lunedì 7 giugno 2010

Italiani sveglia, la pacchia è finita. Paolo Granzotto

Prima o poi doveva succedere: è suonata la sveglia. Quando accade non sempre ci si butta giù dal letto. È conveniente farlo, ma c’è chi guadagna ancora qualche minuto di torpore, rimandando di un po’ la levata. È quello che sta accadendo. Ancora a letto, la parte torpida della nazione fa finta di non rendersene conto o ne dà la colpa a Berlusconi e a Tremonti, ma la serie di sfavorevoli congiunture nazionali e internazionali - globali, dunque - cui dobbiamo necessariamente far fronte per non finire nel Quarto mondo, mette fine e per sempre a un old deal che andava avanti, bene o male, da una quarantina d’anni. Frutto di una intesa tacita ma solidamente operante fra la Dc e il Pci, nel giro di poco tempo si venne a creare uno Stato «pesante» che aveva voce e potere in ogni settore dell’economia e della finanza. E che sull’onda dell’ideologia comunista (a ciascuno secondo i propri bisogni) e di quella cattolica (la solidarietà sociale) si accollò il compito di mantenere il cittadino o comunque di esentarlo da tutte una serie di spese che lo Stato si accollava.
In pratica, un poderoso ma invertebrato, adiposo, decerebrato Stato sociale che si muoveva su due fronti: la gratuità di molti servizi e l’assegnazione a pioggia o meglio a grandine di una serie infiniti sussidi, di gabole per tirar su soldi (un esempio per tutti: la lavoratrice che si ritrovasse in stato interessante nel corso dei lavori, anche stagionali, in agricoltura, aveva o forse ha ancora diritto al sussidio maternità per un anno. Frotte di giovani spose specie del Meridione, terminato il viaggio di nozze andavano a raccogliere l’uva o le olive e due mesi dopo passavano alla cassa e chi s’è visto s’è visto). In certe cittadine del sud non c’era (non c’è?) abitante - uno solo - al quale lo Stato nega una qualche sovvenzione, foss’anche quella di invalidità e questo anche se l’invalidità era inesistente, ciò che ha permesso a un paio di generazioni di vivere alla michelaccio. Senz’altro cruccio che quello di far trascorrere il tempo. L’unico lavoro che sembrava loro opportuno era di frugacciare fra le pieghe dei decreti, delle leggi, delle delibere, delle ordinanze e delle disposizioni transitorie (cioè permanenti) e scovarvi il pretesto per fare rispettosa domanda onde beneficiare di questo o quel sussidio. E non è che nel resto d’Italia le cose siano andate in modo diverso. Vaste sacche di parassiti di Stato sussistevano e credo sussistano tutt’ora nel laborioso Triveneto, nella operosa Padania o nell’austero Piemonte.
Ai propri comodi ci si abitua in fretta e non vi si rinuncia senza pugnare. L’inverno scorso un paio di scuole col bilancio in rosso comunicarono ai genitori morosi che fino al pagamento degli arretrati avrebbero sospeso la distribuzione del pasto ai loro figliuoli. A colazione, si sarebbero dovuti accontentare di un panino. La reazione fu: affamano i nostri figli. Metter mano al portafogli e pagare il dovuto, no. Fornire ai figli un cestino con il cibo preparato dalla mamma solerte, no. L’unica reazione è l’attacco a testa bassa: affamano i nostri figli (che dunque hanno il diritto di mangiar gratis).Bene, questo impianto sociale - in pratica questa pacchia, questo Bengodi - reso ancora più malsano dal welfare nel welfare, ovvero dall’aiuto economico e materiale che genitori e nonni forniscono all’armata degli italici bambaccioni, non può più reggere a meno di non avviarsi alla bancarotta, ovvero sia alla povertà (quella vera, non quella vagheggiata da la Repubblica con le sue fantomatiche famiglie che non arrivano alla quarta settimana. Destinata, semmai, non a un arrivo, ma a una partenza per un lungo weekend). È suonata la sveglia. È tempo di sbaraccare l’old deal: non ci sono altre vie per scongiurare l’annunciata catastrofe e saranno dolori per i giovani assuefatti al mantenimento familiare o, peggio che mai, di Stato. Toccherà loro una sorte tremenda: andare a lavorare. E dire addio alla movida, che pareva fosse l’unica loro ragion d’essere. (il Giornale)

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