lunedì 8 febbraio 2010

Quel ciarlatano di Ciancimino e le falsità su Forza Italia. l'Occidentale

La farsa Ciancimino continua. Massimo, figlio dell'ex sindaco di Palermo, è tornato nell'aula bunker dell'Ucciardone e, nell'ambito del processo che vede imputato il generale Mario Mori per aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, ha dichiarato: «Forza Italia è il frutto della trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dopo le stragi del '92». A riferirglielo sarebbe stato il padre Vito.

L'argomento è stato affrontato dal Ciancimino jr. nel corso della spiegazione di un pizzino, depositato agli atti del processo, che a suo dire sarebbe stato indirizzato dal boss Bernardo Provenzano a Silvio Belusconi e Marcello Dell'Utri. Nel foglietto Provenzano avrebbe parlato di un presunto progetto intimidatorio ai danni del figlio del Cav. «Intendo portare il mio contributo - si legge nel pizzino - che non sarà di poco conto perché questo triste evento non si verifichi. Sono convinto che Berlusconi potrà mettere a disposizione le sue reti televisive». «Mio padre - ha spiegato Ciancimino - mi disse che questo documento, insieme all'immunità di cui aveva goduto Provenzano e alla mancata perquisizione del covo di Riina, era il frutto di un'unica trattativa che andava avanti da anni. Con quel messaggio Provenzano voleva richiamare il partito di Forza Italia, nato grazie alla trattativa, a tornare sui suoi passi e a non scordarsi che lo stesso Berlusconi era frutto dell'accordo».

Evidentemente il figlio di don Vito, al pari di Gaspare Spatuzza, deve avere davvero una scarsa considerazione per le capacità strategiche della Cosa nostra dei primi anni Novanta, o in alternativa una grande fiducia nella doti divinatorie della mafia. Resta altrimenti difficile comprendere in base a quali convenienze all'indomani delle stragi, mentre i partiti anticomunisti della Prima Repubblica crollavano sotto i colpi di Tangentopoli, mentre la 'gioiosa macchina da guerra' dell'ex Pci si apprestava a prendere incontrastata il potere in Italia, mentre Leoluca Orlando Cascio trionfava a Palermo e addirittura a Catania andava in scena il ballottaggio interno fra Enzo Bianco e Claudio Fava, mentre la sinistra tentava con successo di impedire a Giovanni Falcone di diventare procuratore nazionale antimafia, mentre l'imprenditore Berlusconi chiedeva a Segni e Martinazzoli di guidare il fronte moderato per arginare la marea comunista, quella stessa che pochi anni prima si era opposta al prolungamento della carcerazione preventiva per i boss prevista dal decreto Andreotti-Vassalli, alla vigilia di una lunga stagione di scarcerazioni di migliaia di mafiosi grazie ai programmi di protezione dei pentiti, Cosa nostra si sarebbe avventurata in una non meglio precisata trattativa con un partito che allora non esisteva e con uomo che allora non era altri - per dirla con Spatuzza - che 'quello di Canale 5'.

E se l'evidenza dei fatti non basta, il signor Ciancimino dovrebbe iniziare a chiedersi per quale motivo in quegli stessi anni suo padre, alla ricerca di un interlocutore, avrebbe tentato senza riuscirci di incontrare un esponente dell'ex Pci e non un politico del fronte opposto o un manager di Publitalia.

La lotta alla mafia e un corretto uso dei pentiti sono questioni troppo serie per consentire che in nome di esse - anzi, contro di esse - simili ciarlatani continuino a essere accreditati al solo fine di riscrivere la storia d'Italia in funzione dell'interesse di una parte politica.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Penso che già lo conosciate, ma in ogni caso vi segnalo
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Luigi