mercoledì 7 luglio 2010

I piccoli intrighi del gruppo finiano. Daniele Capezzone

Diciamoci la verità, caro direttore: fino a ieri, per capire dove volessero andare davvero a parare alcuni dei più accesi esponenti «finiani», tanti spaesati elettori del Pdl pensavano di doversi rivolgere al polpo Paul, l’ormai leggendario mollusco teutonico specializzato nell’azzeccare i pronostici. Si brancolava nel buio, non si comprendeva, si viveva nell’attesa di un male oscuro e imprevedibile. Ma finalmente, ieri mattina, un’intervista dell’onorevole Bocchino ci ha illuminato: «Se Berlusconi rompesse con Fini, basterebbe una forza dell’1,5% non alleata del Pdl per fargli perdere il premio di maggioranza al Senato».

Conoscendo lo stile dell’onorevole Bocchino, è da escludere che una simile affermazione possa anche lontanamente suonare come un avvertimento o come un ricatto politico. Figurarsi, neanche a pensarlo. Il guaio, però, è che se proviamo a prenderla sul serio, è ancora peggio, roba da farsi cadere le braccia. Ma come? I finiani ci hanno «deliziato» con mesi e mesi di parole sulla legalità e sulla democrazia interna, con decine di interventi-comunicati-convegni sui massimi sistemi, con pensose riflessioni sul futuro della libertà, e poi tutto finisce con una prospettiva degna di una lista civetta, con il «nobile scopo» di far perdere il premio al centrodestra in questa o quella regione? Tutto qui? Dinanzi a tanto, anche il polpo Paul andrebbe in depressione, con conseguente ammosciamento dei tentacoli e sfibramento delle ventose.

Fuor di scherzo, c’è da sperare che la frase in questione sia sfuggita all’onorevole Bocchino, o che fosse parte di un ragionamento più complesso, malamente sintetizzato dall’intervistatore. Eppure, un dubbio resta: e cioè che alcuni tra coloro che (mal)consigliano il presidente della Camera coltivino il sogno del potere senza consenso. È questo un tratto comune di alcuni ambienti della politica romana, dei soliti salotti impolverati, e ovviamente di qualche gruppo editoriale: manovrare le sorti della politica italiana mettendo tra parentesi il «dettaglio» rappresentato dai voti, dalla volontà popolare, dalle scelte dei cittadini.

Il giochino è sempre lo stesso: nei giorni pari, c’è il suggeritore che rispolvera il ferro vecchio del «governo tecnico»; nei giorni dispari, c’è lo stratega che discetta su come costruire mini-operazioni elettorali di disturbo, per erodere qualche decimale. Piccolo cabotaggio e ambizioni ridotte, ed è un peccato. Sarebbe più serio se qualcuno, dentro o fuori l'attuale perimetro della politica, avesse l’onestà intellettuale di fare il seguente discorsetto: «Voglio battere Silvio Berlusconi. Mi candido a viso aperto contro di lui, vi presento un programma alternativo al suo, e vi chiedo di darmi anche un solo voto in più». Ma queste parole semplici e coraggiose non le abbiamo sentite, e c’è da scommettere che non le sentiremo: è come se gli avversari del Premier sapessero di non poter vincere sul campo, e cercassero sempre una scorciatoia o una gherminella extraelettorale.E tutto questo ci dà una ragione di più per stare con Silvio Berlusconi, per supportare l’azione di un governo che sta facendo bene, e per rifiutare l’arsenico e i merletti di una vecchia politica che i cittadini hanno giustamente deciso di mandare in archivio. (il Giornale)

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