venerdì 16 ottobre 2009

Partito delle toghe e toghe di partito. Davide Giacalone

Ho letto di un Luciano Violante che riflette sui guasti della giustizia e sul corporativismo dei magistrati, prendendo le distanze dall’Associazione Nazionale Magistrati. La notizia è presentata come una specie di conversione, o, almeno, inversione di marcia. Si tratta, in realtà, di recensioni preconfezionate, di una lettura assai superficiale di un suo libro, “Magistrati”. Violante è uomo di grandi responsabilità e solida intelligenza. Quel che oggi scrive non è diverso da quel che ieri fece, sicché non gli è contestabile l’incoerenza, né riconoscibile l’evoluzione. Più semplicemente, ha preso le misure del mostro cui una politica dissennata ha dato vita. Ha davanti le proprie stesse colpe, che gli incutono timore, al punto da cercare di cambiare le carte in tavola.
Violante fu giovane magistrato, a Torino, da dove emerse quale uomo di riferimento del Partito Comunista nel mondo della giustizia, fino a divenire il non occulto regista della politicizzazione dei magistrati. Certo, lo fece con grandezza. Non ambiva alla carriera, puntava allo Stato. Non disdegnando, nel frattempo, il far carriera. E’ giunto ad avere un potere enorme. Ha prima fatto fuori Giovanni Falcone e poi messo al suo posto un proprio sodale, Giancarlo Caselli. Oggi fa finta di scandalizzarsi per quanti avversarono Falcone, e fa finta di raccontare che prevalse il criterio dell’anzianità, nella scelta del capo della procura di Palermo. Bubbole, furono lui ed Elena Paciotti, prima presidente dell’Anm, poi membro del Consiglio Superiore della Magistratura, infine parlamentare europea eletta dai comunisti, a silurare quello che oggi ricordano bugiardamente. Il suo potere lo portò ad indicare la via per processare Giulio Andreotti, lasciando il lavoro perdente a Caselli, dopo che l’operazione politica era conclusa. Alla fine del percorso, però, anche Violante ha perso, il mostro gli si è rivoltato contro, e la sconfitta cominciò alla procura di Milano, durante l’inchiesta Mani Pulite. Datemi qualche minuto, perché questa è una storia interessante.
Lui lo dice con parole diverse, ma nel libro si allinea ad un’interpretazione che noi sosteniamo da anni: la deviazione cominciò con la lotta al terrorismo. Fu in quell’occasione che la politica firmò una delega in bianco alla magistratura. Offrì uno strumento importante, il reato di “banda armata”, che consentiva un enorme potere discrezionale nel mettere e tenere in galera. I magistrati di sinistra furono i più attivi, meritoriamente. Al terrorismo seguì la mafia, anche in questo caso mediante l’approntamento di un’arma impropria: il reato di “associazione di stampo mafioso”, che, accompagnata dal “concorso esterno”, consentì ai magistrati di inquisire e rovinare, quando non ingabbiare, chiunque. Nel biennio 1992-1994 la magistratura s’era già trasformata da ordine in potere, aveva già affermato la propria indipendenza dalla legge scritta, e ritorse le due deleghe passate contro il delegante, cancellando parte del mondo politico. Violante, che aveva costruito ed accudito le prime due violazioni, rizzò subito le orecchie. La vecchia scuola leninista s’avvide di un pericolo che sfuggiva all’Italia stracciona e vociante: l’usurpazione della politica.
Non è un caso che Violante ricordi il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati (1987), per sottolineare che il Pci si espresse a favore, contrastando l’interesse corporativo delle toghe. Lo fece a ragion veduta, perché Violante non è mai stato favorevole al partito dei magistrati, semmai ai magistrati funzionali all’interesse del partito. Il suo. Cade, però, in contraddizione, quando afferma che cinque anni dopo gli italiani erano tutti dalla parte della magistratura, e lo erano da tempo. Al citato referendum avevano votato in massa (80,20%) contro l’irresponsabilità giudiziaria!
Veniamo al punto fondamentale. Violante non fa una piega, nel ripetere che i partiti democratici della prima Repubblica caddero a causa del loro finanziamento illecito. E, ancora una volta, dimentica di dire qualcosa su quello del Pci. Ma ricorda che già allora, nel 1993, aveva avvertito l’intollerabilità di un “governo dei giudici”. Solo che si mantiene sul teorico, omette l’analisi politica: al contrario di quel che era avvenuto con terrorismo e mafia, quella volta i magistrati non erano i suoi. Francesco Saverio Borrelli era stato appoggiato dai socialisti. Antonio Di Pietro è considerato di sinistra solo da chi non sa cosa la sinistra dovrebbe essere. Gerardo D’Ambrosio salvò il Pci (che poi lo portò in Parlamento), ma non aveva in mano le indagini. Violante capì subito il pericolo, cominciando a denunciare l’“alterazione dei rapporti”.
Fino a quel momento l’opera di Magistratura Democratica e di Violante era stata diretta ad assumere la Costituzione come unica guida, profittando della indeterminatezza declamatoria (e cattocomunista) di non pochi articoli e, quindi, piegando l’interpretazione giuridica agli interessi di parte. Una deviazione profonda e pericolosissima, che, però, fu assecondata, trovando solo in Cassazione qualche residua resistenza (sicché provvidero a far fuori, sempre per via giudiziaria, chi in quella sede s’opponeva). Ma il rito milanese si discostava da quell’andazzo, e sebbene portasse benefici ai ribattezzati comunisti, conducendo lo stesso Violante a presiedere la Camera dei Deputati, non di meno non erano più loro a tenerne la guida, ma le non rosse toghe di quella procura.
Preso atto della sconfitta politica, pertanto, Violante passa ad avvertire dei pericoli connessi, compresa la degenerazione dell’Anm e del Csm. Ha perfettamente ragione, ma limitarsi a descrivere questa, omettendo il resto, può farlo solo chi ha una vocazione alla falsificazione, o una naturale propensione all’ignoranza ed al luogocomunismo. Noi conosciamo i nostri polli, e ricordiamo la loro marcia contro il diritto.

2 commenti:

acchiappabufale ha detto...

Ecco il significato vero della bufala del times di murdoch (alleato di de benedetti) contro l Italia.

Londra sputa sui morti per colpire l’Italia

Dal pettegolezzo alle mazzette ai talebani. Il Times alza il tiro contro l’Italia. E l’Italia si arrabbia. Tace Berlusconi, non il ministro della Difesa La Russa che parla di «spazzatura», smentisce categoricamente di aver pagato i guerriglieri fondamentalisti per scongiurare attentati contro i militari italiani impegnati in Afghanistan e annuncia una querela contro il quotidiano inglese, non fosse che per onorare la memoria dei nostri militari caduti.
E la guerra continua, in Afghanistan, ma anche in Europa. Una guerra insolita, mediatica, ma implacabile, che i media inglesi, guidati proprio dal Times, hanno scatenato contro il Cavaliere, da quando, in maggio, è scoppiato il Sexgate. Articoli su articoli, ogni giorno, instancabilmente. Per intenderci: anche i giornali francesi, spagnoli, tedeschi hanno dato ampio conto degli scoop rosa sul Cavaliere. Nulla di sorprendente. Le avventure dei politici, da sempre, fanno salire vendite e audience. Ma il giornalismo ha le sue regole: una notizia, per quanto pruriginosa, dopo un po’ stufa. E infatti francesi, spagnoli, tedeschi hanno iniziato ad occuparsi di Berlusconi a intermittenza, solo quando l’attualità offriva spunti perlomeno plausibili. I quotidiani britannici, invece, hanno continuato a martellare quotidianamente, come se si trattasse di una questione fondamentale per i destini del Regno Unito. Davvero i lettori inglesi fremono ogni mattina per conoscere le ultime sconvenienti notizie sul nostro Paese? C’è da dubitarne.
E ora il tormentone assume una nuova dimensione ambigua, misteriosa, pericolosamente più alta. Il Times non si è limitato a riprendere Repubblica o a pubblicare l’ennesimo editoriale infuocato, ha agito in proprio, pubblicando un’indiscrezione molto sensibile, che certo non si è procurato da solo.
Le accuse sui pagamenti ai talebani portano le stigmate dei servizi segreti, britannici o forse americani, che non fanno mai uscire a caso certe dritte. Perseguono uno scopo preciso e siccome è inverosimile che si propongano di indebolire l’alleato italiano sul terreno in Afghanistan, danneggiando tutta la Nato, le ragioni vanno cercate altrove.
Chiunque abbia passato l’indiscrezione - che La Russa ha bollato come spazzatura - voleva verosimilmente rafforzare un’operazione per screditare non più solo il Cavaliere, ma l’intero Paese, indebolirlo agli occhi del mondo, renderlo più docile.
Ci avevano già provato all’Aquila in luglio, quando il Guardian diffuse la voce, dimostratasi falsa, che l’Italia stava per essere espulsa dal G8. All’epoca, verosimilmente, la fonte era governativa con l’intenzione di lanciare un avvertimento. Ora il gioco è più pesante. Crea malumore, diffidenza con l’intelligence italiana, come non dovrebbe mai accadere tra Paesi davvero amici e lascia intravedere un’offensiva che non è più solo mediatica, ma che si intreccia con interessi politici e finanziari.
Qualcuno pensa che si tratti di una vendetta di Rupert Murdoch, furioso con Berlusconi per l’aumento dell’Iva dal 10 al 20% sugli abbonamenti Sky e la creazione di un nuovo pacchetto satellitare con Rai e Mediaset. E infatti il più ostinato censore del Cavaliere in questi mesi è stato il Times, che appartiene alla scuderia della News corporation.

acchiappabufale ha detto...

L’ipotesi è plausibile, ma forse riduttiva. Sembra esserci altro.
Passata la paura del grande crash finanziario, stiamo entrando in una fase di rinnovamento degli assetti internazionali. C’è Obama a Washington; tra poco entrerà in vigore il Trattato di Lisbona, che darà una nuova fisionomia all’Unione europea, il G8 è morto ed è stato sostituito dal G20, mentre bisogna ancora definire le regole della finanza internazionale e di un mondo sempre più multipolare.
In questo contesto l’Italia appare un’anomalia. Un certo mondo anglosassone, che sembrava essere stato affossato dalla crisi di un anno fa e che invece è risorto più forte di prima, non ama Berlusconi e nemmeno Tremonti, troppo anticonformista. Non tollera più che l’Italia giochi su più tavoli, amica degli Usa ma anche della Russia, di Israele ma anche del mondo arabo. Non apprezza la sua ostinazione nel far sentire la propria voce nelle sedi internazionali.
Il nostro ministro del Tesoro pretende la presidenza dell’Eurogruppo. Male, perché la sua nomina impedirebbe la candidatura del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi alla testa della Banca Centrale europea, graditissima a New York e alla City londinese e lanciata da un giornale americano, il Wall Street Journal, che curiosamente è controllato proprio da Rupert Murdoch. Coincidenze, che si intrecciano con la corsa di Blair alla presidenza dell’Unione europea, e altre vicende, manovrate chissà da chi e chissà dove, ma con un obiettivo ormai evidente: ridimensionare l’Italia.

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