venerdì 29 gennaio 2010

Inquinamento zero: difficile ma non necessario. Francesco Ramella

Sembra che nulla sia cambiato rispetto a vent’anni fa. Fa freddo, gli impianti di riscaldamento sono al massimo, le condizioni atmosferiche sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti e, anche se il traffico è lo stesso che a maggio o settembre, la concentrazione di polveri nell’aria sale vistosamente. E si torna a parlare di emergenza e ad adottare provvedimenti di limitazione del traffico. Sembra che non sia cambiato nulla. Ed invece è cambiato moltissimo. In meglio.

Anche se in pochi sembrano esserne consapevoli, la qualità dell’aria nelle nostre città è drasticamente migliorata. L’atmosfera era come una stanza piena di polvere. Un po’ alla volta l’abbiamo ripulita ed oggi non rimangono che pochi residui. Ma come è potuto accadere? La risposta è semplice: si chiama tecnologia. In tutti i settori, dall’industria alla produzione di energia elettrica, al riscaldamento, agli autoveicoli, sono stati compiuti straordinari progressi. E così, anche se consumiamo più energia, continuiamo a riscaldarci più o meno allo stesso modo nonostante ci raccontino che il pianeta si sta surriscaldando drammaticamente e usiamo l’auto più di una volta, le emissioni di inquinanti atmosferici sono state abbattute. Abbiamo buttato l’acqua sporca e tenuto il bambino.

Non c’è ragione per cambiare strada. Politiche volte a limitare il traffico degli autoveicoli, soprattutto quelle che intervengono indistintamente nei confronti dell’intero parco veicolare, hanno uno sfavorevole rapporto costi/benefici. Basti pensare che, per ottenere lo stesso risultato in termini di riduzione delle emissioni che vent’anni fa era possibile con il fermo di cento veicoli, oggi sarebbe necessario impedire la circolazione a circa mille auto. Per tornare alla nostra stanza impolverata: è relativamente facile effettuare una pulizia grossolana. Poi, via via che si riduce la quantità di sporco residuo, il compito si fa più impegnativo. Oltre una certa misura è ragionevole fermarsi. Il traguardo da raggiungere non è quello di eliminare l’ultimo granello: quando pensiamo che lo sforzo per migliorare la pulizia sia superiore al risultato che possiamo ottenere, ci fermiamo. Lo stesso atteggiamento dovremmo avere quando trattiamo il problema della qualità dell’aria nelle nostre città.

L’ottimo non è, a differenza di quanto sembrano pensare a Bruxelles, l’inquinamento zero ma la condizione in cui, un’azione più drastica non è giustificata. Già oggi siamo molto vicini a questo risultato. E nei prossimi anni, “naturalmente”, grazie al progressivo rinnovo del parco veicolare ci avvicineremo ulteriormente. Non servono ulteriori accanimenti che, non solo danneggiano gli automobilisti, ma si ritorcono contro la stessa collettività che si vorrebbe tutelare. Più auto che circolano significano maggiori entrate fiscali per lo Stato e gli enti locali. E, quindi, più risorse a disposizione di tutti. Sarebbe forse il caso di ricordarselo più spesso. E, perché no, cominciare ad immaginare una politica dei trasporti che non abbia come obiettivo quello di ostacolare in qualsiasi modo l’uso dell’auto. Ma, piuttosto, rendere migliori le condizioni di circolazione: un’auto che viaggia a 40 km/h inquina molto meno di una che è in coda.

Lo si può fare, anche senza spesa pubblica aggiuntiva grazie alla costruzione di strade sotterranee a pedaggio. Viaggiare meglio sotto per vivere meglio sopra. (Ibl)

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