgrado, sulle miserie indotte dallo statalismo e dalla frenesia regolamentativa, pur sapendo in anticipo che il frutto del nostro lavoro non servirà ad impedire la prossima bolla; servirà soltanto a dare un fallace senso di sicurezza al cittadino medio, rassicurato dai politici sull’impossibilità di un nuovo crollo, “adesso che il governo ha finalmente sotto controllo Wall Street”. Sembra un déjà vu che si ripete e si perpetua senza mai destare il dubbio che la ricetta statalista provoca solo sprechi e burocrazia aggiuntiva senza mai risolvere il problema. (l'Occidentale)

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