martedì 20 ottobre 2009

L'estremista, il fazioso e il pluralista. Angelo Panebianco

Viviamo in una fa­se, simile ad al­tre della nostra storia, di incana­glimento della lotta politi­ca, siamo immersi in un clima di guerra civile vir­tuale. Siamo, pur con i no­stri difetti, una democra­zia ma rispettabili pensa­tori di altri Paesi, aizzati da demagoghi nostrani, vengono a spiegarci che viviamo sotto una dittatu­ra. Abbiamo un dibattito pubblico apertissimo ma c’è chi racconta che la li­bertà di stampa è minac­ciata. Alcuni parlano del­­l’Italia come se si trattas­se dell’Iran o della Birma­nia. Abbiamo libere e re­golari elezioni ma una parte non esigua degli elettori dello schieramen­to sconfitto non ricono­sce la legittimità del go­verno in carica (ma la stessa cosa facevano certi elettori dell’attuale mag­gioranza quando governa­vano i loro avversari).

E’ in questi momenti che conviene tornare ai «fondamentali»: che co­sa permette a una demo­crazia di sopravvivere? Di quali virtù o qualità deve essere dotata la cittadi­nanza democratica? La de­mocrazia è un regime mo­derato. Ha bisogno che a guidare i governi siano sempre forze moderate, di destra o di sinistra, e che le componenti estre­miste siano tenute a ba­da. Ma perché ciò accada occorre che, fra i cittadi­ni, prevalgano certi atteg­giamenti anziché altri. Nelle democrazie, in tut­te, la maggioranza dei cit­tadini ha interesse nullo, scarso o sporadico per la politica. E’ sempre una minoranza, magari consi­stente ma pur sempre mi­noranza, a seguire con continuità le vicende poli­tiche. Sono gli atteggia­menti prevalenti in que­sta minoranza a dettare tono e qualità della demo­crazia.

Sono tre i tipi umani che più frequentemente si incontrano in tale mi­noranza: l’estremista, il fa­zioso, il pluralista. Li indi­co nell’ordine che va dal meno al più compatibile con la democrazia. Gli estremisti veri e propri, così come qui li intendo, sono (fortunatamente) sempre pochi, anche se rumorosi e, spesso, peri­colosi. La loro presenza dipende da certe caratteri­stiche della politica, dal fatto che la politica, più di qualunque altra attivi­tà umana, si presta ad es­sere il luogo in cui si pos­sono scaricare le frustra­zioni personali. Per l’estremista la politica è una grande discarica nel­la quale egli getta la parte peggiore di sé. L’estremi­sta è uno che odia. Odia se stesso in realtà ma tra­sforma l’odio per se stes­so in odio per il «nemico politico». La politica, da­ta la sua natura competiti­va e conflittuale, si presta bene per questa operazio­ne. Lo sventurato giovane che su Facebook si è chie­sto perché nessuno abbia ancora ficcato una pallot­tola in testa a Berlusconi è una vittima del clima che gli estremisti alimen­tano (per inciso, quel brutto incidente potreb­be essere la sua fortuna: se non è uno stupido ri­fletterà, capirà che un uo­mo è tale solo se pensa con la sua testa, se non si fa comandare o suggestio­nare dal clima dominante negli ambienti che fre­quenta).

Poi c’è il fazioso. A differenza dell’estremi­sta il fazioso, come qui lo intendo, non è un caso psichiatrico. Però è spaventato dalle opinioni in contrasto con la sua. Nei mezzi di comunicazione cerca più conferme ai suoi pregiudizi che informazioni o dibattiti di idee. È rassicurato dall’idea che esista, in materia di politica, la «verità», unica, chia­ra, indiscutibile, e che egli, essendo onesto e intelligente, la conosca. Per lui, quelli che non vogliono accettare la verità in cui egli crede sono disonesti o stupidi.

Il fazioso teme lo stress che gli procure­rebbe il riconoscimento che il mondo è dav­vero complesso e ambiguo. Ha bisogno di contare su un quadro di certezze: di qua il bene, di là il male. Un grande economista, Joseph Schumpeter, diceva che spesso eccel­lenti persone, brave nel loro mestiere, sono in grado di parlare con competenza e matu­rità dei problemi della loro professione ma regrediscono all’infanzia appena comincia­no a parlare di politica: il Bene, il Male, le fate e gli orchi, gli sceriffi col cappello bian­co e i banditi col cappello nero. Il fazioso, essendo spesso tutt’altro che stupido, vive con patimento la sua contraddizione: la coe­sistenza, in lui, dell’orrore per le opinioni di­verse dalla sua e del riconoscimento della necessità del pluralismo delle opinioni in una democrazia.

C’è infine il pluralista. Accetta il fatto che il mondo sia complesso e, dunque, che non ci sia, sui fatti contingenti della politica, una Verità acquisita per sempre. Accetta che il problema sia, ogni giorno, quello (fati­coso) di impadronirsi, confrontando le opi­nioni e riflettendo sui fatti, di quel poco di precarissima «verità» che si riesce ad affer­rare. Senza abdicare alle proprie convinzio­ni più profonde non teme di ascoltare pare­ri diversi. Pensa che, se sono ben argomen­tati e presentati con garbo, possano anche arricchirlo.

Quanto più nella minoranza che si inte­ressa con continuità di politica prevale il ti­po pluralista, tanto più la democrazia è sal­da e sicura. Non è questione di destra o sini­stra o, attualmente, di berlusconiani e anti­berlusconiani. Ci sono faziosi e pluralisti di ogni tendenza. Ad esempio, la differenza fra un fazioso antiberlusconiano e un plura­lista antiberlusconiano è che per il primo Berlusconi è il nemico mentre per il secon­do è solo un avversario.

C’è poi la questione dell’uovo e della galli­na. Ci sono fasi in cui, entro la minoranza che segue la politica, i pluralisti si trovano in difficoltà e sembrano quasi soccombere di fronte alla prepotenza dei faziosi (sempre seguiti da un imbarazzante codazzo di estre­misti). È difficile stabilire se in quei momen­ti i faziosi prevalgono perché aizzati dalle ur­la di furbi demagoghi o se, invece, i furbi demagoghi hanno successo a causa dell’esi­stenza di una folta pattuglia di faziosi. (Corriere della Sera)

1 commento:

Anonimo ha detto...

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