domenica 14 marzo 2010

Piazza sprecata. Davide Giacalone

Dalla piazza rossa alla piazza viola, da quelle stracolme a quella modello comizio, dove la cifra da loro proclamata (200 mila) che non si sarebbe sfiorata neanche se ciascuno avesse chiamato altri tre parenti. Vediamo i lati positivi, che ci sono, e segnaliamo i negativi, che sono gravi e impediscono alla sinistra di presentarsi come seria alternativa di governo. In generale, potremmo così sintetizzare la condizione politica nella quale viviamo: la contrapposizione asseconda i costumi della democrazia, ma l’eclissi dell’uomo ragionevole ne mette in evidenza la sterilità. Per una lunga stagione la sinistra politica è vissuta sotto il ricatto di quella giudiziaria, ora sconta il peso esagerato di quella televisiva, populista, forcaiola ed estremista. Era più viola il palco della gente radunata. Che ha in comune, una persona ragionevole e di sinistra, moderata nei toni e riformista nei contenuti, con questa roba?
I lati positivi, della manifestazione, sono due. Il primo è che, a dispetto delle scemenze scritte sui manifesti e dette dal palco, la libertà non è in discussione. Si può dissentire, anche duramente, ci si può opporre e anche contrapporre, ma sostenere che manca la libertà è, al tempo stesso, una fesseria e un insulto. Un insulto a quanti si battono per conquistarla, a cominciare dai dissidenti cubani che muoiono di fame, per protesta, mentre nella piazza romana si sventola l’effige di Che Guevara. La cosa grottesca è che sarebbe attaccata, la libertà, nel momento in cui a essere cancellata dalla scheda è una lista della maggioranza, e sarebbe attaccato, il diritto, da un decreto che il Quirinale ha voluto far sapere di avere contrattato (non mi piace chi dice: Napolitano ha firmato, non mi piace ricordare quel che altri Presidenti hanno firmato, ma è dal colle più alto che hanno fatto sapere di averlo praticamente scritto, quel decreto).
Il secondo lato positivo è che, nonostante la ricomparsa nominale della sinistra extraparlamentare che, in verità, è solo la sinistra rimasta fuori dal Parlamento, e nonostante le bandiere rosse, non si reclama più l’avvento del comunismo. E’ un passo avanti. In ritardo di un secolo, ma pur sempre un passo avanti.
Sull’altro piatto della bilancia, però, c’è un estremismo inconcludente. Se i signori compagni avranno la compiacenza di rileggere, fra qualche settimana, le cose scritte sulla sceneggiata delle liste, scopriranno che quelle più dure, nel merito, le abbiamo scritte noi. Loro sparano petardi, ma non sanno neanche quale tesi sostenere.
Rinuncio a citare Antonio Di Pietro che, come da copione, se l’è presa più con i presenti che con gli avversari. Ci pensino, anche a questo, i compagni. Mi hanno colpito le parole di Pier Luigi Bersani. Dopo avere dedicato i quattro quinti del suo discorso a Berlusconi, ha detto di non volere parlare di Berlusconi. E passi, l’oratoria non è il suo forte. Ha fatto un breve elenco di “cose concrete”. Sono stato attento, perché quando mise a punto la “lenzuolata”, da ministro, ne scrissi positivamente, salvo misurarne, successivamente, il progressivo fallimento. Ero, insomma, pronto a fare la stessa cosa, perché la politica non può essere solo l’agitazione delle tifoserie. Ma che ha detto, di concreto? A me è sfuggito. Chiede che ci siano una scuola e una sanità “universalista e a responsabilità pubblica”. Perché, come sono quelle che abbiamo? Io dico che costano troppo e funzionano poco, ma lui reclama quel che c’è già.
Ha detto che si devono “cancellare i tagli alla spesa pubblica”. Dove li ha visti? Mi piacerebbe scendessero, i numeri della spesa pubblica corrente, ma non succede. E, poi, non erano loro a vantarsi (a sproposito) di averla ridotta, quando governava Prodi? Dice che si deve fare “un grande piano di piccoli lavori pubblici, affidati ai comuni”. Un inferno, la premessa di uno spreco, senza nemmeno la promessa di grandi infrastrutture. Reclama “crediti d’imposta automatici per il Mezzogiorno”, ma forse farebbe meglio a sentire Vincenzo De Luca (quello che, secondo il loro prezioso e sgrammaticato alleato neanche dovrebbe candidarsi), il quale potrebbe spiegare l’utilità, da quelle parti, di legge e ordine. Tutto qui. Ma questo è il programma, a voler essere generosi, del candidato sindaco in un paesello sperduto, non del capo dell’opposizione parlamentare.
Conosco a memoria l’obiezione, detta con un po’ di bava alla bocca: perché, dall’altra parte? Dall’altra parte governano, c’è una bella differenza. La maggioranza dei voti, per il Parlamento, l’hanno già presa, e l’hanno confermata alle europee. Ciò non li esime dal parlare di cose serie e concrete, come qui ricordiamo quasi ogni giorno, ma è l’opposizione che, per vincere, deve dire che cosa, di diverso, vorrebbe. Invece si sono condannati a radunare una piazza e consacrarla al loro avversario, facendone ancora l’unico protagonista. Sarei stato, al posto loro, meno generoso.

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