giovedì 21 gennaio 2010

Banca Coop. Davide Giacalone

Mediobanca analizza il mondo delle Coop, guarda i numeri, studia la struttura, e dà ragione a quello che qui abbiamo scritto. Avevo sostenuto, tra l’altro, che i supermercati Coop sono una mascheratura, per ottenere un vantaggio fiscale, un tradimento del dettato costituzionale. Dopo la pubblicazione dell’articolo ho ricevuto reazioni che si dividevano in due categorie: dipendenti ed ex dipendenti, che applaudivano, mentre i rossi militanti del carrello inveivano. Adesso Mediobanca, con il rapporto R&S, avverte: guardate che le Coop sono una banca. E’ vero, ma sleale.

Il vantaggio fiscale, che rende sleale la competizione, ruota attorno ad una finzione: coloro che posseggono quote delle cooperative non sono considerati investitori, o risparmiatori, come vale per qualsiasi altra società o banca, ma “soci”, intendendosi per tali dei soggetti direttamente coinvolti nella finalità mutualistica della cooperativa, senza alcun fine di speculazione. Per tale motivo, e facendo riferimento all’articolo 45 della Costituzione, il regime fiscale per i soldi versati dai soci è di favore: 20, anziché 27% degli interessi. Aliquota che, fino a due anni fa, era del 12,5%.

Grazie a questo vantaggio, e con i soldi versati da quelli che si pretende siano soci, ma, in realtà, sono dipendenti o clienti, le Coop si finanziano ad un costo inferiore, rispetto agli altri. Quindi, alla fine, non ci si deve stupire se, con 11,7 miliardi di fatturato, equivalgono al doppio dei loro concorrenti. Se possono disporre di 957 punti vendita, contro i 135 di Esselunga (per avere un riferimento), complice anche la benevola accoglienza, alle cooperative riservata dalle amministrazioni locali amiche. E non c’è da stupirsi se, grazie al meccanismo descritto, le Coop raccolgono un “prestito soci” pari a 11,3 miliardi, vale a dire il doppio del risparmio raccolto da Mediolanum (sempre per avere un riferimento).

Il finanziamento a basso costo consente di fare cassa per pagare i fornitori, in questo modo tagliando i tempi, rispetto ai concorrenti. Siccome nessuno fa beneficenza, è ragionevole supporre che avendo maggiore disponibilità liquida, e pagando prima, le Coop spuntino migliori prezzi. E questo altera la concorrenza, già zoppa per gli altri motivi.

Una parola sui “soci”, e i loro “prestiti”. Dopo avere letto l’articolo mi ha scritto uno dei dipendenti, anticipando Mediobanca e raccontando che il supermercato è, appunto, una banca, ma affermando che i versamenti non sono affatto volontari, perché si ha la facoltà, ma di fatto l’obbligo, di versare lo stipendio sulla tessera Coop, che può essere utilizzata come un bancomat. E’ chiaro? Non solo sono fiscalmente avvantaggiati, ma esercitano, sui dipendenti, un controllo ed una guida che sarebbe considerata abominevole in qualsiasi altro luogo.

Che ci fanno, con tutti questi bei soldoni? Esattamente quel che avevamo scritto: una parte va in attività finanziarie, che, facendo marameo alla Costituzione, sono speculative per definizione, e una parte serve a consolidare il potere economico e politico. Con quei soldi, le nove grandi Coop hanno in portafoglio il 57,23% della Holmo, società holding, che, a sua volta, controlla Unipol (quella di Consorte e Sacchetti, quella di “abbiamo una banca”, quelli dei 50 milioni all’estero, per intenderci). Non contente, hanno comprato anche 5,5% della banca Unipol, così come posseggono il 3,62% di Montepaschi di Siena, che non solo rientra nella galassia politico-amministrativo-finanziaria del potere rosso, ma è anche l’altro socio in Holmo. Della serie: meglio tenersi per le palle, che non si sa mai. E siccome, a forza di giocare con la finanza, ci si prende gusto, hanno anche il 90,05% della Singest, società d’intermediazione mobiliare. Cosa, tutto questo, abbia a che vedere con il costituzionalizzato ideale cooperativo, con la mutualistica ed il ripudio della speculazione, è mistero glorioso di fin troppo facile soluzione.

La corsa alla crescita commerciale ed all’arricchimento è uno sport salutare. Per chi lo pratica e per la collettività che lo circonda. Si devono rispettare le leggi, naturalmente, altrimenti si tratta di disciplina diversa. Nel caso delle Coop, però, è proprio il travestimento a sfregiare il mercato, dato che si applicano al più grande gruppo della distribuzione le regole che erano state concepite per gli agricoltori che si riunivano in cooperativa, mettevano in comune i macchinari, portavano l’uva all’ammasso presso la cantina sociale e così provavano, mettendo capitale e lavoro nelle stesse mani, a farsi strada in un mercato in cui la loro singola dimensione era troppo piccola. Minuscola. Qui abbiamo a che fare con un gigante, e lo tassiamo come fosse un lillipuziano. Senza contare che il capitale se ne sta ben lontano dal lavoro.

Tutto questo, al netto della documentata eventualità che i loro amati soci-lavoratori, nonché finanziatori, li abbiano anche spiati. Li considerano preziosi, e hanno ragione. Lo è anche la trasparenza del mercato e la parità di condizioni nella competizione, ragione per cui, del tutto a prescindere dall’eventuale questione penale, alla materia occorre mettere mano.

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