giovedì 11 marzo 2010

Legittimo sfinimento. Davide Giacalone

Il Senato non è sfuggito alla sorte dei nostri giorni, ospitando una sceneggiata. Scontata, come tutte le sceneggiate, nel copione e nell’esito. E, ancora una volta, a proposito della legge che regola il legittimo impedimento (dei membri del governo, a prendere parte a processi che li riguardano) si confrontano i torti e sfuggono le ragioni. La politica, insomma, continua la sua eclissi, restando prigioniera delle cose e dei soggetti peggiori.

La questione è nota, il canovaccio ripetitivo: la Corte Costituzionale ha cancellato il lodo Alfano, nonostante, anche in quel caso (e due) il Quirinale si fosse speso, consegnando il presidente del Consiglio a giudici che non nascondono la voglia di giudicarlo, il più in fretta possibile, nonostante i reati presupposti siano destinati a cadere in sicura prescrizione. Per capirci: da una parte corrono per avere una condanna di bandiera, che non diventerà mai definitiva, dall’altra si corre per evitare il processo in sé.

Il legittimo impedimento è già regolato dalla legge e, per questo, può sembrare arrogante la pretesa governativa di rafforzarlo. Poi, però, si deve prendere in esame la realtà, per quello che tristemente è: in occasione di un’udienza, presso il tribunale di Milano, il capo del governo fece presente d’essere legittimamente impedito a presenziare, dato che era già stato convocato il Consiglio dei ministri, al che i giudici gli risposero: la riunione del governo non è un legittimo impedimento. S’accomodi, chi vuol mettersi a misurare i rispettivi tassi d’arroganza e insensibilità istituzionale.

Il disegno di legge, che ieri ha scatenato la pagliacciata al Senato, prevede che dei giudici non possano discrezionalmente stabilire se il lavoro governativo è importante o meno, pertanto fissano il rinvio (bloccando i termini della prescrizione) e basta. Il tutto per un massimo complessivo di diciotto mesi. Se, facendo eccezione rispetto all’insieme isterico del mondo politico, provate a ragionare vi accorgete che non cambia quasi nulla: le udienze si aggiornano, ma il reato allunga i tempi della sua validità. Dopo un anno e mezzo, si sarebbe esattamente al punto di partenza. Ciò non ha fermato l’opposizione che, a puro scopo ostruzionistico e propagandistico, ha presentato 1700 emendamenti, sollecitando, così, il governo a porre la fiducia per non allungare di settimane la discussione. A dispetto degli schiamazzi, una scena noiosamente prevedibile. Chi, per opporsi, esibisce la Costituzione, conferma di trovarsi in una delle due condizioni: o non l’ha letta, o non l’ha capita.

Proprio perché il provvedimento non è risolutivo di un bel niente, ha un senso solo se lo si considera un ponte verso una normativa più significativa. Una pezza (l’ennesima), per evitare che tre magistrati si ergano a giudici dei programmi e dei lavori del governo, un modo per guadagnare tempo e mettere mano a soluzioni vere. Quali? Nessuno vuole dirlo, perché ritiene sia impopolare, ma il tema vero e centrale è quello dell’immunità, parlamentare e di chi governa. Non c’è sistema democratico che non la preveda, è ben presente anche al Parlamento Europeo, ma da noi è un tabù perché molti dei protagonisti di oggi si sono affermati lasciando e lanciando quelli di ieri in pasto alle procure. Posto che questo è il problema, sono sicuro che il massimo dell’impopolarità lo si raggiunge non quando si reclamano le condizioni per potere lavorare, ma quando si pretende che l’intero Paese, per anni, si fermi a constatare che non si riesce a fare un bel niente perché capi politici e biascicanti gregari trovano lussurioso dibattere all’infinito sulla presunta criminalità di uno, sempre lo stesso, sempre lui, che, tanto non sarà mai condannato. Non è impopolare sottrarre, temporaneamente, un politico alla giustizia, ma privare un intero Paese della giustizia.

Pietrino Vanacore non ha retto all’idea che, dopo venti anni d’accuse non provate e innocenza violentata, si potesse ricominciare come se nulla fosse stato, e s’è affogato. Su quelle tristi sponde, però, c’è il rischio della ressa, perché è dal biennio giustizialista 1992-1994 che il tempo s’è fermato, la politica inabissata, il senso delle istituzioni dissolto, costringendoci tutti a subire le esibizioni fascistoidi di un gruppo di manettari che, come in un film dell’orrore, s’è ora impossessato del corpo della sinistra.

Passi il legittimo impedimento, ma si prenda atto del collettivo e legittimo sfinimento.

Nessun commento: