giovedì 26 novembre 2009

Io, accusato di essere mafioso, vi dico che Silvio è in pericolo. Vittorio Sgarbi

La mafia c’è. E ci sono soprattutto i mafiosi. Ma non c’è niente di peggio che cercare la mafia dove non c’è. E chiamare mafiosi quelli che non lo sono. Talvolta soltanto chiamarli, per sfregio, per rabbia, per inadeguatezza, come è capitato a me. Lo hanno dimenticato tutti e forse è persino inopportuno che io lo ricordi qui. Ma è una parabola esemplare. Con essa si può anche capire cosa abbia ispirato, in tante occasioni, il mio furore nei confronti dei magistrati che sbagliano. Così non ho mancato di ricordare, ogni volta che vengo provocato dagli integralisti che vengono ai miei incontri ispirati da una fede cieca in Grillo, Travaglio e il più modesto Pietro Ricca, le sfrontate imprese del loro idolo Caselli.
Che a parte la vicenda Andreotti, da me definita «processo politico» (con relativa condanna, per me, definitiva perché nessuno, neppure un parlamentare può osare dirlo e perfino pensarlo, dell’azione di un magistrato) concluso con la più pilatesca che salomonica sentenza di assoluzione con prescrizione per i reati commessi fino al 1980, sui quali peraltro - e Travaglio non lo dice - insiste soltanto la tesi dell’accusa senza un dibattimento fra le parti, vi sono altri episodi che segnalano la pericolosità del magistrato. Se nel caso di Andreotti ha ottenuto la soddisfazione, anche per non dichiarare vana un’inchiesta durata più di dieci anni e costata allo Stato qualche decina di miliardi di lire, di lasciare l’odiato nemico infangato (mafioso fino al 1° luglio 1980, non lo era più il 2) non ha peraltro dato segni di pentimento rispetto agli arresti di innumerevoli innocenti fra i quali il presidente della Provincia di Palermo Musotto, il padre francescano Mario Frititta, mostrato in manette fra due carabinieri perché aveva osato confessare un mafioso peccatore ma non pentito, il potente ministro democristiano Calogero Mannino tenuto in galera quasi tre anni, per essere poi assolto e senza che l’indagine sfiorasse il suo capo corrente De Mita, il grande magistrato Luigi Lombardini di cui tutti ricordano la probità ma che fu incriminato da Caselli e interrogato da un pool di magistrati arrivati con aerei di Stato e scorta a Cagliari umiliando il collega che, prima della loro partenza, cioè subito dopo l’interrogatorio, si suicidò. Non abbiamo per nessuno di questi casi segnali di ravvedimento da parte di Caselli, in compenso abbiamo tutte le querele che lui mi ha fatto per averlo criticato. Per il suicidio di Lombardini e per la carcerazione ingiusta di Calogero Mannino nessuno, tanto meno lui, ha pagato. Se dovesse essere riconosciuto il danno, a pagare sarebbe lo Stato. Fatta questa lunga premessa devo dire perché io non ho mai ritenuto che le ragioni dell’accusa, non sufficientemente fondate o basate sulle parole dei pentiti dovessero essere rispettate a priori. Sono «sparate» che fanno colpo, e oggi ne abbiamo la prova nella diffusa presunzione di colpevolezza del sottosegretario Cosentino, non in base ai fatti, ma in base al rango dei camorristi che parlano di lui. Considerati autorevoli, avvalorano le accuse. Ma le prove? E il rischio diffamazione? Quando è così forte l’accusa si pensa che sia fondata e viene sopraffatta la presunzione di non colpevolezza. Toccò anche a me, ma la forza della mia reazione non ha lasciato traccia dell’inevitabile diffamazione. Il 2 novembre 1995 ero a Spalato, partito il giorno prima con l’inseguimento dolce, di cui non avevo valutato il rilievo, di un colonnello dei carabinieri (un colonnello, non un maresciallo) che mi doveva consegnare un documento riservato. Poteva anche essere come in altre occasioni per le innumerevoli querele un avviso di garanzia, ma non gli avevo dato particolare peso. Senza dunque che io ne fossi a conoscenza la mattina del 2, verso le 11, mentre ero in riunione con il sindaco di Spalato, vengo informato che, sulle prime pagine di tutti i giornali, a otto colonne, era apparsa la notizia che insieme all’amica e collega Tiziana Maiolo, eletta come me al Parlamento in Calabria, ero indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo stesso reato che nei prossimi giorni i pm di Palermo potrebbero contestare a Berlusconi.
Nel giorno dei morti ero diventato mafioso. La mia reazione fu furibonda e il Parlamento presieduto da Giorgio Napolitano manifestò una pressoché unanime solidarietà, sfiduciando i magistrati. L’indagine continuò con le dichiarazioni di un pentito, tale Pino, che diceva cose insensate sui voti di evidente consenso che io avevo ottenuto con la mia popolarità, magari manifestando anche posizioni non diverse da quelle di Pannella sul regime del 41 bis. Per le quali i nomi di 52 deputati furono pubblicati in prima pagina di Repubblica come «infami» per avere pubblicamente espresso una posizione non politicamente corretta. Le accuse erano insensate e prive di qualunque riscontro che non fossero le mie parole nei comizi perfettamente corrispondenti a quelle in ogni altra sede e ancora oggi espresse. Ricordo i nomi di due dei quattro pubblici ministeri che si erano applicati a rendere credibili le parole del pentito: Tocci e Chiaravalloti. Come in altre occasioni, in Calabria, i magistrati si erano mossi con molta fantasia e suggestioni del genere: chiunque faccia politica in Calabria, dai vecchi notabili, a due new entry come Sgarbi e la Maiolo, è mafioso o colluso. Così si era avvalorato il reato, inesistente ai codici, di concorso esterno. Una insensatezza giuridica e uno strumento per colpire nemici ideologici. Per dare loro una lezione. Come era nel nostro caso. L’accusa resse per otto mesi, quando il procuratore capo Anfimafia Pierluigi Vigna, diede, con sensibilità e intelligenza, una strigliata ai quattro pm e al loro parzialmente dissociato capo Lombardi, e li indusse alla archiviazione. Ma l’obiettivo era stato raggiunto. Era quello di avere diffamato, in nome del popolo italiano, due politici del tutto estranei alle accuse, ma pericolosi per le loro posizioni di principio. Da quel momento io so che ogni accusa può essere infondata e che è diritto dell’accusato ribellarsi se conosce, diversamente dai magistrati, la verità. (il Giornale)

20 commenti:

Acchiappabufale ha detto...

Sgarbi ha perfettamente ragione :
perchè non ricordare l intervistsa di borsellino a berlusconi Volutamente manipolata?


ERA MANIPOLATA L’INTERVISTA DI BORSELLINO TRASMESSA DA RAINEWS24

Adesso è ufficiale,l’intervista del magistrato Paolo Borsellino,che fu trasmessa da RAINEWS24 era stata manipolata con copia e incolla e taglia e cuci, in particolare in una parte in cui si modifica il pensiero del magistrato circa i rapporti tra Marcello Dell’Utri e Mangano.
Lo dice la sentenza con cui il Sen. Paolo Guzzanti è stato assolto dopo aver denunciato il falso e querelato dalla Rai.
Nella sentenza si afferma che le accuse messe in bocca a Borsellino contro Dell’Utri sono un falso, l’intervista integrale era stata pubblicata su carta dal settimanale L’Espresso, circa un anno prima che fosse mandata in onda dalla RAI, è illuminante il passaggio in cui si chiarisce che quando Mangano parlava con Dell’Utri di cavalli,si riferiva a cavalli veri, Mangano parlava anche di cavalli intesi come traffico di droga ma questo lo faceva con un mafioso della famiglia degli Inzerillo, non con Dell’Utri ,come invece fa credere l’intervista manipolata trasmessa dalla RAI.
A questo punto però sorgono interrogativi di non secondaria importanza, e cioè:
-E’ questo il “servizietto pubblico” per il quale tutti i cittadini pagano il canone?
-Chi e perché aveva interesse a manipolare in tal senso l’intervista a Paolo Borsellino?
Sulla prima lascio giudicare a voi, sull’interesse a manipolare l’intervista le risposte possono essere tante e le più svariate, a me ne viene una in particolare : “ sono forse gli stessi che per subdoli motivi politici, o giustizialisti con vantaggi editoriali avevano tutto l’interesse a far dire a Borsellino,attraverso la manipolazione dell’intervista, che era consapevole dei legami mafiosi di Berlusconi con cosa nostra attraverso Dell’Utri e Mangano” ?
(aurora 86)

Acchiappabufale ha detto...

SINISTRI FALSARI - MANIPOLATA L'INTERVISTA A BORSELLINO
LISISTRATA.com

Comunismo e totalitarismiRicordate la famosa intervista (postuma) in cui il giudice Paolo Borsellino affermava che il mafioso Mangano proponeva a dell’Utri l’invio di alcuni “cavalli” in albergo, intendendo per “cavalli” droga? Bene: quell’intervista, dice una sentenza della Corte d’Appello di Milano appena pubblicata, è manipolata
perché la telefonata non si svolgeva fra Mangano e Dell’Utri, ma fra Mangano e un mafioso della famiglia Inzerillo: un taglia e cuci delle risposte di Borsellino aveva invece permesso di far credere che Dell’Utri fosse un mafioso che trattava droga.

La sentenza in questione mi assolve dall’accusa di aver diffamato nel 2001 l’ex direttore di RaiNews24 Roberto Morrione che avevo indicato come responsabile di una una falsificazione televisiva.

La Corte d’Appello di Milano, assolvendomi, conferma che avevo ragione perché l’intervista fu effettivamente manipolata anche se non si può sapere chi sia stato il manipolatore. Ma è certo che quella manipolazione fu usata per imprimere in marchio di infamia sull’immagine del senatore Dell’Utri.

L’intervista originale fu raccolta nel 1991 da un giornalista francese, Jean Claude Zagdoun che si faceva chiamare Fabrizio Calvi, e a lui Borsellino raccontò che Mangano, stalliere e commerciante di veri cavalli, era anche uno spacciatore e che talvolta alludeva ai carichi di droga chiamandoli “cavalli” nel codice con i mafiosi siciliani. Quando invece parlò con Dell’Utri di cavalli, intendeva non droga ma veri cavalli, come accadde quando Mangano chiese a Dell’Utri di acquistare un puledro di nome Epoca. Il processo che ha condotto alla sentenza nacque da una querela di Morrione per alcuni miei articoli pubblicati sul "Giornale” in cui dimostravo la manipolazione.

Ci sono voluti sette anni, ma alla fine la verità è saltata fuori certificata dalla magistratura dopo una condanna in primo grado perché non mi era stato consentito di esibire il confronto fra due diverse versioni dell’intervista che diventò, fra tanti cavalli, il cavallo di battaglia di Marco Travaglio.

http://www.popolodellaliberta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=350&Itemid=152

Vedi in questo articolo di Lisistrata il video di Borsellino manipolato http://www.lisistrata.com/cgi-bin/02lisistrata/index.cgi?action=viewnews&id=853

Acchiappabufale ha detto...

da paologuzzanti.it


« LA CORTE D’APPELLO DI MILANO MI ASSOLVE DANDOMI ATTO CHE L’INTERVISTA A BORSELLINO ERA MANIPOLATA COL COPIA E INCOLLA PER FAR CREDERE CHE IL MAFIOSO MANGANO PARLASSE DI DROGA CON DELL’UTRI, MENTRE INVECE PARLAVA CON UN MFIOSO DELLA FAMIGLIA INZERILLO. E SI CERTIFICA ANCHE CHE QUANDO DELL’UTRI PARLAVA DI CAVALLI, PARLAVA DI… CAVALLI ! E PENSARE CHE QUESTO ERA UN CAVALLO DI BATTAGLIA DEL SOLITO TRAVAGLIO CHE SPADRONEGGIA IN TV E SU YOUTUBE SENZA CONTRADDITTORIO. E’ UNA SENTENZA DEVASTANTE PER IL FINTO GIORNALISMO BASATO SU DOCUMENTI FALSI E MANIPOLATI
LA POLITICA ESTERA DEL NUOVO GOVERNO SARA’ SEMPLICE: NON STAREMO IN LIBANO PER FAR VINCERE HEZBOLLAH E UMILIARE ISRAELE, NOI CI VERGOGNAMO DI D’ALEMA CHE TIFA PER I NAZISTI DI HAMAS, AIUTEREMO L’IRAQ A RAFFORZARSI E SAREMO PRESENTI IN AFGHANISTAN CON REGOLE D’INGAGGIO ADATTE ALLA GUERRA CONTRO IL TERRORE. COSI’ FINIRA’ LA ORRENDA POLITICA ESTERA DI PRODI VELTRONI E D’ALEMA »
L’INTERVISTA A BORSELLINO MANIPOLATA FIN DALLA SUA ORIGINE. ECCO COME SIMONA RICOSTRUISCE LA NASCITA DEL FALSO CONSISTENTE NELL’INVENTARE UN INESISTENTE INTERESSE DI BORSELLINO PER BERLUSCONI PER MAI ESISTITI LEGAMI MAFIOSI, BUONI PERO’ PER IL TRAVAGLISMO.


SIMONA SCRIVE_

Caro Fabio,
io credo che Guzzanti, quando scrive ..e si certifica che quando DellUtri parlava di cavalli, parlava di cavalli!?, intendesse dire che poiché a DellUtri non sono state attribuite altre intercettazioni che riguardino cavalli in relazione a traffico di droga, con quanto stabilito in questa sentenza, possiamo affermare che quando DellUtri parlava di cavalli parlava di cavalli!?
Il riferimento non è casuale perché questa affermazione nel 2001 in effetti era piuttosto di moda:
http://www.marcotravaglio.it/interviste/satyricon.htm
.[Borsellino] dice che in una intercettazione del 1981 tra Mangano e DellUtri, Mangano sta contrattando con DellUtri a proposito di un cavallo. E Borsellino dice che nel maxiprocesso noi abbiamo appurato che Mangano quando parla di cavalli intende partite di droga?.

Chi non avesse letto i due testi comparati qua trova un sinottico che chiarisce dove sono stati effettuati tagli e spostamenti.
http://www.scudit.net/mdfalconeinter.htm
E interessante notare come anche lintervista orginale appaia parziale e tendenziosa perché sebbene Borsellino avesse subito chiarito che lintercettazione non riguardava DellUtri, i giornalisti francesi, anche nelle domande successive, continuano a riferirsi a quellintercettazione come quella tra DellUtri e Mangano.
Anche in seguito, quando viene chiesto un giudizio sui collegamenti tra Berlusconi, DellUtri, e Cosa Nostra, Borsellino inizia così la sua risposta:
A prescindere da ogni riferimento personale, perché ripeto dei riferimenti a questi nominativi che lei fa io non ho personalmente elementi da poter esprimere, ma considerando la faccenda nelle sue posizioni generali..?
Ma i due giornalisti, imperterriti, nella domanda successiva chiedono, travisando artatamente il senso della risposta precedente:
Dunque lei dice che è normale che Cosa Nostra sinteressi a Berlusconi??.

E poi evidente ma lo scrivo:
che il testo delle due interviste era molto diverso non poteva sfuggire ai gionalisti di RaiNews24 perché una versione più ampia era stata pubblicata per scritto su LEspresso un anno prima. Restiamo tutti comunque col dubbio che quello che è sparito dei 50 minuti di intervista fosse probabilmente più interessante di quello che è stato pubblicato (circa la metà).

Acchiappabufale ha detto...

Scandaloso: Era manipolata l’intervista di Borsellino trasmessa da RAINEWS24
da marcobg.wordpress

Adesso è ufficiale,l’intervista del magistrato Paolo Borsellino,che fu trasmessa da RAINEWS24 era stata manipolata con copia e incolla e taglia e cuci, in particolare in una parte in cui si modifica il pensiero del magistrato circa i rapporti tra Marcello Dell’Utri e Mangano. Lo dice la sentenza con cui il Sen. Paolo Guzzanti è stato assolto dopo aver denunciato il falso e querelato dalla Rai. Nella sentenza si afferma che le accuse messe in bocca a Borsellino contro Dell’Utri sono un falso, l’intervista integrale era stata pubblicata su carta dal settimanale L’Espresso, circa un anno prima che fosse mandata in onda dalla RAI, è illuminante il passaggio in cui si chiarisce che quando Mangano parlava con Dell’Utri di cavalli,si riferiva a cavalli veri, Mangano parlava anche di cavalli intesi come traffico di droga ma questo lo faceva con un mafioso della famiglia degli Inzerillo, non con Dell’Utri ,come invece fa credere l’intervista manipolata trasmessa dalla RAI. A questo punto però sorgono interrogativi di non secondaria importanza, e cioè:
-E’ questo il “servizietto pubblico” per il quale tutti i cittadini pagano il canone?
-Chi e perché aveva interesse a manipolare in tal senso l’intervista a Paolo Borsellino?
Sulla prima lascio giudicare a voi, sull’interesse a manipolare l’intervista le risposte possono essere tante e le più svariate, a me ne viene una in particolare : “ sono forse gli stessi che per subdoli motivi politici, o giustizialisti con vantaggi editoriali avevano tutto l’interesse a far dire a Borsellino,attraverso la manipolazione dell’intervista, che era consapevole dei legami mafiosi di Berlusconi con cosa nostra attraverso Dell’Utri e Mangano” ?

Acchiappabufale ha detto...

L’INTERVISTA A PAOLO BORSELLINO E IL MISTERO DEL NASTRO ORIGINALE. –
segugio.splinder

E torniamo ancora una volta a parlare della famigerata intervista, quella che Paolo Borsellino il 21 maggio ’92 rilasciò ai giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo.

Chi ci conosce, sa bene che noi abbiamo già analizzato in ogni virgola e apostrofo, sul blog “Cronache dall’imbecillario”, le manipolazioni e i “taglia & cuci” che ha subito la versione originale di quest’intervista prima di essere mandata in onda in TV o essere pubblicata da Marco Travaglio sul suo libro “L’odore dei soldi”, il quale Travaglio ne ha pure riletto alcuni stralci (proprio quelli più manipolati) al “Satyricon” di Luttazzi nel 2001.

Chi pertanto volesse riaggiornarsi su quell’argomento e sulle sentenze giudiziarie che hanno stigmatizzato le effettive alterazioni e manipolazioni di quell’intervista, può farlo rivedendo quei due vecchi articoli cliccando sui titoli:

Un uomo chiamato cazzillo

e

Il sinottico “Borsellino”

dove si trova il sinottico completo con il confronto testuale fra le varie versioni dell’intervista, compresa quella con i pochi stralci VERAMENTE originali oggi disponibili, così come riportati nel dispositivo della sentenza di condanna del Tribunale di Palermo nei confronti di Marcello Dell’Utri.

Le vicissitudini di quel nastro, sono più o meno note, e vediamo di riassumerle:

Rainews24 trasmette una versione tagliata e rimontata di quell’intervista, giudicata successivamente da due diverse corti giudiziarie come il frutto “di un’alterazione” e di “evidenti manipolazioni”.

Contestata dai vari soggetti che considerano quel lavoro di montaggio lesivo e mendace, Dell’Utri in primis, la Rai, nella persona del direttore di rainews24 Roberto Morrione,, replica di averla trasmessa così come l’ha ricevuta, senza alterarla e modificarla. Fatto che viene provato dalle testimonianze dei famigliari di Borsellino, i quali avrebbero consegnato il nastro alla RAI, avendolo ricevuto nel 1994 dalla giornalista Chiara Beria d’Argentine, (ovvero direttamente dai francesi, secondo un’altra versione), la quale a sua volta lo aveva ricevuto dagli stessi intervistatori francesi.

Per cui le sentenze stabiliscono che “nessuna manipolazione è attribuibile a Morrione Roberto, Ferri Arcangelo e Ranucci Sigfrido”, nel senso che il nastro manipolato è stato sì trasmesso da loro, ma senza alterazioni rispetto alla versione dagli stessi reperita.

I dettagli dei vari passaggi di mano subìti da quel nastro, ce li fornisce Silvio Buzzanca di Repubblica, il 17 marzo 2001:

“Ma da chi lo ha avuto (quel video - ndr)? Morrione parla prima della procura di Caltanissetta (cioè dice di averlo avuto da quella Procura – ndr), poi dice che da quella procura ha solo ricevuto l' assenso a mandarla in onda. Da dove arriva allora a Saxa Rubra la cassetta? Il direttore non può dirlo, "copre" giustamente i suoi giornalisti che hanno fatto uno scoop. Ma è quasi certo che a farla avere alla Rai sia stata Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato.

Acchiappabufale ha detto...

Dunque: sembrerebbe che la cassetta con l' intervista voli in Francia e torni a Palermo tagliata. Ma c' è un altro passaggio. Perché Calvi torna in Francia, lavora sull' intervista, la taglia, la usa in vista di un film sulla mafia finanziaria europea. Ma di questo film, spiega il giornalista francese, non si fece nulla, la società di produzione fallì. Allora Calvi chiama L' Espresso e offre la trascrizione integrale dell' intervista. (nota bene: la trascrizione originale, non il nastro originale – ndr) E per dimostrare che è veritiera l' accompagna con la cassetta (quella tagliata, ovviamente – ndr) . Da Milano parte la giornalista Chiara Beria di Argentine, vede la cassetta tagliata e la trascrizione integrale (ok – ndr) in italiano e francese, giudica il materiale interessante e lo riporta in Italia. Viene pubblicato la settimana successiva al 27 marzo 1994, data della vittoria elettorale di Berlusconi. Le foto dell' articolo vengono dalla cassetta tagliata con i sottotitoli in francese. La giornalista, successivamente, chiama la famiglia Borsellino perché vuole donare la cassetta (quella cioè avuta da Calvi, quella tagliata – ndr) : i Borsellino accettano e la ricevono durante un viaggio a Milano. Il prezioso oggetto torna quindi a Palermo (a casa Borsellino – ndr) , una copia finisce alla procura di Caltanissetta, un' altra approda a Roma, alla Rai. (e quindi tutto ok, alla RAI approda una copia di quella tagliata – ndr) Restano però delle zone oscure. Per esempio: perché non si trova l' originale della cassetta? (appunto – ndr) Beria D' Argentine spiega che la copia tagliata fu offerta a diversi tg, ma fu ritenuta priva di interesse o di difficile gestione visto che non era integrale. Giornalisti interessati alla vicenda, come Enrico Deaglio, hanno tentato nel corso degli anni di acquisire l' originale, ma di fronte agli ostacoli hanno rinunciato. Spiegazione da una fonte che preferisce l' anonimato: sembra che i diritti sulla cassetta appartengano a Canal +, che l' acquisì al tempo in cui Fininvest aveva una partecipazione nella società. E da allora se ne sono perse le tracce.”

Questa versione nei fatti negli anni successivi, ha sempre avuto sostanziale conferma sia da quanto emerso nei vari procedimenti giudiziari, sia da quanto scritto su altre fonti d’informazione, frale quali, naturalmente, Marco Travaglio, che nel suo articolo del 18 marzo 2008 “Un uomo chiamato cavallo” (L’Unità), attribuisce espressamente l’attività di “montaggio” del nastro dell’intervista, a “Canal Plus”. Per Marco, Rainews a quel montaggio non ha neppure spennellato la polvere. L’ha trasmesso così come l’ha ricevuto.

Acchiappabufale ha detto...

Ecco dunque alcuni stralci dai giornali:

“Fiammetta Borsellino, figlia minore di Paolo, interrogata oggi dal pubblico ministero di Palermo Antonio Ingroia proprio nell'ambito di quell'indagine ha confermato al magistrato la sostanziale autenticità della video cassetta che riproduce l'intervista del padre al giornalista francese Fabrizio Calvi. La ragazza, che ha detto di avere ricevuto copia della videocassetta con l'intervista del padre dallo stesso Calvi, ha detto di non avere riscontrato difformità tra la versione in suo possesso e quella trasmessa dalla tv. “ (da: “La Procura sequestra l'intervista a Borsellino” - Repubblica - 19 marzo 2001)

“Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato assassinato dalla mafia nel 1992, si è presentata dal magistrato palermitano Antonio Ingroia e ha consegnato l' originale della videocassetta, spiegando di averla consegnata l' anno scorso ai giornalisti Rai, identica a quella andata in onda. (La procura sequestra il video con l'intervista a Borsellino - Repubblica — 20 marzo 2001 pagina 2)

“La Procura di Roma ha fatto sequestrare la cassetta trasmessa da Rai News 24, che conteneva l' intervista in cui Borsellino parlava delle indagini su Marcello Dell' Utri e Silvio Berlusconi. Il punto è stabilire se sia sta manipolata (ieri Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato, ha confermato in Procura a Palermo la sostanziale autenticità).” (Corriere della Sera - 20 marzo 2001 - Pagina 2)

“La versione dell' intervista da noi trasmessa integralmente, così come l' abbiamo avuta, non risulta affatto «manipolata», come si è strumentalmente sostenuto. Era invece la riduzione, montata dai due autori per una trasmissione Tv che all' epoca inspiegabilmente non avvenne, di un materiale più vasto e coincideva nello spirito e nella sostanza con il testo integrale pubblicato nel ' 94 da L' Espresso. Non è vero che sia segreta la fonte della cassetta trasmessa, che venne data a Rai news 24 da Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato assassinato, come ha dichiarato lei stessa alla stampa e alla procura di Palermo.” (lettera di Roberto Morrione al Corriere della Sera, 5 giugno 2002 - Pagina 37)

Acchiappabufale ha detto...

“Quanto alla fonte del video, Vespa avrebbe potuto forse documentarsi meglio, perché da più di un anno il libro di Marco Travaglio cita Fiammetta Borsellino come nostra fonte, mentre numerose agenzie di stampa (e Repubblica del 17 marzo 2001) riportarono la sua dichiarazione sull' autenticità e la fedeltà dell' intervista televisiva del padre.” (altra lettera di Roberto Morrione al Corriere della Sera, 9 giugno 2002 - Pagina 35)

“Preciso che l' intervista fu consegnata a Rai News 24 da Fiammetta Borsellino, figlia del giudice assassinato e trasmessa integralmente come ci era stata data.” (LETTERA di Roberto Morrione a Repubblica — 22 dicembre 2002 pagina 16)

Quindi per riassumere, dalle testimonianze di fiammetta Borsellino, di Roberto Morrione, di Chiara Beria d’Argentine, e quindi da tutti i circuiti d’informazione in generale, oggi emerge un’unica versione dei fatti, seppur divaricata in due minuscole varianti:

Il”montaggio” ed il “taglia & cuci” sarebbe avvenuto in Francia, ad opera degli autori. In Francia non viene mai utilizzato in alcuna forma, ma nel 94 gli autori consegnano a Chiara Beria d’Argentine, una cassetta con la versione “tagliata” ed una trascrizione “integrale”, dell’intervista. La giornalista a sua volta, dopo avere pubblicato quella trascrizione il 27 marzo ’94, invita i familiari di Borsellino a visionare la videocassetta in suo possesso, (cioè la versione “tagliata” e “montata” da Calvi) e ne fa omaggio agli stessi famigliari. (Era sicuramente presente Agnese Borsellino, la moglie del giudice, ne riparleremo dopo). Dopo sei anni, Fiammetta Borsellino consegna la copia di quella cassetta frutto di un lavoro di montaggio, avuta da Beria d’Argentine, a Rainews24, che la manda in onda così come l’ha ricevuta.

In qualche caso si è letto che Fiammetta Borsellino avrebbe avuto quella cassetta “dallo stesso Calvi”. (Repubblica – 19 marzo 2001)

Acchiappabufale ha detto...

Ne dubito fortemente. Sicuramente si intende significare che proveniva da Calvi, attraverso il passaggio intermedio di Chiara Beria d’Argentine. Ma potrebbe essere che in qualche occasione il Calvi abbia fatto un gentile omaggio di quella cassetta direttamente alla giovane Fiammetta poco più che ventenne. Ciò significherebbe che in mano ai famigliari di Borsellino, ci sarebbero state due copie della stessa cassetta, quella con i tagli, avuta una da Chiara Beria che l’aveva avuta da Calvi, ed una direttamente da Calvi.

Il succo non cambia: in Italia sarebbe pervenuta sempre solo e soltanto la stessa cassetta, quella con i tagli, pur in doppia coppia.

Ed in effetti tutti si sono sempre domandati se sia mai esistito, in mano a qualcuno in Italia, un video originale integrale.

Ma ecco la sorpresa.

Dell’Utri viene condannato, e nel dispositivo della sentenza del Tribunale di Palermo, a pag. 431, si legge che: “In dibattimento il Pubblico Ministero ha prodotto la cassetta contenente la registrazione originale di quella intervista che, nelle precedenti versioni, aveva subito, invece, evidenti manipolazioni ed era stata trasmessa a diversi anni di distanza dal momento in cui era stata resa, malgrado l’indubbio rilievo di un simile documento.”

Dunque un originale c’è. E chissà da dove è uscito, ci domandiamo tutti.

Saperlo.

Così come sarebbe bello sapere, a questo punto, come il 3 novembre 2004, a pag 26 de “La Stampa”, Chiara Beria d’Argentine abbia potuto scrivere questo:

Acchiappabufale ha detto...

"Ci sono incontri che non si possono dimenticare. Agnese BORSELLINO aveva perso da due anni il marito Paolo - massacrato con la sua scorta, il 19 luglio 1992, in via D'Amelio, a Palermo - quando venne a trovarmi a Milano. Alla donna minuta, moglie e figlia di magistrati (il padre, Angelo Piraino Leto, fu presidente di Corte d'Appello) dovevo mostrare alcuni passi della lunga intervista che il marito aveva fatto a dei giornalisti francesi una settimana prima dell'assassinio di Giovanni Falcone a Capaci; 60 giorni prima del suo stesso martirio. Su quell'intervista, negli anni a venire, in special modo in periodi pre-elettorali, si e' sollevato un gran polverone. Frasi del giudice citate a caso; polemiche e, visto che era stata pubblicata ma non fu mai piu' trasmessa in tv, persino dubbi sulla sua esistenza (al procuratore capo di Palermo, Pietro Grasso, consegnai, a quel punto, le cassette audio integrali con la voce di BORSELLINO). Ma tutto questo e' ormai materia di verbali, di infiniti processi. Alla vigilia della programmazione in tv della fiction sulla vita di Paolo BORSELLINO (8, 9 novembre, Canale 5, regista Gianluca Tavarelli, produttore Pietro Valsecchi) quel che ricordo e' l'interrogativo che tormentava Agnese BORSELLINO. Un interrogativo rimasto ancora oggi, se non ci si ferma agli esecutori delle stragi, senza risposta. «Voglio capire chi e perche' ha ucciso mio marito», ripeteva la signora vedendo le immagini, fino a quel momento a lei inedite, del marito ripreso nello studio della loro casa di via D'Amelio. Ancor piu' che le parole - una lucida analisi sul salto di qualita' di Cosa Nostra nei primi anni Sessanta - era commovente anche per chi stava accanto a lei in risentire nel filmato i rumori ordinari di quella casa; rivedere i piccoli gesti quotidiani del giudice. Il suono di un orologio a pendolo, il fumo della sua sigaretta in bocca, il telefono che suona. E ancora di piu'. Sentire una nota di preoccupazione nella voce del giudice ma solo perche' l'operatore aveva inquadrato alle sue spalle la bandiera tricolore appartenuta al padre con lo stemma sabaudo e, chissa' mai quali polemiche gli avvoltoi si sarebbero inventate contro di lui. La signora BORSELLINO raccontava di quegli ultimi, tormentati 57 giorni di vita del marito; quel tempo troppo breve e fatale tra la morte dell'amico Falcone e il suo martirio. A un tratto, nel filmato, il giudice s'interrompe: lo avvisano che i suoi ospiti devono spostare la loro automobile che avevano, in tutta tranquillita', parcheggiato dopo aver scaricato il materiale per le riprese, sotto casa, in via D'Amelio. Particolare da brivido: la prova dell'inefficienza, nel maggio '92, della protezione attorno a un giudice da anni nel mirino della mafia, sicuramente dal maxiprocesso a Cosa Nostra.”

Acchiappabufale ha detto...

Amici segugi, qualcuno di voi, osservando bene, magari su Youtube, la famosa intervista di Borsellino trasmessa da Rainews24 riportata paro paro, senza modificazioni di sorta, com’era su “la cassetta tagliata” da Calvi che la stessa Beria d’Argentine ha rivisto con i famigliari di Borsellino, descrivendo dettagli così toccanti, e poi consegnata in copia anche alle Procure dalla stessa Fiammetta Borsellino, mi potrebbe indicare in quale punto di quel video si può sentire una “nota di preoccupazione nella voce del giudice solo perche' l'operatore aveva inquadrato alle sue spalle la bandiera tricolore appartenuta al padre con lo stemma sabaudo”, oppure in quale altro punto “il giudice s'interrompe”perché “lo avvisano che i suoi ospiti devono spostare la loro automobile che avevano, in tutta tranquillita', parcheggiato dopo aver scaricato il materiale per le riprese, sotto casa, in via D'Amelio.” ?

Spatuzza ha detto...

Acchiappabufale: sei il maratoneta della stronzata!
Ma non ti stanchi mai?

maurom ha detto...

Ottimo lavoro, Acchiappa.

Acchiappabufale ha detto...

L unico che dice stronzate sei tu caro Spatuzza .
Del resto da uno che si firma con un nome di un mafioso non c è da aspettarsi altro , se non che qualcuno lo prenda a bastonate fra i denti ...

sei un eversivo e un reazionario,
tu e chi crede alle bufale dei pentiti.

Acchiappabufale ha detto...

Da Lima al bacio di Andreotti tutte le invenzioni dei pentiti

L’alfa e l’omega dei pentiti. E delle bugie a distanza di tanti anni. Le storie si ripetono e si inseguono. Inquietanti, come i doppifondi che nascondono. Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura entrano nel libro mastro dei collaboratori che hanno spacciato menzogne come, a suo tempo, Giovanni Pellegriti, uno dei primi, se non il primo in assoluto, a passare dalla parte dello Stato. Pellegriti accusa, nientemeno, Salvo Lima, a quel tempo proconsole di Giulio Andreotti a Palermo, di essere il mandante di uno dei tanti omicidi eccellenti, quello del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella. Giovanni Falcone, sempre evocato e qualche volta pure a sproposito, corre nel carcere di Alessandria a interrogarlo e capisce subito che il pentito mente. Non sa nulla di Mattarella né dei suoi assassini. Dovrebbe far arrestare Lima e mandare un avviso di garanzia ad Andreotti, invece incrimina per calunnia Pellegriti e lo fa condannare a quattro anni. Quattro anni per aver venduto menzogne allo Stato. Un caso unico che ora potrebbe ripetersi.
Tanti anni e tanti pentiti dopo. Falcone, purtroppo, non c’è più, ma c’è un nuovo dichiarante - strana crisalide sul punto di trasformarsi a tutti gli effetti in pentito doc - che porta acqua al mulino delle accuse a Silvio Berlusconi. È Gaspare Spatuzza, il killer di don Puglisi, pentito, convertito e addirittura aspirante teologo. Spatuzza riporta le confidenze dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, sui rapporti di Cosa nostra col premier: dunque diventa importante, credibile, persino autorevole. Ma, incidentalmente, sconfessa anche Candura e Scarantino che si erano accusati di aver rubato la 126 usata per la strage di via D’Amelio e la morte di Paolo Borsellino. Che fare? Tagliare a fette, come un prosciutto, il racconto di Spatuzza? No, non si può avallare lo Spatuzza che parla del premier e cancellare lo Spatuzza che riscrive via D’Amelio. E allora si buttano nel cestino Scarantino e Candura, anche se i racconti dei due sono serviti per costruire una verità processuale che ha retto a tutti i gradi di giudizio. Per via D’Amelio sono fioccate condanne, condanne pesantissime. Non importa. Ora la coppia Scarantino-Candura è indagata per calunnia e autocalunnia. Ma le prove dov’erano? E i riscontri? E gli elementi oggettivi a cui ancorare quelle pagine?
Non c’erano, ammettono oggi i giudici. Ma ieri, con l’illustre eccezione del pm Ilda Boccassini, nessuno aveva seguito per via D’Amelio il metodo Falcone. Quei verbali erano tappeti volanti che portavano i magistrati lontano, dove non sarebbero mai arrivati. E si faceva la gara per salirci sopra. Certo, era più semplice dare la parola come fosse un conferenziere, a chi raccontava e riaggiustava a ruota libera la storia d’Italia. Un innamoramento sconsiderato, come è stato spesso eccessivo, senza filtri critici, l’amore dei nostri investigatori per le nuove tecnologie scientifiche, per i test del Dna, per le elaborazioni alla Csi. Col risultato di avere un alto numero di delitti irrisolti.
Il pm di Bologna Libero Mancuso ha composto una sorta di fenomenologia del pentito, o almeno di un certo pentitismo, incarnato da Angelo Izzo, lo stupratore del Circeo, uno dei più fecondi inventori di storie a cavallo di criminalità comune e criminalità organizzata: «Si intuiva la volontà di soddisfare chi lo interrogava, al di là di quello che lui sapeva. Era come se prevedesse quello che l’inquirente voleva sentirsi dire e si adeguasse a questa previsione, per far contento il magistrato». Come un cinico seduttore che ha fatto i suoi calcoli. Così è proprio Izzo a ispirare Pellegriti che però trova sulla sua strada Falcone.

Acchiappabufale ha detto...

Altri hanno fabbricato di tutto pur di continuare a coltivare, come tanti dottor Stranamore, i propri affari criminali sotto il velo del pentimento. Per cinque anni nessuno si accorge della doppia vita del siciliano Pierluigi Sparacio che non ha mai smesso di gestire gli interessi della sua cosca. Giacomo Lauro, padrino della ’ndrangheta, da pentito si dedica al narcotraffico e, colto con le mani nel sacco, si giustifica candidamente: «Mio fratello Bruno non è in grado di mantenersi se non spacciando droga. Cosa dovrei fare, non dovrei aiutarlo?».
Come si fa a prendere a scatola chiusa, come pure talvolta è accaduto, personaggi di questo spessore? Giuseppe Ferone fa di più: nel ’96 ordina addirittura una strage vicino al cimitero di Catania. E Balduccio Di Maggio, il principe dei collaboratori, quello del bacio da fiction tra Andreotti e Riina, andrà avanti per anni a organizzare indisturbato, se non sotto protezione, attentati, estorsioni, persino consulenze per un traffico di droga.
L’unica chance con i pentiti è quella di pesarli, con le loro verità e le loro menzogne, sulla bilancia dei riscontri. Come insegna una memorabile udienza del processo Andreotti, dove un grappolo di collaboratori - perché uno non basta mai - ipotizzava un abboccamento fra il sette volte presidente del Consiglio e il capo della mafia catanese Nitto Santapaola. Alla fine, messi alle strette dopo un estenuante batti e ribatti, i collaboratori indicarono la data del presunto summit. Peccato che quel giorno Andreotti avesse stretto la mano a Mikhail Gorbaciov.

di Stefano Zurlo.

Spatuzza ha detto...

Eversivo e reazionario!
Oltre ad acchiappare le bufale ogni tanto hai tempo per dare un'occhiata al dizionario?
(e poi io, Spatuzza sono molto amico di Marcello che dovrebbe essere anche amico tuo, quindi anche noi dovremmo essere amici)

Acchiappabufale ha detto...

Non sei amico di nessuno e nemmeno simpatico :
ti dovresti Vergognare a firmarti col nome di un criminale che uccideva persone sciogliendole nell acido.

Sei un eversivo e un reazionario.

Acchiappabufale ha detto...

Il teste anti Silvio: così ho sciolto bimbi nell’acido

Per avere un’idea di che tipetto sia Gaspare Spatuzza, il pentito che accusa Silvio Berlusconi d’essere l’ispiratore delle bombe del ’93, è illuminante leggere la trascrizione di un confronto all’americana fra lo stesso mafioso pentito e un mafioso che tale è rimasto, Cosimo Lo Nigro. Spatuzza ammette d’aver fatto i salti di gioia a vedere Giovanni Falcone saltare in aria a Capaci e Paolo Borsellino morire (anche per mano sua) in via D’Amelio. Rivela d’aver squagliato nell’acido bambini e cristiani adulti. D’aver ucciso preti. «Ma poi ho trovato Cristo» e, d’incanto, giura Spatuzza, ho trovato anche la forza di collaborare con lo Stato.
I due vengono messi uno di fronte all’altro il 10 settembre 2009 nel carcere romano di Rebibbia. Spatuzza si rivolge al «fratello Cosimo» ricordandogli il travaglio interiore che l’ha portato a pentirsi. «Sono state fatte scelte sbagliate, mostruose, oggi, perché ci siamo spinti al di là del nostro dovuto. Io ho sempre detto a tutti i magistrati che noi non siamo terroristi». Per Spatuzza lo «spingersi oltre il dovuto» non è rappresentato dalle stragi del ’92 ma solo da quelle del ’93. «Io ho gioito per Capaci perché quello rappresentava un nemico di Cosa nostra. Oggi me ne vergogno ma ho gioito per Capaci. Ho gioito anche per via d’Amelio, perché questo era un nemico nostro. Il nostro malessere inizia a pesare quando entriamo al di là del dovuto come criminalità organizzata denominata Cosa nostra. Quando entriamo su Firenze, nel momento in cui il nostro nemico non sono più le istituzioni come Stato, ma diviene le persone inermi, le persone comuni». Come la bimba rimasta uccisa dal tritolo in via dei Georgofili a Firenze di poco più giovane di Giuseppe Di Matteo, figlio del boss Santino di Altofonte, da lui sequestrato per 777 giorni, strangolato a mani nude nel 1996 e poi liquefatto dentro un bidone di acido corrosivo. O come il sacerdote don Pino Puglisi che, secondo una confidenza fatta da Spatuzza al cappellano del carcere di Ascoli, personalmente andò a fissare negli occhi sapendo che l’indomani, godendo, l’avrebbe finito come un cavallo zoppo. «Spatuzza mi disse – racconta a verbale don Massimiliano De Simone – che prima della sua uccisione volle andare a vederlo e ne ricorda il sorriso che ha poi rivisto prima che questi morisse».
Spatuzza chiede umilmente perdono. Invita Lo Nigro – che non lo degna di una risposta - a seguirlo nella redenzione. «Stiamo consegnando la nostra immagine alla storia, un’immagine di mostri. Io non so se in questi anni ha pensato la figura di Don Pino Puglisi, la figura di Giuseppe Di Matteo! Un bambino. Oggi dico una mostruosità. Un bambino. Io l’ho fatto, l’ho fatto insieme a lui (a Lo Nigro, ndr). Squagliare delle persone nell’acido. L’abbiamo fatto assieme. E so cosa significa squagliare un essere umano. Ma la mia mente non riusciva a concepire una mostruosità del genere, un bambino a 12 anni! Queste sono vigliaccate. Io non so quali sono le tue scelte, però ti invito a riflettere in te stesso: non dico di collaborare. È una questione personale. Non c’è motivo per arrivare a questo punto. Io ti posso...». Lo Nigro: «Finisci l’argomento, finisci il tuo argomento». E Spatuzza: «Stai parlando con un tuo fratello». Lo Nigro si morde le labbra. Lascia che il pentito passi a raccontare del giorno in cui, a Campofelice di Roccella, insieme protestarono col boss Giuseppe Graviano che si stavano facendo troppi morti inutili, ricevendo in risposta l’assicurazione che «era giusto così perché chi si doveva dare una smossa era bene che se la desse». Lo Nigro non si tiene. Sta per esplodere. Ed esplode: «Premesso che con Gaspare noi ci siamo voluti bene come fratelli ma io a Graviano l’ho conosciuto a Tolmezzo (in carcere,ndr)

Acchiappabufale ha detto...

e mi ero dimenticato che c’eri anche tu a Tolmezzo che avevi avuto delle lamentele per colloqui, problemi, cose». Prima smentita: l’incontro in cui il boss Graviano disse, o avrebbe detto, certe cose sui morti delle stragi, non c’è stato mai a Campofelice. Secondo Lo Nigro, Spatuzza mente. «Quello che dici tu... ma sei sicuro di quello che dici?». Spatuzza biascica frasi incomprensibili. Lo Nigro lo stoppa: «Prima hai parlato tu, adesso parlo io. Premesso che io e i signori Graviano l’ho conosciuti in carcere (...) ti dico, ma che stai facendo? Che stai facendo!». Spatuzza: «Non puoi dire che io sto mentendo». Lo Nigro: «Non di poco! (...) Ma che stai dicendo! Che stai facendo! Non mentire (...) Tutto mi potevo aspettare ma non che la tua persona uscisse pazza in questo modo!».

di Gian Marco Ciocci