mercoledì 25 novembre 2009

Faccia parlare i dati ufficiali. Paolo Pillitteri

E meno male che si è corretto, il Cav. Avrebbe voluto, fortemente voluto, parlare agli italiani di Giustizia col classico meneghino “Adès ghe pensi mi!”, ma poi ha cambiato target, l’ha allargato: parlerà agli italiani, non appena rientrerà dal tour arabo. Meglio così. E, visto che siamo in argomento, ecco un’idea, un’ideuzza: invece che il Premier, parlino, di (mala)giustizia, i dati, le cifre ufficiali, i servizi dei suoi (cioè del Cav) potenti canali televisivi che spesso imperversano sui processi in fieri, da Cogne a Garlasco a Gradoli e altrettanto spesso si affidano al doppiaggio interpretativo - copiando male Santoro&Ballarò&Vespa - delle intercettazioni. Già, che fine ha fatto la legge? Le cose sono ancora come prima, come ai tempi di De Magistris/Woodcock, o no? Ebbene, basterebbero delle puntate Tv, svelte e realistiche, informate senza sbavature iniziando non dall’inizio (un quindicennio di persecuzioni, vere, dei Pm, i pentiti contro il Cav ecc.) ma dalla fine: dalle carceri, dall’inferno carcerario di cui i Radicali, e Radio Radicale, sembrano rimasti gli unici, valorosi, solitari testimoni a denunciarne l’apocalisse quotidiana come risultato dello sfascio generale della giustizia. Abbondano i casi, purtroppo. E intanto, sulle immagini del povero Cucchi, morto “misteriosamente” in quelle carceri dove i tossici sono quasi la metà della popolazione, e invece dovrebbero starsene fuori, in una comunità di recupero, si fanno scorrere i dati, le cifre nude e crude: nove milioni di processi da smaltire, l’Italia peggio dell’Angola, Gabon e Guinea. Per recuperare un credito in un processo civile occorrono 1210 giorni rispetto ai 331 di Francia. Le prescrizioni fatte dai Pm sono 170 mila all’anno, un’amnistia di massa ma solo per chi può pagarsi l’avvocato (il processo breve va bene se lo decidono lor signori Pm). Il costo processuale da noi è il più caro d’Europa. I giudici lavorano in media quattro ore al giorno, la produttività cala di anno in anno, i loro stipendi sono più o meno gli stessi dell’Europa e il loro numero è nella normalità, di poco superiore alla media. Fine prima puntata, che annuncia gli interventi dei Pm Ingroia, Spataro e Palamara, contro il processo breve e contro il Cav, e altre cifre da capogiro. Nella seconda puntata, premesso che per i giudici tutti la colpa della crisi e dei ritardi della giustizia è sempre del governo e mai loro, un bravo doppiatore rilegge, comme il faut, le dichiarazioni di Ingroia: “Le istituzioni sono state occupate dagli interessi privati. Tra la prima e la seconda Repubblica, quindi, è saltato qualsiasi ruolo di mediazione.

Mi allarma e mi preoccupa. Ci troviamo di fronte ad una sistematica demolizione dello Stato...In Italia c’è un’emergenza democratica...”. Mentre sfuma la voce, emergono altri dati e cifre: cause penali giacenti in primo grado per omicidi, rapimenti, criminalità organizzata, traffico di stupefacenti: 1.204.151, in Spagna 205.898, in Germania 287.223 ecc. Si spende per il nostro sistema giudiziario oltre 4,08 miliardi di euro contro i 3,35 della Francia e i 2,98 della Spagna, in Italia il 70 per cento della spesa per la giustizia va in stipendi....Risale la “voce”, sempre più drammatica di Ingroia (in un intervento all’Idv): “In Italia c’è un’emergenza democratica, si va verso una soluzione finale contro gli unici presidi di controllo rimasti, la magistratura e la libera informazione...”. Appare la copertina di Micromega e la voce s’impenna: “E’ possibile dunque sospendere autoritativamente la democrazia aritmetica al fine di salvare la democrazia sostanziale, cioè il bene della generalità contro la stessa volontà della maggioranza”. Il conduttore prosegue ironicamente: non eravamo a Teheran ma a Palermo. Spostiamoci ora dalla nostra Annunziata di domenica scorsa....Si vede e si sente l’intervento di Spataro, sintetizzato e, se del caso, ben doppiato con di fronte la giornalista in estasi e prona. Era Spataro che conduceva, non lei: “non credo alla repubblica dei ricatti e guardiamoci dai facili complottismi, attenzione a generare allarmi (Maroni dice l’opposto), il terrorismo si può combattere con i codici applicando a tutti, compresi i terroristi, i diritti (magari inviando un avviso di garanzia, un invito a presentarsi). Quanto all’Alfano del processo breve, ”il suo principio non è compatibile con il principio di uguaglianza...E’ una giustizia di tipo aziendale (magari!). Ha ragione Napolitano: basta con le riforme dettate dalle esigenze di poche persone...“. Appaiono di nuovo le cifre: l’Italia dispone di 1292 tribunali, la Spagna di 703, la Francia di 773, per una sentenza di primo grado occorrono 960 giorni e altri 1509 per l’appello. I rinvii processuali colpiscono 7 procedimenti su 10. In Francia un processo penale si chiude i 120 giorni...Esistono in Italia undici giudici per 100 mila abitanti,come negli altri paesi,il Csm autorizza 2000 incarichi extragiudiziali a 1044 magistrati, il numero degli avvocati di Roma è lo stesso di tutta la Francia ma le spese per il patrocinio gratuito sono le più basse del mondo ecc. ecc. Infine appare Palamara, capo dell’Anm, la casta: non ci faremo intimidire, emergenza democratica, attacco all’autonomia, abbasso il processo breve, il governo ci sentirà, anche con uno sciopero.....Riappare il volto del povero Cucchi. Con la scritta: alla prossima(vittima). Della malagiustizia. (l'Opinione)

37 commenti:

Acchiappabufale ha detto...

Le bufale di De Benedetti:

De Benedetti censurò la stampa quando fu arrestato, ora non ricorda.

Carlo De Benedetti, editore di La Repubblica, lunedì ha tenuto a Oxford una lezione di etica e giornalismo. In sintesi l’ingegnere ha sostenuto che la maggior parte degli italiani sono male informati perché subiscono l’influenza delle reti televisive di Berlusconi, che i suoi giornali, La Repubblica e L'espresso, sono gli unici che sfidano i potenti e che garantiscono ai cittadini la conoscenza e il sapere indispensabili per far crescere la libertà.

De Benedetti ha parlato a lungo del rapporto tra giornali e potere, ha fatto esempi su editori (lui) e giornalisti (i suoi) a schiena diritta e altri supini. Pratica che conosce bene anche se a volte la memoria lo tradisce. Per esempio i giovani studenti inglesi non sanno che De Benedetti, a differenza di Silvio Berlusconi, finì in galera per tangenti (condanna evitata per sopraggiunta prescrizione). E non lo sapranno mai perché il fatto è stato accuratamente censurato (come l’oblazione di una condanna per falso in bilancio ottenuta grazie alla legge del governo Berlusconi che in questi giorni La Repubblica definisce «legge ad personam» ) da tutte le biografie esistenti, compresa quella della libera (?) Wikipedia. Eppure avvenne, è storia.

La data è il 31 ottobre 1993. Un alto ufficiale dei carabinieri bussò alla porta di casa De Benedetti a Torino. Aveva in mano un ordine di custodia cautelare firmato dalla procura di Roma. Casualmente l’ingegnere non c’era, era all’estero. Per lui l’accusa era concorso in corruzione, oltre dieci miliardi di tangenti pagate dalla sua società, la Olivetti, tra il 1988 e il 1991, per piazzare al ministero delle Poste, alle Ferrovie, telescriventi e fax che per di più erano obsoleti, fondi di magazzino. Di lì a tre giorni l’ingegnere si consegnò ai magistrati romani e finì in cella, ma solo per qualche ora perché ottenne subito i domiciliari. Tutto ciò accade pochi mesi dopo che De Benedetti si era presentato da Di Pietro per vuotare il sacco. Era maggio, e i pm milanesi di Mani pulite avevano scoperto le schifezze della Olivetti. Anticipò l’inevitabile chiamata e andò a Palazzo di Giustizia. Raccontò tutto, per filo e per segno, scaricò la colpa giuridica sui suoi manager e si assunse quella politica con un «ma» di troppo.

E cioè: ma eravamo costretti a farlo altrimenti non avremmo lavorato. In pratica si dichiarò concusso. Di Pietro, a differenza di quello che faceva in quegli anni con altri imprenditori (galera), gli diede una pacca sulle spalle e lo rimandò a casa. L’ingiustizia era talmente palese che la Procura di Roma volle vederci chiaro. Perché se uno è concusso una volta passi, ma se lo stesso si fa fregare per tre anni di fila in silenzio, beh, allora la cosa cambia. Così si arrivò all’espropriazione dell’inchiesta e all’ordine di arresto. Come si comportò il professore di etica, quello che vuole giornalisti con la schiena diritta con i potenti? Sono testimone diretto, in quanto il giorno dopo la confessione fiume a Di Pietro, il Corriere della Sera, dove lavoravo, mi spedì a Ivrea, quartier generale della Olivetti, per intervistare l’ingegnere. Pur avendo ricevuto mille raccomandazioni dai miei capi a essere prudente, essendo giovane e illuso pensavo di poter chiedere a De Benedetti ciò che gli italiani volevano sapere. Per esempio perché pochi mesi prima, quando si credeva che l’Olivetti potesse ancora sfangarla, dichiarava spavaldo: «Tangenti? Non ne ho mai pagate». Ma non andò così, perchè a quel tempo all’ingegnere i giornalisti schiena diritta non piacevano, almeno non quelli che volevano tenerla di fronte a lui.

Acchiappabufale ha detto...

Quell’intervista fu un calvario, continuamente interrotta al motto di «ma gli accordi non sono questi». Accordi? Già, l’ingegnere aveva tra gli azionisti del Corriere amici importanti, cosa che simpaticamente non evitò di ricordarmi. Le domande scomode furono limate, le risposte modificate in continuazione. Fui costretto a scrivere sul posto e il testo finale passato al vaglio da decine di mani. Avevo capito che non era aria di fare l’eroe. Lo confesso, alla fine misi di malavoglia la mia firma sotto quel testo, per la felicità di De Benedetti che mi congedò complimentandosi: «Lei è giovane ma è proprio un bravo giornalista, farà strada». Nel mio piccolo un po’ l’ho fatta, ma non con lui né grazie a lui e a quella sciagurata intervista. No, questo gli studenti di Oxford non lo sapranno mai. E non sono al corrente neppure di come il direttore preferito da De Benedetti, lo schiena diritta Eugenio Scalfari, si comportò in quei momenti. Il giorno dell’arresto, prima telefonò furibondo e indignato al capo della procura di Roma, Vittorio Mele: «Ma insomma, l’arresto del presidente di Olivetti le sembra una bazzecola?», poi scrisse il suo editoriale.

Ci sono parole e concetti che il fondatore di La Repubblica ha poi cancellato dal suo vocabolario. Tipo: «Questa volta avvertiamo una vivissima preoccupazione come cittadini per il modo di procedere della procura». E ancora: «Qual è la logica di tutto questo? Forse quella di fare più rumore? Chi lo sa? Chi può negarlo?». E soprattutto: «Perciò stiano con gli occhi ben aperti i procuratori di giustizia, perché il rischio che eseguano senza saperlo vendette su commissione incombe pesante sul loro operato». E L'espresso che scrisse? La notizia della settimana, direi dell’anno, finì in uno strillo di copertina: «De Benedetti a Roma». Detto tutto su come De Benedetti intende «la conoscenza che fa crescere la libertà» elogiata a Oxford. Insomma, i magistrati se sfiorano il tuo editore sono un pericolo, se si accaniscono contro Berlusconi una manna. L’unico giornalista che disse le cose come stavano fu, tanto per cambiare, Indro Montanelli, che su questo giornale scrisse due cose. La prima su De Benedetti: «Che tristezza quest’uomo che s’era proclamato “diverso” dagli altri imprenditori (così come il Pci e il Pds s’erano proclamati diversi dagli altri partiti) e che dai giornali a lui soggetti, l’Espresso e la Repubblica, era stato indicato come modello d’uomo d’affari immune dagli spasimi d’aggancio politico e dalle tentazioni tangentizie cui gli altri esponenti della razza padrona - per usare un termine caro al più autorevole tra i suoi giornalisti, Eugenio Scalfari - erano soggetti».

La seconda sull’editoriale di Scalfari: «Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia furfante». Frasi che consigliamo di ripassare a Travaglio, che ama coinvolgere a sproposito nei suoi deliri Indro Montanelli e che ritiene il duo Scalfari-De Benedetti il meglio del Paese.

di Alessandro Sallusti

Acchiappabufale ha detto...

Le bufale del "Fatto"

Le inchieste sul Cavaliere? Solo dopo la discesa in campo

Si chiama il Fatto. Ma vuole convincerci delle sue opinioni. Solo che la pagina scritta ieri dalla medagliata coppia Gomez-Travaglio non convince. La tesi è scontata: le inchieste sul Cavaliere non cominciano con la sua discesa in campo, ma prima, molto prima, quando era solo un imprenditore di successo. Peccato che lo svolgimento ci induca a ritenere il contrario. I due articolisti buttano in pagina tutto ma proprio tutto, mescolando i rapporti delle Fiamme gialle sulla droga degli anni Ottanta, la guerra dei ripetitori condotta dai pretori contro gli impianti del nascente impero del Biscione, i primi vagiti in direzione Fininvest da parte di Di Pietro nel 1992.
Tutto fa brodo, in un compendio enciclopedico che però manca il bersaglio: si va dall’inchiesta romana del Pm Maria Cordova che però virerà su De Benedetti, a quella torinese sul centro commerciale Le Gru, finita in archivio, fino alle famose confidenze di Paolo Borsellino, poco prima di morire, a due cronisti francesi a proposito del triangolo Mangano-Dell’Utri-Berlusconi. Sussurri. Archiviazioni e ancora archiviazioni, in buona parte legate alla nascita dell’impero televisivo e alla rottura del monopolio Rai. E poi, rapporti della polizia giudiziaria e accenni a un traffico di droga, quasi a dipingere il Cavaliere come un possibile trafficante. Un imprenditore col profilo del gangster. E infatti si ricorda che nel lontano 1983 i suoi telefoni vengono messi sotto controllo. L’indagine, tanto per cambiare, verrà archiviata. Per il duo Gomez-Travaglio quella è una delle tante pagine nere di un curriculum criminale. Nella sostanza, però è solo un episodio. Le indagini sul Berlusconi imprenditore sono corredate, come spesso accade in Italia per le figure in ascesa, da voci, dietrologie e visioni di presunti peccati originali. Materiale sempre buono per cercare di spillare soldi e riconoscenza all’interessato, esca per mitomani pronti a spacciare notizie false che il tempo e la fama moltiplicheranno.
La verità è che le grandi inchieste partono non prima dell’autunno del ’93, ovvero nelle settimane in cui il tam tam sull’ingresso in politica di Silvio Berlusconi si fa sempre più insistente. Assordante. E diventa materia di studio per giornali e tv. Ben prima dell’annuncio ufficiale, del 26 gennaio ’94. Sarà un caso, ma Salvatore Cancemi, boss pentito della Cupola, comincia a parlare dei rapporti fra Cosa nostra e Berlusconi a dicembre ’93. E sempre a dicembre, il 20 per la precisione, Francesco Saverio Borrelli manda al Cavaliere il primo preavviso di garanzia. «Quelli che si vogliono candidare - spiega al Corriere - si guardino dentro. Se sono puliti, vadano avanti tranquilli. Ma chi sa di avere scheletri nell’armadio... si tiri da parte prima che arriviamo noi». È la guerra preventiva a chi sta per buttarsi nella mischia.
Fra il business dei ripetitori, le fantomatiche partite di droga e gli accenni, immancabili, alla P2, il Fatto dimentica stranamente l’inchiesta più importante sul Cavaliere, esplosa in effetti prima della fondazione di Forza Italia con le perquisizioni delle sedi del gruppo Fininvest, del luglio ’93. Una mancanza inspiegabile. Ma ancora più grave è il silenzio che avvolge lo sviluppo di quell’indagine: ad avviarla è il sostituto milanese Margherita Taddei, un Pm defilato e lontano dal Pool, che in quelle settimane segue le mosse di un alto dirigente del Biscione, Salvatore Sciascia.

Acchiappabufale ha detto...

Poi il Cavaliere irrompe nell’arena e quel fascicolo, fin lì uno dei tanti nella catena di montaggio della Procura di Milano, acquista importanza. Che cosa succede, grossomodo a Natale? Il Pool scippa letteralmente l’inchiesta alla Taddei (all’inizio affiancandola) e lei ci resta male, malissimo. Protesta. Inutilmente. Il Pool sta ridisegnando la mappa del potere in Italia e quell’indagine che lambisce l’uomo nuovo dev’essere condotta da Di Pietro e dai suoi soci. Il resto, a dispetto delle analisi di Gomez, Travaglio e di Giuseppe D’Avanzo, che lunedì su Repubblica ha confezionato un saggio sul Berlusconi bugiardo, è storia recente. Comunque la si voglia giudicare.

Acchiappabufale ha detto...

L ultimo articolo è di Stefano Zurlo de "il giornale".

Acchiappabufale ha detto...

Le prossime bufale dei mestatori nel torbido :

SEGNATEVI QUESTA DATA: 4 DICEMBRE, DOPODICHé NULLA SARà COME PRIMA - Spatuzza sparla al processo Dell'Utri (il giorno prima va in onda 'Annozero' su berlusconi mafioso e stragista) - E guarda caso, il giorno dopo, sabato, è il giorno della grande manifestazione dipietrista, intitolata “No-B day”, dove la B è facile capire per cosa stia...

C'è un'atmosfera di grande attesa attorno alla data del 4 dicembre prossimo, col debutto dell'ormai celeberrimo pentito Spatuzza al processo Dell'Utri. Guarda caso è un venerdì: il giorno prima va in onda Annozero, ed è facile immaginare che la trasmissione di Santoro non mancherà l'occasione di anticipare l'evento e di alimentare la suspence. E guarda caso, il giorno dopo è sabato, il giorno della grande manifestazione dipietrista, intitolata "No-B day", dove la B è facile capire per cosa stia.

Una concatenazione di coincidenze, magari appunto del tutto casuale, ma che sembra fatta apposta per lanciare una grande kermesse mediatica con al centro l'ultimo, orripilante sospetto: il premier mafioso. E pure stragista. Per chi aveva finito per alzare le spalle annoiato alla milionesima riproposizione delle dieci domande di D'Avanzo sul premier maniaco sessuale, il richiamo all'ordine sarà perentorio.

E nel Palazzo si è diffusa rapidamente la sensazione che dopo il 4 dicembre nulla potrà più essere come prima. Annusata l'aria il Pd, con Bersani, continua a non aderire formalmente alla manifestazione di Di Pietro, ma inizia però a sdoganarla: non è una manifestazione "di partito", ragiona, chi l'ha lanciata ha opportunamente fatto "un passo indietro", e comunque le sue parole d'ordine sono compatibili con quelle del Pd e dunque se tanti democrat ci andranno non c'è niente di male.

E l'editoriale del Corriere di oggi annuncia il "tramonto del bipolarismo", incarnato dalla "parentesi dell'era berlusconiana". Repubblica intanto già avverte con gran clamore che il processo breve sta per passare in cavalleria, davanti all'urgenza di porre un'argine al nuovo, estremo pericolo: a Palazzo Chigi, spiega, si sta studiando in tutta fretta uno "scudo al Cavaliere per i reati di mafia", per salvarlo dai "processi di domani" mettendo mano al concorso esterno in associazione mafiosa, il 416bis.

Figura di reato che, secondo illustri penalisti, è un "mostro giuridico", il "parto di una fantasia accusatoria senza limiti", e che per altro ha già dato pessima prova giurisprudenziale di sé in altri grandi processi politici (da Andreotti a Carnevale). Ma che intanto sta ancora lì, pronto all'uso.

Spatuzza, come annuncia da settimane il tam tam giudiziario, dirà che Berlusconi aveva stretto un patto con la mafia stragista dei Graviano, ben prima della discesa in campo ufficiale, per prendere il potere e spartirlo equamente, da buoni fratelli, con Cosa Nostra.

Qualcuno, tra i più esperti e meno ideologici cronisti giudiziari (Massimo Bordin intervistato sul Foglio, Marianna Bartoccelli sul Riformista) fa notare un piccolo particolare finora rimosso: tutta la storia raccontata da Spatuzza era non solo già nota, ma era stata già percorsa e ripercorsa a fondo da alcune procure, addirittura fin dal lontano '94, l'anno della discesa in campo berlusconiana.

E quelle inchieste su Berlusconi mafioso e stragista, nonostante la volenterosa collaborazione di alcuni pentiti, erano finite nel nulla: con tutta la buona volontà dei pm non si era riusciti neppure ad arrivare ad uno straccio di rinvio a giudizio. Ora si ricomincia, però.

Laura Cesaretti per Velino.it

Anonimo ha detto...

se lo scrive il Giornale allora mi fido



Volantino Br al Giornale: Digos, scritto da collaboratore interno, denunciato
25 Novembre 2009 12:08 POLITICA

GENOVA - Il volantino firmato Br recapitato ad un giornalista del "Giornale" era stato scritto da lui stesso. Lo hanno accertato gli agenti della Digos di Genova che hanno denunciato l'uomo per simulazione di reato e procurato allarme. La lettera minatoria era stata rinvenuta la settimana scorsa sotto la porta d'ingresso della redazione genovese del quotidiano. L'uomo avrebbe confessato di aver agito per far uscire allo scoperto una vicenda di minacce da parte di malavitosi e di nomadi della periferia genovese della quale lo stesso giornalista e la sua famiglia sarebbero stati oggetto nelle scorse settimane. (RCD)

Anonimo ha detto...

Il Pool scippa letteralmente l’inchiesta alla Taddei (all’inizio affiancandola) e lei ci resta male, malissimo. Protesta. Inutilmente.


opinioni o fatti?
e le prove? ci sono lettere pubbliche o solo SUSSURRI

il bue dice al ciuccio cornuto

Anonimo ha detto...

come al solito se si copiano e incollano gli articoli di una parte si da un'immagine distorta della realtà

poi vuoi vedere che un dipndente di Berlusconi scriva cose contro il Cav.? ma dove vivi,in un paese libero?

per questo ho letto l'articolo del fatto e la realtà è completamente cambiata perchè tutto parte da una affermazione fatta da Alfano:“Nessuno ha mai spiegato perché le inchieste sul premier partono dal 1994”.


la risposta di Gomez e Travaglio è ovvia:
Primo le inchieste su Berlusconi e le sue aziende sono iniziate ben prima del ‘94. Secondo: i processi attualmente in corso per la corruzione di Mills e per i fondi neri Mediaset riguardano reati successivi al ‘94, dunque nemmeno volendo i magistrati avrebbero potuto scoprirli e perseguirli prima che fossero commessi.

mi basta solo riportare tra le tante
1983. La Guardia di Finanza di Milano mette sotto controllo i telefoni di Berlusconi per un presunto traffico di droga. L’indagine sarà poi archiviata.


questa si chiama indagine archiviata, ma pur sempre INDAGINE ossia inchiesta (giudiziaria si intende perchè è un magistrato ad ordinarla)



Alfano ma "coza" mi "dizi" mai?

Acchiappabufale ha detto...

Oltre a esser un vigliacco anonimo , sei anche un bugiardo.

Innanzitutto se un Guzzardi si scrive le lettere da solo , non si capisce cosa centri uno zurlo , o un qualsiasi collega del giornale, che semmai sono vittime di questa bravata(non ne sapevo niente,senno l avrei pubblicato ) .

Se avessi letto l articolo di Sallusti, avresti potuto vedere come si comportano i "dipendenti" di repubblica- l espresso nei confronti del padrone.

Se avessi letto l articolo di zurlo , magari dopo aver letto quello del fatto , ti saresti accorto di come l articolo di zurlo smentisca quello del fatto,
ma naturalmente per te non sarà così, quindi consiglio a chiunque di leggersi prima l articolo del fatto e poi quello di zurlo.

Inoltre pochi giorni fa ho pubblicato 2 video di striscia sulle bufale di mediaset, quindi sei doppiamente bugiardo , 1 perchè pubblico le bufale di tutti, 2 perchè mediaset è un azienda libera con giornalisti che si riprendono tra di loro e non come avviene a repubblica.

Naturalmente non ti può sfuggire il fatto che le procure, attraverso pentiti pronti a parlare ben imbeccati da qualcuno ,
stiano pescando nel torbido di fatti smentiti "nei fatti" già 15 anni fa.

tu non leggi gli articoli che pubblico, o li leggi molto ma molto male.

Acchiappabufale ha detto...

Dato che sei così solerte nell accusare guzzardi e di conseguenza "il giornale", che mi dici di certe "amicizie" di Travaglio??

Che scriverebbe travaglio di Travaglio?
di filippo facci.

I due moraleggiatori di Annozero, Antonio Ingroia e Marco Travaglio, ci imbastirebbero istruttorie e libri da tregenda. Di recente è stato Travaglio a scrivere la prefazione del volume di Ingroia «C’era una volta l’intercettazione», Stampa Alternativa 2009: che è un titolo invero beffardo, vista la storia che andiamo a raccontare.

Eccola.

Nei primi anni Duemila il pm Ingroia e il maresciallo Giuseppe Ciuro sono due amiconi, nessun dubbio su questo. I due dividono la stanza dell’ufficio al secondo piano del palazzo di giustizia palermitano e d’estate affittano due villette al mare l’una affianco all’altra. Il maresciallo Ciuro gode di fiducia sconfinata: è l’uomo che indaga su Marcello Dell’Utri e sui finanziamenti Fininvest, è colui che il 26 novembre del 2002 compartecipa con Ingroia all’interrogatorio di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi dopo aver vergato personalmente un’informativa su di lui, ha pure deposto al processo Dell’Utri per ben sei udienze sostenendo che un nipote di Tommaso Buscetta fosse stato socio di Fininvest.

Altro buon amico è quel Marco Travaglio, un bravo ragazzo torinese che nel marzo 2001 aveva combinato un pasticcio alla trasmissione «Satyricon» di Daniele Luttazzi: l’allora misconosciuto giornalista aveva rispolverato le accuse rivolte a Berlusconi e Dell’Utri quali «mandanti esterni» della strage di Capaci (anche se la Procura di Caltanissetta aveva fatto richiesta d’archiviazione un mese prima della trasmissione) e poi aveva enfatizzato alcuni documenti redatti dall’ispettore della Banca d’Italia Francesco Giuffrida circa l’origine dei capitali Fininvest (anche se il medesimo smentirà i suoi stessi documenti in sede giudiziaria).
Ingroia e Ciuro e Travaglio, nell’agosto 2003, sono sufficientemente legati tra loro da passare le vacanze insieme nel residence Golden Hill di Altavilla Milicia, in provincia di Palermo. Già l’estate precedente il maresciallo Ciuro, detto Pippo, aveva spedito l’amico Marco all’hotel Torre Artale di Trabia: così anche quell’anno, ad Altavilla, le rispettive famiglie si ritrovano a sguazzare a bordo piscina e a giocare a tennis e a scambiarsi piccoli favori; quando Travaglio aveva raggiunto il villino, per dire, lo aveva trovato disadorno e ne aveva subito informato l’amico maresciallo: ci aveva pensato la signora Ciuro a prestare ai Travaglio cuscini, stoviglie, pentole e una caffettiera.

Pippo Ciuro è proprio un amico. All’amico magistrato, che al telefono chiama «il Professore» o «il dottore», ha procurato anche l’impresa che sta ristrutturando un vecchio casolare che il padre di Ingroia possiede a Calatafimi e per il quale ha ricevuto un finanziamento in virtù della legge per il terremoto del Belice: che risale al 1968, ma in Sicilia va così. Ingroia ne parlerà al telefono anche col proprietario dell’impresa, certo Michele Aiello: e quel giorno chiede a che punto sono i lavori, parlano di mattonelle e di tramezzi, muri, di colori, di tempi. L’ingegner Aiello è rassicurante.

Acchiappabufale ha detto...

Sembra una storia come un’altra: e però già allora, e da prima di allora, il maresciallo Giuseppe Pippo Ciuro è una spia della mafia; il pm Antonio Ingroia, cioè, aveva condotto intere istruttorie per mafia affidando le indagini a un maresciallo che passava informazioni a un prestanome di Bernardo Provenzano, Michele Aiello; e anche durante quella vacanza ad Altavilla, con Travaglio e Ingroia, il maresciallo Ciuro stava commettendo il reato di favoreggiamento a vantaggio di Michele Aiello, mafioso, uomo chiave dell’indagine sui rimborsi d’oro alle cliniche nonché braccio destro, come detto, del boss Provenzano: trattasi di «Fatti commessi in Palermo ed altrove fino al mese di ottobre 2003». E chi era, come visto, questo Michele Aiello? E’ l’uomo che stava ristrutturando il casolare di Ingroia e con cui il magistrato s’intrattenne pure al telefono: precisamente il 28 febbraio 2003,, ore 9.36. «C’era una volta l’intercettazione», ha titolato Ingroia il proprio libro. E c’è ancora, l’intercettazione. E non solo quella: Ingroia col mafioso Michele Aiello ci ha pure cenato, l’ha ammesso lui.

Ciuro è stato arrestato per con corso in associazione mafiosa il 5 novembre 2003, circa due mesi dopo la vacanza cogli amici Travaglio e Ingroia: sarà definito «figura estremamente compromessa col sistema criminale» prima di essere condannato dalla corte d’Appello a 4 anni e 8 mesi per favoreggiamento e violazione di segreti informatici. L’indagine era stata condotta dai pm Giuseppe Pignatone, Maurizio De Lucia, Michele Prestipino e Nino Di Matteo, non propriamente amici di Ingroia nel complicato giro giudiziario palermitano. E’ la stessa indagine per cui sarà condannato Totò Cuffaro e che tirerà in ballo vari altri politici della Regione, compresi l’ex presidente Giuseppe Lumia e altri deputati come Domenico Giannopolo dei Ds e Andrea Zangara della Margherita. Per Ingroia fu uno smacco sconcertante: avvertito solo da un certo punto in poi, aveva ritenuto di dover proseguire ad avvalersi dei servigi di Michele Aiello ufficialmente per non insospettirlo. In pratica il mafioso Aiello gli ha ristrutturato casa, da quanto inteso: ma per fini istruttori. Ingroia avrà modo di parlare di Ciuro il 17 maggio del 2004, durante il processo Dell’Utri: dirà che le sue indagini erano state comunque «ben fatte, dando un valido apporto».
Altri faranno a gara per spiegare che Pippo Ciuro non contava niente. Il pm Antonio Gozzo, sodale di Ingroia, a processo lo definirà «’n'aranci ‘i terra», un’arancia caduta dall’albero e da raccogliere coi piedi. Eppure era il maresciallo più amato dall’antimafia: tanto che il senatore diessino Massimo Brutti, consigliato proprio da Ingroia e da Gian Carlo Caselli, aveva raccomandato Ciuro affinché entrasse nel Sismi. Lo stesso Brutti ha ammesso la circostanza, sostenendo che il maresciallo gli era stato presentato da magistrati integerrimi.

Acchiappabufale ha detto...

E Travaglio? Data la sua funzione ventriloqua, leggere i suoi libri equivale a conoscere il pensiero di Ingroia, in questo caso. Nel libro di Marco Travaglio e Saverio Lodato «Intoccabili» (Bur Rizzoli 2005) il curriculum di Ciuro è condensato in due righe: fu «in servizio con Falcone» e lavorò «con il Pm Ingroia che l’ha impiegato nell’ultima fase delle indagini su Dell’Utri e sui finanziamenti Fininvest». Nello stesso libro, Travaglio si spinge poi a dire che «I due marescialli (Ciuro e Giorgio Riolo, altra talpa, ndr) sono talpine. Manca la talpona». Come sempre. Nel libro ci sono anche feroci critiche a Piero Grasso, il procuratore che ha sostituito Giancarlo Caselli a Palermo: «Assodato il ruolo di talpe di Ciuro e Riolo, perché gli inquirenti li hanno lasciati circolare indisturbati per mesi negli uffici della Procura?». E poi: «Perché non si sono informati subito i pm più vicini a Ciuro per limitare i danni che le sue soffiate potevano arrecare alle loro indagini?». Il pm più vicino a Ciuro era Ingroia, e i quesiti parrebbero quasi posti da lui. Invece sono posti da Travaglio, legatissimo a Ingroia. Dulcis in fundo: il procuratore Pietro Grasso scriverà al Corriere della Sera accusando Travaglio e Lodato di fare «disinformazione scientificamente organizzata». E’ tutto nero su bianco. Nello stesso libro, Travaglio parla di Totò Cuffaro e scrive che «Il governatore conosceva Ciuro»: anche se forse non ci andava in vacanza ad Altavilla. Infine, nel volume, mai così soft, si precisa che «Ciuro si limitò a qualche intrusione nel computer della Procura e a qualche millanteria per farsi bello con il ricco imprenditore. Il grosso lo fece Totò». Lo dice Travaglio.

Acchiappabufale ha detto...

Il quale Travaglio, come in parte è noto, non ne è uscito benissimo: ma principalmente per colpa sua. All’inizio dell’estate 2008, infatti, si ritrovò vittima dei suoi stessi metodi: dopo aver accusato Renato Schifani d’aver frequentato delle persone poi inquisite per mafia 18 anni dopo (circostanza nota e chiarita da tempo, ma rilanciata come una primizia che gli altri giornalisti corrotti non raccontavano) Travaglio improvvisamente diventava ufficialmente il frequentatore di una persona che, pochi mesi dopo quella vacanza e non 18 anni dopo, era stata arrestata per favoreggiamento.

E qui, forse, c’era da riflettere su un certo modo di fare informazione e di come troppo facilmente ti si possa ritorcere contro. Invece, a complicare tutto, è piovuta un’accusa improbabile rilanciata da Giuseppe D’Avanzo di Repubblica: che l’intera vacanza di Travaglio fosse stata pagata dal succitato mafioso Michele Aiello. L’avvocato di quest’ultimo, Sergio Monaco, oltretutto confermò l’accusa al Corriere della Sera: «Posso solo dire che l’ingegner Aiello conferma che a suo tempo fece la cortesia a Ciuro di pagare un soggiorno per un giornalista in un albergo di Altavilla Milicia. In un secondo momento, l’ingegnere ha poi saputo che si trattava di Travaglio». Non risulta che Travaglio abbia querelato, ma fa niente. Io sinceramente penso che D’Avanzo abbia rilanciato un’immensa cazzata: Travaglio secondo me non sospettava minimamente che Pippo Ciuro fosse una talpa, se non una talpa a disppsizione di giornalisti tipo lui. Ho conosciuto Travaglio quanto basta per escludere ogni ambiguità a riguardo. E’ decisamente improbabile e logico, così pure, che Antonio Ingroia non sapesse di condividere l’ufficio e le ferie con la talpa di un favoreggiatore di Bernardo Provenzano. Il punto è che Travaglio ha fatto di tutto, di lì in poi, per veicolare la discussione su questa faccenda del pagamento della vacanza – industriandosi su assegni e matrici e cazzate da magistrato che non è, e vorrebbe essere . anziché concentrarsi sul dato pacifico che riguarda le frequentazioni sue e di Ingroia.

Acchiappabufale ha detto...

Travaglio conobbe Ciuro a Palermo, quando quest’ultimo lavorava alla polizia giudiziaria antimafia: dopodichè, come detto, fu appunto lui che nel 2002 gli consigliò un hotel di amici suoi a Trabia, e l’anno dopo un residence di Altavilla Milicia, il Golden Hill. Travaglio, pur non richiesto, furibondo, ha mostrato tutte le ricevute del caso: i pagamenti per le vacanze dell’agosto 2002 all’Hotel Torre Artale (fotocopia dell’assegno ed estratto conto della carta di credito) e poi l’assegno dell’anno dopo, pagato alla poprietaria del villino dove aveva soggiornato con la famiglia. In quest’ultimo caso pagò molto poco, ma l’anno prima era stato un salasso: «Al momento di pagare il conto», ha scritto Travaglio, «mi accorsi che la cifra era il doppio della tariffa pattuita: pagai comunque quella somma per me esorbitante e chiesi notizie a Ciuro, il quale mi spiegò che c’era stato un equivoco e che sarebbe stato presto sistemato, cosa che poi non avvenne». In altre parole gli chiese uno sconto. Invano.

Il perché non avvenne è chiaro. Infatti l’assegno del 2002 pubblicato da Travaglio (che l’ha messo in rete) ha sul retro, a ben guardare, una girata fatta col timbro della Santa Margherita srl: una società, basta verificarlo, che era in amministrazione giudiziaria per mafia. Il residence dove stava Travaglio, cioè, era sotto sequestro dal 2000 contestualmente all’arresto del costruttore Rosario Alfano, processato per concorso esterno e riciclaggio. Per il riciclaggio Alfano è stato assolto, con conseguente restituzione dei beni; per il concorso esterno in associazione mafiosa, invece, è stato condannato a sei anni in primo grado. Nel complesso, Travaglio è stato quantomeno sfigato. Sfortuna volle, cioè, che abbia soggiornato in un albergo mentre questo era posto sotto sequestro per vicende di mafia; sfortuna volle che a consigliarglielo sia stato un tizio successivamente condannato per favoreggiamento questo Ciuro che gli aveva parlato di un hotel di amici suoi; sfortuna volle, infine e logicamente, che Travaglio sia infine incappato non nei proprietari dell’hotel già amici del suo amico (quelli che avrebbero potuto fargli uno sconto, tutti condannati per mafia) ma in un commissario giudiziario. Chiaro che l’amico Ciuro non sia riuscito a sistemare il problema del conto: aveva a che fare con un Amministratore Giudiziario. Travaglio pagò una cifra attorno ai dieci milioni di lire, e Ciuro in effetti non potè farci nulla: ma ecco, gli consigliò la vacanza dell’anno dopo.

Acchiappabufale ha detto...

Per quella vacanza, Travaglio, vergò un altro assegno – numero 303198299, in data 21 agosto 2003 – per un importo complessivo di 1000 euro. Per un villino. Per una vacanza. Di dieci giorni. Per lui e per tutta la famiglia. Vabbeh.

Preso da sacro foco, il 13 ottobre scorso, Travaglio ha scritto sul suo blog:

«Dopo lunga attesa sono riuscito a entrare in possesso dell’assegno con cui pagai il mio soggiorno di 10 giorni nel residence Golden Hill di Altavilla Milicia (Palermo). Pubblico anche questo, cancellando per motivi di privacy il nome del beneficiario… Lo faccio anche perché diversi topi di fogna berlusconiani, su giornali, siti internet, blog e in dichiarazioni pubbliche alle agenzie di stampa, hanno continuato per un anno a insinuare o ad affermare che io mi sia fatto pagare le ferie da altri, addirittura da “mafiosi” e che, dunque, io non possa avere le prove di aver pagato. Eccoli dunque accontentati. Io non ho mai avuto il dispiacere di conoscere il signor Aiello, né il suo avvocato. E questo è l’assegno da 1000 euro con cui pagai quei dieci giorni di ferie ad Altavilla Milicia. Ora chi vuole può tranquillamente vergognarsi per avermi calunniato».

E chi sarebbero questi «topi di fogna berlusconiani»? Non si capisce. D’Avanzo? L’avvocato di Aiello, Sergio Monaco? Io no di sicuro, visto che sul tema ebbi semplicemente a scrivere il 24 settembre 2008: «Si può credere che di certa mafiosità dei suoi interlocutori Travaglio non avesse la minima conoscenza. Nessun personale dubbio, su questo».

La fortuna di Ingroia e Travaglio, al solito, è quella di non avere un Ingroia e un Travaglio che si occupino di loro. Io scriverei solamente che sono stati degli incauti e che forse restano poco titolati a puntare il dito contro le frequentazioni altrui; Travaglio, invece, è quello che ha puntato il dito contro la seconda carica dello Stato, Renato Schifani, perché aveva frequentato delle persone che 18 anni dopo sono state inquisite per mafia. Lui che, con Ingroia, si tuffava in piscina con un personaggio che solo due mesi dopo sarebbe stato arrestato per associazione mafiosa. Immaginarsi che cosa scriverebbe di se stesso.

PS
é peggiore scriversi lettere minatorie false o avere "certe" frequentazioni ??

Anonimo ha detto...

Innanzitutto se un Guzzardi si scrive le lettere da solo , non si capisce cosa centri uno zurlo , o un qualsiasi collega del giornale, che semmai sono vittime di questa bravata


vogliamo parlare delle bufale della Mithrokin, di Telecom Serbia, del conte Igor(arrestato)etc etc?


Avevi acchiappato anche queste bufale o le avevi dimenticate?
copia e incolla quello che vuoi che a sparar cazzate ci pensano i DIPENDENTI DEL PRESIDENTE o meglio del pregiudicato Paolo Berlusconi

Acchiappabufale ha detto...

Veramente la faccenda telekom serbia nasce da un articolo di repubblica del 16 febbraio 2001 poi ripreso solo successivamente dal giornale.

http://www.repubblica.it/online/mondo/serbiatangenti/tre/tre.html

Il fatto che il tesoro abbia acquistato una quota di telecom serbia per 878 miliardi nel 1997 e poi rivenduta pochi anni dopo , nel 2003 alla stessa serbia per poco più di 300 miliardi indica certamente un affare poco pulito.

come vedi non ne azzechi una.

Continua a leggere Travaglio ,
senza preocuparti delle sue poco invidiabili "frequentazioni" ....

Anonimo ha detto...

infatti mi dimostri che Repubblica è un giornale libero al contrario del giornale del pregiudicato Paolo Berlusconi ed infatti proprio repubblica e l'espresso dimostrarono che era tutto un falso non certo il Giornale del pregiudicato di cui sopra

Il fatto che il tesoro abbia acquistato una quota di telecom serbia per 878 miliardi nel 1997 e poi rivenduta pochi anni dopo , nel 2003 alla stessa serbia per poco più di 300 miliardi indica certamente un affare poco pulito.
Questo lo dici tu:mentre i giudici hanno archiviato proprio quelli che avevano voluto vederci chiaro

lo sporco è reato?

continuerò a leggere Travaglio e il Giornale del pregiudicato Berlusconi come ho sempre fatto, per non avere la visione a metà della realtà
ma penso anche che i giornalisti del Giornale sono degli inginocchiati come dmostra la fuoriuscita di Facci

Anonimo ha detto...

Caro anonimo
sei veramente commovente.
Le bufale telekom serbia, la bufala mitrokhin....
ma d'altronde ti hanno fatto il lavaggio del cervello, non e' colpa tua.
L'hai letta la sentenza del giudice su TS? Hai mai notato le caz*ate che dice? Faresti bene.
Poi leggiti il nome del giudice.
Bruno Tinti.
Che scrive sul Fatto di Travaglio, ora che si e' dimesso.
Chiedimi, chiedimi di TS e Mitrokhin.
Non aspetto altro.
Scusami se non ti rispondero' immediatamente, perche', sai, io lavoro, anche.
Luigi

Anonimo ha detto...

Bruno Tinti al mago di Arcella gli fa un baffo...sapeva anni prima di scrivere sul giornale di Travaglio quindi secondo il tuo filosofico ragionamento ha sepolto sotto la sabbia le malefatte della sinistra...strano perchè Travaglio non ha mai fatto passare nulla alla sinistra, quindi...mahh


e a proposito di cazzate (che non sono penalmente rilevanti e quindi non si può procedere) quali sarebbero? aspetto aspetto, ma ti prego di non copiare ed incollare sono stanco di leggere articoli del Giornale (del solito pregiudicato)

Anonimo ha detto...

Caro anonimo
questo ti basti per oggi:
il buon Tinti all'epoca era tanto super partes che poi dopo essere andato in pensione si e' messo a scrivere nel giornale di Travaglio.
Travaglio che bastona a destra, bastona qualcuno a sinistra, ma neanche tanto, ma mai Prodi, mai DiPietro se non qualche buffetto, mai DeMagistris, e mistifica, manipola, finge.
Le cazzate:
leggiti la sentenza. Dice che non ci sono mai state mazzette. Quindi hanno sparato cazzate Bonini e D'Avanzo, i primi che ne hanno parlato, Guzzanti, Travaglio stesso, che nell'Unitaì aveva parlato di tangenti ai vertici telecom. E allora perche' e' stata valutata TS 500 miliardi in piu' di quanto sara' venduta? Perche' e' stata chiesta a UBS una perizia di stima da Telekom che valutera' TS di piu' di quello che la offrivano i serbi? (caso penso unico al mondo della storia delle perizie?)
Ma non basta.
Tinti dice che non e' compito del giudice dire se e' stato un buon affare, ma lui vuole dirlo lo stesso, e dice che era un ottimo affare. Ma chi gliel'ha chiesto? Perche' ha voluto dirlo? Non mina la obiettivita' del suo giudizio?
Inoltre nella sentenza dice che non e' suo compito stabilirlo, ma lui dice che i vertici dello stato erano ignari della trattativa perche' la telecom non era obbligata ad informarli. Peccato pero' che non dica in base a quale norma dello stato si possa verificare un caso del genere essendo contraria a tutte le norme scritte e non degli enti statali.
Questo solo per iniziare.
A domani e dormi bene.
Continua a fidarti di Travaglio.
Luigi

Acchiappabufale ha detto...

caro anonimo,la tua logica è veramente ridicola :
se tu sei dipendente di Mediaset non sei libero, se invece sei dipendente della Cir del noto affarista Carlo de Benedetti sei un giornalista esemplare
(evidentemente non hai letto bene l articolo di Sallusti).
Meglio ancora se come Travaglio, solito (mai smentito) frequentatore talpe e talpine della mafia, come Ciuro.

Come ha dimostrato (e può dimostrare) Luigi
di TeleKom Serbia non conosci nulla ma straparli a cazzo.

Al posto tuo eviterei di scrivere altro per evitare ennesime Bufale.

Anonimo ha detto...

Se il sig. anonimo ha voglia di leggere riporto qui parte commentata della sentenza. I commenti non sono miei, lo premetto...ma chissa' perche' mi paiono piu' sensati delle stupefacenti conclusioni del giudice, di cui ho letto parte della sentenza originale di archiviazione e che e' ancora piu' sbalorditiva, se possibile:

Vedi pag. 21 dell’ordinanza (stralcio dalla richiesta di archiviazione presentata dai PM torinesi il 16/07/04, subito dopo aver sentito nella tenuta di Castel Porziano il presidente Ciampi):
“…Sono stati sentiti come persone informate sui fatti il Presidente del Consiglio dell’epoca, Romano Prodi, il Ministro degli Esteri dell’epoca, Lamberto Dini, il sottosegretario con delega ai Balcani dell’epoca, Piero Fassino, il Ministro del Tesoro dell’epoca, Carlo  Azeglio Ciampi e il Direttore Generale del Tesoro dell’epoca, Mario Draghi.
Dalle deposizioni relative è emerso un quadro (assolutamente concordante) della situazione di quel tempo che può così essere riassunto: nessuna richiesta di assistenza venne inoltrata al Ministero degli Esteri o comunque al Governo Italiano da parte di Telecom Italia; né comunque vi fu alcuna informativa ufficiale sull’esistenza delle trattative e sulla conclusione dell’affare; né tale informativa doveva essere fornita, non sussistendo alcun obbligo di legge o di Telecom Italia, che si stava proprio in quel momento sottraendo al controllo pubblico e immettendo sul mercato, dove doveva operare, come in effetti operò, in totale (perché privata) autonomia. Si trattò dunque di un’acquisizione posta in essere da una società che, pur ancora a partecipazione pubblica (verrà privatizzata formalmente solo alla fine del 1997), era stata però ristrutturata nel quadro della politica di privatizzazione avviata dal Governo italiano, conformemente agli obblighi assunti in sede di Unione Europea; e l’acquisizione di Telekom Serbia fu appunto un affare realizzato anche in vista della prossima privatizzazione. Ma, oltre a ciò, stava di fatto, secondo le deposizioni di cui sopra, che l’allacciare rapporti di affari con la Yugoslavia nel contesto politico ed economico di allora era considerato cosa auspicabile e profittevole: vi erano stati gli accordi di Dayton che avevano ricondotto tale nazione nell’area delle potenze occidentali; vi era stata la revoca delle sanzioni economiche a suo tempo deliberate nei confronti della Yugoslavia; vi erano stati rilevanti segnali di democratizzazione del regime di Milosevic, anche a seguito di iniziative in tal senso adottate dal Governo italiano. E dunque, quando il Ministero degli Esteri e successivamente la Presidenza del Consiglio e il Ministero del Tesoro, erano venuti a conoscenza dell’affare, la reazione era stata favorevole, sia per le conseguenze politiche che da ciò avrebbero potuto derivare, sia per la vitalità imprenditoriale dimostrata da Telecom Italia, recentemente privatizzata; status giuridico questo che comunque avrebbe impedito ogni intervento da parte del Governo. L’insieme di queste emergenze, acquisite nel corso dell’indagine, consente pertanto di ritenere comunque sfornita di ogni prova la tesi che ipotizza una volontà del Governo italiano di allora di nascondere la sua consapevolezza circa l’affare che si stava concludendo, allo scopo di non avere compartecipazioni e responsabilità in un’attività funzionale al sostegno di un regime tirannico e sanguinario e anche produttiva di utili illeciti…”.
 
Ho voluto trascrivere integralmente questo passo per la sua rilevanza. Innanzitutto, è possibile (finalmente!) venire a conoscenza, anche se per interposta persona, delle valutazioni di merito di Carlo Azeglio Ciampi, cioè di colui che deteneva, nella veste di Ministro del Tesoro, il 9/06/97, al momento della stipulazione dell’affaire, il  61% delle azioni di Telecom Italia.

Anonimo ha detto...

Detto questo, il lessico utilizzato dagli inquirenti torinesi non brilla certo per chiarezza e precisione; eppure non era difficile scrivere che fino all’ottobre 1997, quando Telecom Italia sarà privatizzata, l’azienda era sotto il controllo del Ministero del Tesoro. E a tal proposito sono sempre attuali le considerazioni che i radicali facevano già nel seguente comunicato del 9 ottobre 2003:
“Ieri sera, durante la puntata di “Porta a Porta” dedicata al caso Telekom Serbia, il senatore dei DS Guido Calvi ha affermato che il Governo Prodi aveva disciplinato secondo un principio di “non intervento” i rapporti fra il Ministero del Tesoro e le società da esso controllate, trattando le quote di controllo come mere partecipazioni finanziarie. Da questa nuova disciplina sarebbe conseguito il venir meno dell’obbligo da parte delle società controllate, o di chi in esse rappresentava il Ministero del Tesoro, di informare il Governo su decisioni strategiche. Cosa analoga aveva sostenuto Prodi nella sua memoria scritta di un mese fa, affermando che “così prevedevano le procedure che regolavano i rapporti fra il Tesoro e le Società partecipate”. Questa ricostruzione è clamorosamente errata, se non deliberatamente falsa, per almeno due ordini di ragioni:
a) Se il Governo ha introdotto una nuova disciplina, di questa deve esistere “giuridicamente” una qualche traccia. E’ possibile che non sia possibile rintracciare, fra i documenti dell’epoca, un decreto ministeriale, una circolare, un atto di indirizzo che dia conto di questa obiettiva “rivoluzione” nei rapporti fra il Tesoro e le società partecipate? Se questo atto non è stato tirato ancora fuori, evidentemente non esiste. Ma se non esiste questo atto, non è esistita alcuna “nuova disciplina”.
b) Nel 1997 era ormai in vigore da tre anni la legge 30 luglio 1994, n. 474 sulle privatizzazioni, che riconosceva un potere speciale del Governo perfino sulle società ex statali e poi privitazzate (e fra queste, anche la Stet), riservando al ministero del Tesoro una azione d’oro (golden share), cioè un potere di intervento, condizionamento e perfino veto su alcune decisioni, del tutto indipendente dalla quota azionaria detenuta dallo Stato (tanto è vero che, nel dicembre 2002, Tremonti ha venduto il 3,5% di azioni Telecom ancora detenute dallo Stato ma ha continuato a detenere i poteri derivanti dalla golden share). Ora, è possibile che nel giugno 1997 (acquisto partecipazione in Telekom Serbia), di fronte ad una Stet controllata dal Tesoro (che deteneva il 61,3% delle azioni), il governo Prodi rinunciasse interamente ad esercitare i poteri e i diritti della proprietà, mentre di fronte ad una azienda pubblica privatizzata (quale diventerà Telecom Italia a partire dall’ottobre 1997) il governo Prodi e quelli successivi fino a Berlusconi hanno mantenuto un potere d’intervento amplissimo e strategico?”.
N.B. Ecco l'elenco dei provvedimenti sulla golden share adottati dal governo Prodi, nel 1997:
1) D.P.C.M. 21 marzo 1997 (Individuazione di Stet S.p.a. e Telecom Italia S.p.a. quali società nei cui statuti introdurre poteri speciali a favore del Ministro del tesoro);
2) D.M. 21 marzo 1997 (Contenuto dei poteri speciali attribuiti al Ministro del tesoro da introdurre negli statuti di Stet Spa e Telecom Italia Spa);
3) D.M. 24 marzo 1997 (Partecipazione rilevante ai fini dell'esercizio del potere speciale del gradimento attribuito al Ministro del tesoro in relazione alle società Stet S.p.a. e Telecom Italia S.p.a.).
I tre provvedimenti citati sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale 25 marzo 1997, n. 70. Furono emanati in applicazione dell'art. 2 (poteri speciali) della legge n. 474 del 30 luglio 1994 (Norme per l'accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni), pubblicata nella G.U. 30 luglio 1994, n. 177.”.

Anonimo ha detto...

3)“vi erano stati rilevanti segnali di democratizzazione del regime di Milosevic , anche a seguito di iniziative in tal senso adottate dal Governo Italiano” …I fatti:
a)nel giugno 1997 il regime di Milosevic non riconosceva, unico Paese al mondo, il Tribunale Penale dell’Aja per i crimini commessi nell’ex-Jugoslavia;
b)nel giugno 1997 il regime di Milosevic reprimeva da otto anni gli albanesi del Kosovo, dopo aver abolito l’autonomia della regione, sancita dalla costituzione jugoslava del 1974;
c)nel giugno 1997 erano passati solamente sei mesi dalle oceaniche manifestazioni di piazza dell’opposizione democratica serba, che era scesa in strada per protestare contro l’annullamento dei risultati delle elezioni amministrative da parte di Milosevic … annullamento dovuto al fatto che i democratici avevano conquistato i più importanti Municipi della Serbia! Era dovuta intervenire la comunità internazionale; Dini e Fassino si erano recati nel novembre ‘96 e nel gennaio ’97 a Belgrado; infine, era stato nominato una sorta di “garante”, l’ex premier spagnolo Felipe Gonzales, che aveva costretto Milosevic ad accettare il responso delle urne; i “segnali di democratizzazione” erano forse state le botte prese in piazza dai democratici per opera della polizia del regime “tirannico e sanguinario”  (come, infine, sono costretti a definirlo i PM torinesi)?!
Lo stesso Prodi aveva ben presente lo stato delle cose reale in Serbia; il 18 gennaio 1997 trasmetteva alla Presidenza della Camera la relazione semestrale del governo “Sulla politica informativa e della sicurezza” in cui si parla della “grave crisi politica innescatasi a Belgrado”, delle “imponenti manifestazioni di protesta dopo l’annullamento delle elezioni amministrative” e si prevede che “l’aspirazione popolare alla completa democratizzazione del Paese non sia reprimibile a lungo, anche se la dirigenza di Belgrado non sembra disposta a cedere il potere. Ne potrebbe derivare un prolungato periodo d’instabilità politica …”.
Nella successiva relazione, presentata il 1° agosto 1997, ovvero cinquanta giorni dopo la firma dell’affaire, è scritto: “in Serbia diviene più aspro il confronto tra il governo e l’opposizione, in vista delle elezioni repubblicane che si terranno entro fine anno” e si denuncia anche “la precarietà della situazione in Kosovo”. Altro che Serbia felix, “ricondotta nell’area delle potenze occidentali”!

Anonimo ha detto...

Sempre commentando a spezzoni:

Pag. 35 dell’ordinanza (stralcio dalle conclusioni del GIP Francesco Gianfrotta):
“… Quanto alla differenza tra il prezzo convenuto e quello invero molto inferiore al primo (378 miliardi di vecchie lire, a fronte degli 890 pagati per l’acquisizione), “spuntato” al momento della rivendita delle quote (NDR: da parte di Tronchetti Provera, nel dicembre 2002), è agevole osservare che, due anni dopo la conclusione del contratto, la Serbia rimase coinvolta in una guerra che fu tanto disastrosa quanto imprevedibile …”.

Forse l’intervento NATO nel 1999 poteva e può essere giudicato “imprevedibile” da coloro che non hanno seguito con un minimo di attenzione le vicende dell’ex-Jugoslavia negli anni ’90; coloro che avevano analizzato la presa del potere di Milosevic – grazie alla “riconquista” del Kosovo - e le tre guerre d’aggressione da lui scatenate (Slovenia, 1991; Croazia, 1991/92; Bosnia, 1992/95), avevano individuato e segnalato per tempo il Kosovo come terreno di scontro sul quale si sarebbe svolta la quarta guerra..



Pag. 36 dell’ordinanza (stralcio dalla memoria depositata dal PM il 6/05/05):
“Quello che è vero è che essa (NDR: la due diligence) fu, come esplicitato da UBS, limitata e parziale perché effettuata sulla base di informazioni e documenti forniti da PTT e non verificati. Ma anche questa circostanza è stata ingiustificatamente valorizzata. E’ infatti evidente che, in quel momento (nel maggio 1997), Telekom Serbia come ente autonomo non esisteva poiché doveva ancora procedersi allo scorporo delle telecomunicazioni da PTT …Di qui l’assenza di dati storici obbiettivamente valutabili e di bilanci certificati; si trattava insomma di dare una valutazione prognostica di una società che sarebbe stata costituita solo in un prossimo futuro…”.
 Chiamiamo le cose con il loro nome; “una valutazione prognostica” significa, in questo caso, “una valutazione basata esclusivamente su documenti forniti dalla controparte serba”. Come risulta anche dalle audizioni in commissione parlamentare d’inchiesta, i tecnici di Telecom Italia, sbarcati a Belgrado, lì rimasero a consultare le carte fornite dai serbi; non fu permesso loro di verificare sul territorio lo stato della rete.
Concludendo: non lo prescrisse il medico di concludere ad ogni costo l’affaire Telekom Serbia, nonostante le controindicazioni politiche ed economiche; perché allora fu fatto? Perché Milosevic doveva essere aiutato, a qualunque costo … per esempio quello di accollarsi un’azienda con la bellezza di 13.500 dipendenti per due milioni di abbonati, dipendenti non licenziabili per almeno cinque anni!
Il 24 giugno 1997, quindici giorni dopo la stipula dell’affaire, Tomasi di Vignano spedì a Belgrado come vicedirettore generale di Telekom Serbia (il direttore era un serbo, un deputato socialista che non capiva niente di telefoni e che prendeva ordini direttamente dal regime), il Dr. Giovanni Garau, che era conosciuto in Telecom come “il bandito”: l’uomo duro, coraggioso, da impiegare nelle situazioni più difficili. Garau, prima dell’avventura serba, era direttore regionale Telecom per Campania e Basilicata: due milioni di abbonati come in Serbia … ma gestiti da 5.000 dipendenti soltanto!

Anonimo ha detto...

Buona lettura.
Dove hai letto di Telekom Serbia? SU qualche libro di Travaglio?
Prova a pensare se gli hai mai sentito dire queste cose.

E prova a leggerti un articolo intitolato “Telekom Serbia: Torino apre un’inchiesta“, pubblicato il 18 febbraio da Repubblica:

“…Ora si tratta di accertare in quali termini e in quale misura le uscite di Stet (la finanziaria, anch’essa con sede a Torino, che controllava Telecom e poi ne fu “inglobata” dopo la privatizzazione) siano state registrate nei bilanci.

L’operazione, come ha rivelato Repubblica, costò alla Stet che per l’occasione avrebbe fatto da “ufficiale pagatore” 701 milioni 770 mila marchi così suddivisi: una quota “ufficiale” di 683 milioni e rotti di marchi tedeschi versati alla European Popular Bank di Atene (10 giugno ‘97), nella disponibilità del ministro Milan Beko, il “cassiere” del governo Milosevic; e una quota “ufficiosa” di quasi 18 milioni di marchi, versati su due misteriosi conti della Paribas di Francoforte e della Barklays Bank London (11 giugno ‘97) e destinati a due ancor più misteriose società.

La quota ufficiosa corrisponde a tangenti? E, se sì, quanti di quei denari sono eventualmente rientrati in Italia?”

Chi l'ha scritto? Marco Travaglio.
Tinti sbugiarda anche lui. Adesso a chi credi? A Tinti o a Travaglio?

Luigi

Anonimo ha detto...

scusami ma non riesco a capire quello che vuoi far intendere:ti ho detto di non copiare ed incollare cose di altri ma tu manco per un cazzo

sapresti condensare quello che finora hai incollato con un tuo discorso breve conciso e circostanziato? per far capire quello che vuoi dire?
ovviamente, smentend le mie affermazioni :
1)quelli che scrivono sul giornale sono degli inginocchiati dipendenti che difendono a spada tratta il padrone effettivo (non il pregiudicato nominale). Anche Facci è andato via dicendo le stesse cose (non certo Travaglio)
2)Travaglio è un uomo libero e non è un servo del potere
3)TS si è rivelato una puttanata, sentenze alla mano.

Grazie
Paolo Straccio

Anonimo ha detto...

Buon Paolo
ieri sera ti ho postato un "pezzo" di farina del mio sacco. L'hai letto?
Penso proprio di no.
Poi ti ho copincollato. Pensavo non volessi copincollature dal Giornale. Non sei stato chiarissimo.
In definitiva:
"1)quelli che scrivono sul giornale sono degli inginocchiati dipendenti che difendono a spada tratta il padrone effettivo (non il pregiudicato nominale). Anche Facci è andato via dicendo le stesse cose (non certo Travaglio)"

Facci e' andato via perche' odia Feltri, ricambiato. Questa e' la verita'. Se leggi il giornale come dici c'e' un eloquente fondo di Feltri a conferma. Leggi l'articolo che Acchiappabufale ha postato. L'ha scritto Facci.
Leggi anche quello molto bello su DeBenedetti. Anche Repubblica ha degli appecorati, ammesso e non concesso che lo siano quelli del Giornale.

"2)Travaglio è un uomo libero e non è un servo del potere"

Questo e' tutto da dimostrare. Che cos'hai a sostegno della tua tesi?
Sono proprio curioso di sentirti.

"3)TS si è rivelato una puttanata, sentenze alla mano."

L'unica sentenza e' di archiviazione e se vuoi saperlo e' stata la pietra tombale che mi ha fatto capire che in Italia non c'e' giustizia.
Vatti a cercare il mio commento a questo post di ierisera.
Da occhio di lince quale sei non devi averlo visto.
Cordialita'
Luigi

Acchiappabufale ha detto...

Caro paolo ,
su Feltri-facci non la racconti giusta.
Parli di facci , ma ometti la risposta di feltri agli attacchi delllo stesso facci :

«Secondo lui (Facci, ndr) buttare nel cestino un suo articolo è un atto grave. E se invece fosse un' opera buona?», chiede polemico il direttore, che continua: «L' esimio editorialista profitta della telecamera per sfogarsi. Dice di me alcune falsità, più una grave omissione. Alcuni mesi fa, con la mediazione di mio figlio Mattia, Facci ottiene di farmi visita a Libero. Imbarazzato si siede e ammette: la causa che mi hai fatto vedrà te quale vincitore. Verissimo. E allora? Non ho soldi, me la abbuoni? Abbuonata. In quel momento gli sono diventato simpatico. Ma solo in quel momento»

Tra l altro non solo il giornale ha cambiato direttore , l hanno cambiato anche la stampa, l ansa, libero, italia oggi, il mattino ecc..
Non si capisce dove stia lo scandalo.

Sul comportamento dei giornali nei confronti di de Benedetti ha già scritto Sallusti,quindi non si capisce perchè se uno scrive per DB è un giornalista libero, se uno scrive per Mediaset non lo sia?
misterodellafede(antiberlusconiana)

Se travaglio sia libero da "potere" non lo so , però dovresti spiegare che significa "potere".

Su TS mi pare valga la pena andare a vedere quanto scritto da luigi.

Se posso aggiungere su Telecom andrei a vedere anche questo:
http://www.disinformazione.it/telecom_e_le_storie.htm

Anonimo ha detto...

Facci e' andato via perche' odia Feltri, ricambiato. Questa e' la verita'.

la verità è ben più complessa.l'odio per feltri (detto da Facci) non giustifica la sua uscita dal giornale.
FOrse c'è un problema di articoli che non dovevano essere o di libertà di stampa in pericolo
eloquente è l'intervista a Facci fatta da Anno Zero

vi invito a guardarla senza pregiudizi

http://www.youtube.com/watch?v=4Mq2IWrLYnY


Anche Repubblica ha degli appecorati
chi ha mai sostenuto il contrario? perchè i giornalisti dell'unità li assumono solo se sono di destra?non mi pare proprio
la differenza sta nel fatto che in repubblica come l'espresso quando ci sono inchieste che riguardano il malaffare di destra sinistra centro le notizie non vengono occultate, ma esposte mentre il Giornale grida al complotto, al processo mediatico, quello che dice Berlusconi è sacro gli altri se lo attaccano sono merde
da 9 anni Berlusconi ha governato per quasi 6 anni 1/2 e i titoli del giornale per 6 anni e 1/2 sono di elogio a Berlusconi e di fango sulla sinistra.
Mai un giudizio limpido che contempli le voci anche della parte opposta, possiamo fare un paragone? L'unità è come ilGiornale


Travaglio è un uomo libero e non è un servo del potere

e di chi sarebbe servo?
di D'alema? (lo ha denunciato non so quante volte)
dei magistrati? (che lo hanno giustamente condannato quando ha scritto fesserie)
dell'UDC? (altre querele)
del PD? (altre querele)
de Benedetti? (ha scritto sui suoi giornali ma poi ha fondato con Padellaro un giornale dove De benedetti non è socio)
di Di pietro (forse per il potere che ha di pietro in Italia come il due di picche)


in Italia non c'e' giustizia.
d'accordissimo
Paolo Straccio

Anonimo ha detto...

Caro Paolo
quasi quasi mi fai simpatia.
Ti immagino discutere animatamente con il Foglio Quotidiano brandito come una sciabola...
Ti rispondero' piu' tardi nel merito..anche se vedo che tu invece dal merito della questione svicoli sempre.
Studia, studia.
Luigi

Acchiappabufale ha detto...

Caro paolo, ormai i tuoi ragionamenti arrivano al paradosso.

se c è un giornale che ha il "complesso dei migliori" come in un bel libro di Ricolfi, questo è repubblica.
Hai letto forse l ultima omelia domenicale di scalfari, in cui si insultava bondi, gasparri, schigfani , minzolini ecc come uomini senza qualita e belpietro come alano da riporto, senza contare i continui insulti al cav, corrutore, egoarca, frequentatore di minorenni mafioso ecc
Se c è un giornale in cui viene negata legittimità politica all avversario, questi sono propio quelli di centrosinistra.

Per farti un esempio al giornale e adesso su libero scrive Peppino caldarola , ex direttore dell unità e deputato ds ed esponente di quel riformismo che in italia ha avuto ben poca fortuna.
Adesso sul Giornale e prima su libero tiene una rubrica Mario Capanna che con il centrodestra non centra nulla.

Esistono degli esempi simili sui giornali del centrosinistra?
se si , falli.

Sul potere come lo chiami tu , non sei stato in grado di darmi una definizione.
Certamente Berlusconi ha potere , ma non l unico :
la magistratura de benedetti la fiat murdoch draghi le banche e la finanza filo usa ecc sono dei poteri altrettanto se non più pericolosi...
certamente travaglio fa il gioco di questi ultimi...

su travaglio oltre alle frequentazioni sospette, è solito mettere la foglia di fico al idv e alle sue bugie :

http://www.ilgiornale.it/interni/travaglio_mette_foglia_fico_bugie_dellidv/31-07-2009/articolo-id=370747-page=1-comments=1

consiglio di non fidarti vatti a vedere come ha praticamente buttato fuori dall espresso il giornalista gabriele mastellarini o come si è comportato con Paolo barnard.

Anonimo ha detto...

Caro Paolo
Facci:
nell'ultimo articolo sul Giornale ha ringraziato Giordano per non avergli mai censurato mezzo articolo.

Repubblica:
leggiti questo articolo di oggi:
http://www.repubblica.it/2009/10/sezioni/cronaca/marrazzo-spiato-1/via-gradoli-racconto/via-gradoli-racconto.html?ref=search

solo per parlare di oggi.
Sai chi c'era nella seduta spiritica? Prodi.
Perche' non ne fanno il nome?

Travaglio:
dici "de Benedetti? (ha scritto sui suoi giornali ma poi ha fondato con Padellaro un giornale dove De benedetti non è socio)"
To'. Si potrebbe dire lo stesso di Feltri...prima l'Indipendente, poi il Giornale, poi Libero, poi di nuovo il Giornale. Mi pare che tu voglia dire che Feltri non e' servo del potere. Bene, mi sentiro' autorizzato a ripetertelo nelle future discussioni.
"di Di pietro (forse per il potere che ha di pietro in Italia come il due di picche)"
Potresti spiegare?

Infine vorrei farti leggere una cosuccia, che riguarda Repubblica e la Mitrokhin:

http://www.cielilimpidi.com/?p=438

Buona lettura.
Lo studente e' volenteroso ma non si applica.
Luigi

Anonimo ha detto...

Prodi.
Perche' non ne fanno il nome?

per quanto riguarda repubblica rileggi bene quello che ho scritto:

"Anche Repubblica ha degli appecorati
chi ha mai sostenuto il contrario? perchè i giornalisti dell'unità li assumono solo se sono di destra?non mi pare proprio"

e ho anche aggiunto

"la differenza sta nel fatto che in repubblica come l'espresso quando ci sono inchieste che riguardano il malaffare di destra sinistra centro le notizie non vengono occultate, ma esposte mentre il Giornale grida al complotto, al processo mediatico, quello che dice Berlusconi è sacro gli altri se lo attaccano sono merde"

Luigi,non mi pare che tu mi stia contraddicendo con il tuo ultimo post

poi le osservazioni di Facci le hai ascoltate? anche su quello che dice di Feltri?
non mi sembra...


Di pietro (forse per il potere che ha di pietro in Italia "che vale" come il due di picche)= ho dimenticato per la fretta
volevo dire che chi si appoggia ad un nessuno non mi sembra che lo faccia per avere potere

leggerò anche quello mi si dia tempo
Paolo Straccio

Anonimo ha detto...

"Luigi,non mi pare che tu mi stia contraddicendo con il tuo ultimo post"

A me sembra invece di si' perche' Repubblica occulta i nomi degli amici suoi. Guarda un po' la vita.

"poi le osservazioni di Facci le hai ascoltate? anche su quello che dice di Feltri?
non mi sembra..."

Quel pezzo ce l'ho a casa scaricato, l'unico modo in cui guardo annozero. Facci si contraddice con quello che aveva scritto a Giordano.
Riesci a seguirmi?

"volevo dire che chi si appoggia ad un nessuno non mi sembra che lo faccia per avere potere"

Dipietro non ha potere. Gia'. Perche' allora e' sempre in tv. Perche' non ha potere?
Perche' Travaglio scriveva su mille giornali e ora ne ha fondato uno suo? E' dura essere liberi dal potere.
E comunque come ti ripeto, Travaglio mente e manipola.

Aspetto che tu legga quello postato da acchiappabufale e me. Con tutta la calma.
Luigi