sabato 30 gennaio 2010

Basta con il politically correct. Maria Giovanna Maglie

È infatti vero senza tema di confronti con le cifre, con i dati, con l'esperienza della nostra vita quotidiana, che l'immigrazione clandestina ha come primo risultato negativo l'aumento della criminalità, è vero insomma che gli stranieri, extracomunitari e non, che entrano nel nostro Paese e che ci restano senza alcun permesso, diventano in parte sostanziosa dei derelitti, spesso dei delinquenti. È altresì vero che averlo detto serenamente e semplicemente equivale a infrangere un tabù che i politically correct di casa nostra, e tutti i politici tradizionalisti e conservatori, non sono disposti a vedere infranto, ne va della loro residua capacità di raccontare chiacchiere invece di pensare a programmi politici decenti. Gli esponenti dell'opposizione, la sinistra in specie ma anche una parte del mondo cattolico affezionato alla dottrina sociale, sono ferocemente affezionati a un linguaggio di buone intenzioni e di nessuna assunzione di responsabilità, recitano come stanca litania che i rom sono tutti perseguitati, che il burqa va rispettato perché ognuno ha diritto alla propria identità, che bisogna accogliere i dannati del mare, che il governo è razzista, e via riempiendosi la bocca di luoghi comuni.
C'è da chiedersi con quale coraggio il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, accusi Berlusconi di chiamarsi fuori dalla modernità, lui, Bersani, che guida, si fa per dire, un partito che nella prima consultazione seria di primarie in Puglia è stato sconfitto da un candidato, Nichi Vendola, che con ammirevole sincerità non teme di dichiararsi comunista, proprio quel sistema illiberale e dittatoriale, oltre che fallimentare in qualsiasi gestione economica, che la storia ha seppellito insieme al secolo passato. Chissà quanto moderno, quanto squisitamente contemporaneo si deve sentir oggi Bersani mentre si prepara, obtorto collo, ad accodarsi alla campagna comunista di Puglia. Ci racconterà convinto di quanto sia giusto accogliere anche stupratori e ladroni, e intanto forza gulag, e ritiriamo fuori le spinette di Lenin.
Se invece vogliamo dare un contributo alla verità, e così facendo allontanare le motivazioni irragionevoli ed estremistiche dei troppo buoni e dei cattivi ad ogni costo, dobbiamo stare proprio alle cifre che accompagnano l'assioma immigrazione clandestina uguale a maggiore tasso di criminalità. Non è una gran novità, intendiamoci, lo sanno bene tutti i governi europei di qualunque ragione politica, lo sa l'Olanda che ha bloccato i flussi di bulgari e romeni dopo anni di ubriacatura dell'accoglienza, lo sa la Spagna di Zapatero che assegna compensi straordinari agli agenti dei commissariati delle grandi città nei quali viene fermato il numero più alto di irregolari. Difendersi è giusto, perché negli ultimi venti anni la quota di stranieri condannati e denunciati è perlomeno triplicata, e perché le cifre che troverete su Libero sono fin troppo chiare nell'elenco di reati e di numeri. Ve ne cito uno solo, odioso: nel 1998 gli stranieri condannati per stupro erano il 5,9 per cento, nel 2004 il 27,3, siamo in attesa di vedere il dato di oggi, aspettatevi di spaventarvi.
Non è che arrivino in Italia tutti già criminali, anche se, dai tempi dell'apertura delle frontiere albanesi al più recente scriteriato sì senza attesa alla Romania, di mascalzoni usciti dalle patrie galere e attirati dal mito dei mancati controlli italiani, ne sono arrivati a frotte. È soprattutto che chiunque arrivi in un Paese senza un permesso di soggiorno, senza un lavoro, senza proprio idea di cosa fare, e restando nel Paese in simili condizioni si impoverisca e si incattivisca sempre di più, finisce col pensare di ricorrere al crimine. Non lo scelgono tutti, lo scelgono in molti. Ecco che le iniziative contro la clandestinità di questo governo non solo sono sensate, sono giuste perché rispondono alle sacrosante richieste dei cittadini, sono anche l'unico modo perché lo sbandierato pericolo del razzismo resti solo, o in buona parte, una chiacchiera da salotto o terrazza radical chic. (Libero)

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