domenica 3 gennaio 2010

Auguriamoci che cambi. Davide Giacalone

Abbiamo passato metà del 2009 a parlare di prostitute e travestiti, trasmettendo l’idea che, in Italia, quel che guida il Paese si copra più con le mutande che con il cappello. Adesso, finita la straziante parentesi degli auguri, apriremo il 2010 discutendo se sia lecito, o meno, ricordare positivamente un ex capo del governo che morì all’estero, visto che sul suolo patrio avrebbero voluto ingabbiarlo, e ne discuteremo nel mentre la giustizia tenterà d’ingabbiare l’attuale presidente del Consiglio, trasmettendo, così, l’immagine di un Paese ripetutamente nelle mani dei criminali, o, se si preferisce, periodicamente flagellato da giustizieri forsennati. Eppure, questo è lo stesso Paese che figura in cima alle classifiche di ricchezza, uno dei più potenti, impegnato, con le proprie truppe, in delicate e pericolose missioni di pace, i cui cittadini, ad ogni festa comandata, invadono le vie del mondo, consumando e comperando, senza mai smettere di lamentarsi. Siamo matti, o mattacchioni?
In realtà, è la storia di sempre. Ce la portiamo dietro nel dna collettivo: la nostra natura è anarcoautoritaria. Parliamo di roba pericolosa, come il governo dei giusti e dei buoni, capaci d’imporre a tutti l’obbligo d’essere migliori, che sono concetti capaci di far sgorgare sangue e affogare nell’orrore, ma che, da noi, salvo brevi eccezioni, non fanno paura, sono petardi bagnati, perché il vero stemma che garrisce sulla bandiera nazionale è: mi faccio gli affari miei. Vogliamo lo Stato forte e l’autorità burbera, con gli altri, ma per ciascuno di noi rivendichiamo il diritto a posteggiare nel luogo più vicino al negozio che c’interessa, quello a saltare le file, quello ad usare le conoscenze per gabbare tutti gli altri. Anarcoautoritari, appunto. Non facciamo che piagnucolare sull’“immagine internazionale dell’Italia”, attribuendo sempre a qualcun altro la colpa della sua pretesa negatività. Poi, però, la alimentiamo con trasporto, e se ci capita di dover parlare dell’Italia, ne diciamo il peggio possibile, cercando d’assecondare il pregiudizio che immaginiamo il nostro interlocutore nutra. Così, per colmo del ridicolo, capita che sia un inglese o un americano a ribattere: si, va bene, ma siete un Paese meraviglioso e il mondo è pieno d’italiani in vacanza, segno che proprio alla miseria non siete.
No, non ci siamo. Il guaio è che non riusciamo a girare la frittata. Fin dai primi anni di scuola, da noi la musica è sempre la stessa: chi studia di più ed è più bravo viene preso in giro, mentre gli altri rimorchiano. Poi non ci sottraiamo alla lussuria di far crescere questa distorsione della convenienza, vantando, tronfi, gli arricchimenti senza gran impegno di lavoro e nascondendo, anche per ragioni fiscali, quelli meritati e sudati. Il nostro è un Paese con un’immensa ricchezza privata, che mostra al mondo uno Stato con le pezze al sedere. E mi riferisco esclusivamente al bilancio, che ne è solo l’aspetto contabile.
Avrei da dire delle cose, sulla faccenda della via da intitolarsi a Craxi, e le scriverò. Ma ce n’è una che deve precederle, più generale ed importante: dobbiamo piantarla di falsificare la storia per giustificare le miserie contemporanee. Raccontiamo l’Italia come una bugia, sperando di salvarci. Invece ci danniamo e degradiamo. Ho scritto, spesso, dell’intreccio fra politica e giustizia, ma una cosa deve anticipare il resto: un Paese in cui la giustizia è affidata ai militanti politici e la politica ai magistrati è un Paese che ha deciso di massacrarsi. E, per quanto facciano pena gli auguri, ne avrei uno da rivolgere, a noi tutti: che in Italia riescano a contare i tantissimi che studiano, che lavorano, che sono orgogliosi d’essere italiani, che ci rendono la settima potenza economica del mondo, che ci rappresentano nei mercati e nelle scienze, che sanno appassionarsi alle cose che fanno, che credono nel futuro e che provano dolore, che soffrono nel vedere come tanta ricchezza si traduca in miseria morale e istituzionale, come tanta abbondanza dia luogo a penuria d’interesse generale. L’augurio è quello di seppellire l’anarchia egoistica, sì come l’autoritarismo moralistico. Tenendo quel che basta e quel che serve per rispettare la nostra natura profonda, ma mettendoci nelle condizioni di far correre la parte migliore di noi stessi. E’ accaduto, in passato, accadrà ancora. Dipende solo da noi.

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