martedì 4 agosto 2009

A Bologna la strage continua. Davide Giacalone

Potremmo fissare al 2 agosto la ricorrenza nazionale della guerra civile, con annessi festeggiamenti dell’ottusità e della faziosità. Ogni anno, quel giorno, si corrompe la storia e si ripete lo stanco rito dello scontro fra fantocci, che s’immaginano protagonisti e sono, invece, comparse secondarie. L’anno prossimo saranno trent’anni, da quando una bomba fece strage di vite innocenti, mietendo 85 morti alla stazione di Bologna. Da allora ad oggi non s’è fatto un solo passo in avanti.
La vicenda giudiziaria è chiusa, condannando all’ergastolo i fascisti che posizionarono la bomba. Ma la sentenza non regge. Somiglia ad un atto notarile, che assevera la pista nera, fin da subito indicata come l’unica politicamente digeribile. Con una doppia ingiustizia: i condannati sono colpevoli di altri, gravissimi, reati, ma non di questo; in compenso sono liberi, dopo avere scontato una pena che, all’evidenza, non è quel che nel vocabolario si chiama ergastolo. E dato che la sentenza è sbilenca, al punto da mancare del movente, la mitologia vuole che la strage sia fascista ed i mandanti occulti, vale a dire annidati nello Stato e nei servizi segreti, manco a dirlo “deviati”.
Così, ogni anno, si monta il palco e si da fiato alla retorica del quasi nulla, ma sempre inscenando la commedia della guerra civile: un presunto popolo che invoca giustizia contro i fascisti, e presunte autorità che dovrebbero sentirsi in colpa perché ancora coprono l’orrenda trama che costò tante vite. Le autorità sono presunte, e fasulle, perché se fossero realmente tali riuscirebbero a capire che trenta anni dopo, se si vuol fare qualche cosa di utile, non si aspetta il 2 di agosto, ma si aprono gli archivi. Se, come penso, non si possono aprire, giacché quello fu uno degli episodi che stanno dentro la storia della guerra fredda, ed anche del doppiogiochismo italico, ugualmente non si aspetta il 2 agosto, si parla prima e dopo, ma si tace il giorno della commemorazione.
Anche il popolo, però, non scherza, in quanto a passione per la realtà taroccata. Oggi tengono banco le proteste per il ritorno in libertà dei condannati, ma che senso ha pensare che la memoria dei morti sia maggiormente rispettata se in galera rimangono quelli che non c’entrano ed a spasso restano quelli che li hanno ammazzati? Non solo i parenti delle vittime, ma la società civile tutta dovrebbe reclamare un verdetto che somigli un po’ di più alla verità, non incaponirsi a ritenere sacra una falsità. Certo, è giusto pure reclamare la certezza della pena, ma, anche qui, vale la pena osservare che ai due assassini fascisti è stato riservato un trattamento rigoroso sconosciuto nel caso di altri appartenenti a bande armate, che “pentendosi” hanno ripreso in fretta la vita da liberi. E sconosciuto ad altri carnefici, spesso protagonisti di storie brutali.
Fioravanti e Mambro se la sono meritata tutta, la galera che hanno fatto, ma la loro condotta processuale è stata lineare, il loro racconto non s’è deviato per cercare benefici. Le loro parole sono state convincenti, mentre è la coscienza collettiva a mostrarsi reticente. Maniacalmente appiccicata a verità di comodo.
Siccome la commedia si ripete sempre uguale, sorge il dubbio che i protagonisti ne godano, riaffermando ciascuno la propria identità. E’ doveroso, quindi, avvertire che tanto chi sale sul palco per non dire niente, quanto chi fischia senza avere niente in testa, compartecipano dell’insulto alla memoria. Sia quella collettiva, storica, che quella dei morti.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Segnalo a Minnanom, Mauroc e vc che ho messo un ultimo commento a http://centrodestra.blogspot.com/2009/07/psicopatologia-del-no-global-per.html

Segnalo poi, riguardo all'argomento di questo post, questo sito:
http://www.cielilimpidi.com/

buona giornata

Luigi

Anonimo ha detto...

UN AGGHIACCIANTE ARTICOLO-DOCUMENTO DI CIRINO POMICINO SULLE STRAGI DI MAFIA - “VIOLANTE, ENZO SCOTTI, ARLACCHI SU CAPACI E VIA D’AMELIO GIOCANO CON L’OBLIO DEL TEMPO” - “Non ci sto” DI SCALFARO NON legato ai fondi neri Sisde MA alLA trattativa mafia-Stato - L’ACCORDO FU TRA MAFIA E UNA PARTE DELLA POLITICA CON SERVIZI ITALIANI E STRANIERI - Falcone STAVA indagaNDO sull’uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro del Kgb

In queste settimane siamo stati travolti da un effluvio di interviste sulle stragi di via D'Amelio e di Capaci in cui morirono Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, piene di ricordi sbiaditi che non fanno onore alla verità storicamente accertata.

Luciano Violante, Enzo Scotti, Pino Arlacchi, Oscar Luigi Scalfaro giocando nell'oblio del tempo hanno detto cose che non stanno né in cielo né in terra. A cominciare dal famoso «Non ci sto» scalfariano legato ieri ai fondi neri dal Sisde e oggi, invece, collegato al rifiuto di una trattativa tra mafia e Stato.


La riapertura delle indagini della Procura di Caltanissetta sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino ha dato il via a una sarabanda di ricordi falsi, naturalmente in buona fede, che rischiano ancora una volta di allontanare la verità che molti sanno e che per paura non dicono diventando così complici di chi tradì la Repubblica a cavallo degli anni Novanta.

Per consentire a ciascuno dei lettori di farsi una propria opinione è bene ricordare i fatti storicamente accertati:

1) sono stati sempre noti i collegamenti negli anni '89-‘93 tra alcuni gradi dei servizi italiani e stranieri e alcuni mafiosi. Dal rapporto riservato e non autorizzato con Totuccio Contorno del prefetto Domenico Sica e del capo della Criminalpol Gianni Di Gennaro, agli uomini che visitarono nel carcere inglese di Full Sutton il mafioso Francesco Di Carlo per chiedergli indicazioni sui possibili killer per uccidere Giovanni Falcone sino al rapporto con Vito Ciancimino del generale de i carabinieri Mario Mori.

Mentre nel primo e nel terzo caso i rapporti possono inquadrarsi in un lavoro di intelligence per colpire la mafia, nel secondo caso, quello del pentito Di Carlo, gli obiettivi erano di natura mafiosa;

2) nel settembre del 1989 il decreto legge Andreotti-Vassalli allunga il periodo di carcerazione preventiva agli imputati di associazione mafiosa. Il vecchio Pci con Violante fa una tremenda requisitoria contro il governo e vota contro;

3) alla fine dell'estate del ‘90, secondo gli accertamenti del pm di Caltanissetta Luca Tescaroli, c'è un contatto tra alcuni capi mafiosi (Totò Riina o Bernardo Provenzano) e un non meglio identificato agente istituzionale per discutere della reazione stragista alla legislazione antimafia dell'epoca;

4) nello stesso anno, Francesco Di Carlo riceve nel carcere inglese di Full Sutton un agente dei servizi siriani, tal Nazzar Hindaw, insieme a quattro persone, tre mediorientali e un italiano. Questi gli chiesero di indicare qualcuno che poteva aiutarli a uccidere Giovanni Falcone. Di Carlo fece il nome di Antonino Gioè, che infatti partecipò alla strage di Capaci, fu arrestato e un mese dopo fu trovato impiccato nel carcere di Rebibbia;

Anonimo ha detto...

5) il 23 dicembre ‘91 viaggiano casualmente sullo stesso volo Roma-Palermo Luciano Violante e Giovanni Brusca, già all'epoca noto mafioso;
borsellino

6) tre mesi dopo il piemontese Luciano Violante fu capolista a Palermo del vecchio Pci nelle elezioni politiche del 1992 e in quella occasione nasce il movimento della Rete di Leoluca Orlando, che prende in Sicilia il 9% salvo a sparire qualche tempo dopo;

7) il 5 marzo 1992 c'è l'omicidio di Salvo Lima;

8) il 17 marzo 1992 Vincenzo Scotti, ministro dell'Interno, allerta le prefetture di tutta Italia preannunciando un piano di destabilizzazione istituzionale. Questo piano prevedeva attacchi mafiosi e indagini giudiziarie su tutti i leader dei partiti di governo. Quarantotto ore dopo Scotti si rimangia tutto davanti alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato;

9) il 23 maggio1992 Falcone e la sua scorta saltano in aria;

10) ai primi di luglio ‘92, uno scritto anonimo inviato a tutte le autorità descriveva tutto ciò che poi sarebbe accaduto nei mesi successivi sugli attacchi mafiosi, sulle indagini di Tangentopoli e sull'impunità dei mafiosi pentiti;

11) il 19 luglio '92 Borsellino e la sua scorta saltano in aria in via D'Amelio;

12) nel settembre ‘92 a casa Scotti, non più ministro, il capo della polizia Vincenzo Parisi e il capo di stato maggiore dell'arma dei carabinieri, generale Domenico Pisani, confermarono al neoeletto segretario della Dc Mino Martinazzoli la veridicità dell'informativa del marzo precedente per la quale lo stesso Scotti prima aveva allertato le prefetture e poi ne aveva smentito il valore;

13) nel gennaio del ‘93 viene arrestato Totò Riina;

14) nella primavera del ‘93 arrivano le bombe mafiose di Milano, Firenze e Roma e subito dopo i programmi di protezione incominceranno a scarcerare mafiosi, camorristi e 'ndranghetisti (oltre 3 mila nei dieci anni successivi) così come aveva previsto il documento anonimo del luglio ‘92.

Ultimo dato da ricordare. Pochi giorni dopo la sua morte, Giovanni Falcone doveva incontrare, come è documentato da un telex alla Farnesina, Valentin Stepankov, procuratore generale di Mosca che indagava sull'uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro nella disponibilità del Kgb, molti agenti del quale gironzolavano indisturbati per mezza Europa.

Questi alcuni fatti.
Adesso un'opinione, una considerazione e un consiglio. L'opinione. La tenaglia fra stragi mafiose (Falcone, Borsellino) e inchieste giudiziarie sui finanziamenti ai partiti di governo ha scansioni temporali e obiettivi troppo simili per non immaginare un "oggettivo" coordinamento tra di loro che produsse effetti devastanti sul sistema politico italiano.

L'accordo, infatti, non fu tra mafia e Stato, ma tra mafia e una parte della politica con l'aiuto di uomini deviati dei servizi italiani e stranieri e delle forze dell'ordine come si leggeva sul documento anonimo del luglio 1992 che Violante imputò ai carabinieri (se fosse vero, ancora una volta l'Arma avrebbe tentato di aiutare la Repubblica).

La considerazione.
È molto strano che solo dopo 17 anni Violante dichiari che Ciancimino voleva parlare con lui come gli avrebbe detto il generale Mori. È vero il contrario. Fu Violante a chiedere a Mori di voler sentire alcuni mafiosi tra cui Ciancimino, come dimostrano i verbali del 29ottobre 1992, nell'ambito dell'indagine mafia-politica. Violante era presidente dell'Antimafia e capogruppo Dc in quella Commissione era Vincenzo Scotti.

Il consiglio.
Le forze politiche abbiano un sussulto di orgoglio e varino una Commissione parlamentare di inchiesta su quegli anni in cui la Repubblica fu tradita e certi servitori dello Stato, come Falcone e Borsellino, pagarono con la vita la lealtà verso la nostra democrazia. E si faccia presto perché annusiamo sotto vento che è in preparazione un altro furibondo attacco alle istituzioni che presiedono alla legalità repubblicana con complicità attive e omissive impensabili e di cui presto torneremo a parlare.