mercoledì 20 ottobre 2010

D'Alema, icona della sinistra che ha divorziato dalla realtà. Gianteo Bordero

Possibile che la sinistra non impari mai dai suoi errori? Possibile, anzi certificato dai fatti. L'ultimo esempio, in ordine di tempo, lo ha fornito lunedì sera a Otto e Mezzo Massimo D'Alema. Non un esponente qualsiasi della gauche nostrana, dunque, bensì colui che più di chiunque altro ne rappresenta oggi, in qualche modo, l'icona, avendo vissuto da protagonista la storia del passaggio dal Pci al Pds, poi ai Ds e infine al Pd, ed essendo diventato, nei modi che tutti conosciamo, il primo presidente del Consiglio proveniente dal Partito Comunista italiano.

Interrogato da Lilli Gruber a proposito della situazione politica del Paese, D'Alema ha ancora una volta fatto venire a galla, con le sue analisi che si pretendono argute e raffinate, il vero vizio capitale che caratterizza l'attuale sinistra. Un vizio che essa ha ereditato, senza alcun significativo mutamento di rotta, dal Pci: quel senso di superiorità culturale, politica e morale che l'ha condannata in passato, la condanna oggi e la condannerà in futuro, se le cose non cambieranno, a non saper entrare in connessione profonda con il popolo italiano, da essa ritenuto perennemente immaturo, bue, facile a lasciarsi incantare dalle sirene dell'uomo della provvidenza di turno. Ascoltare per credere. Ha affermato D'Alema: «Purtroppo un certo numero di italiani sembra disposto ad accettare l'anomalia» rappresentata da Berlusconi. Già, purtroppo - per l'illuminato leader Massimo e per i suoi colleghi di partito e di schieramento - tanti nostri connazionali, nel momento in cui sono chiamati a entrare in cabina elettorale per affidare a qualcuno le chiavi del governo del Paese, mettono la loro croce sul nome dell'impresentabile uomo di Arcore e non sui gloriosi simboli della gloriosa sinistra italiana.

Ora, se fossimo all'anno zero dell'avventura politica di Berlusconi, le affermazioni di D'Alema si potrebbero comprendere. Invece sono sedici anni - sedici - che la storia va avanti così, e che ad ogni vittoria del Cavaliere e ad ogni sua esperienza a Palazzo Chigi i suoi avversari non sanno fare altro che ripetere senza posa la solita teoria del popolo incapace di intendere e di volere, di distinguere tra il Bene (la sinistra) e il Male (la destra berlusconiana). Pensando di mettersi la coscienza a posto sol scaricando ogni colpa sui cittadini elettori, i post-comunisti hanno così evitato, ed evitano tuttora, di fare i conti con i propri errori, con la propria miopia politica, con la propria siderale distanza dal sentire della gente comune. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti: antiberlusconismo monomaniacale, assenza di una seria e credibile proposta programmatica di governo, astrattismo assoluto riguardo alle soluzioni con cui affrontare i problemi del Paese.

Però - potrebbe obiettare qualcuno - è stato lo stesso D'Alema, sempre a Otto e Mezzo, ad annunciare che il nuovo numero della sua rivista, Italianieuropei, ha messo al centro il tema del lavoro e del conflitto sociale come punto di ripartenza della sinistra. Ecco, appunto: non si ascolta in presa diretta il popolo, i bisogni dei cittadini in carne ed ossa, dei povericristi che ogni mattina si spezzano la schiena in fabbrica per sbarcare il lunario e mandare avanti la famiglia; si pontifica invece dall'alto, ex cathedra, tra un convegno e l'altro, dalle patinate pagine di una rivista che tutt'al più finisce in mano agli intellettuali dei salotti buoni, alla gente che piace all'establishment culturale più o meno radical-chic. Non certo agli operai, alle manovalanze, a quello che un tempo era chiamato, non senza enfasi, il «popolo della sinistra». Un popolo a cui oggi dà invece risposte concrete, come ha documentato su La Stampa del 10 ottobre Luca Ricolfi, il governo di centrodestra, il governo del tanto odiato Silvio Berlusconi: «Cassa integrazione in deroga, estensione degli assegni di disoccupazione, social card, sussidi alle famiglie e ai non autosufficienti - ha scritto tra le altre cose Ricolfi - sono misure che hanno attenuato sensibilmente l'impatto della crisi, come mostra piuttosto inequivocabilmente la serie storica Isae delle famiglie in difficoltà, calate proprio nel momento più basso della congiuntura (fra la metà del 2008 e la metà del 2009)». D'Alema e i dotti analisti e politologi vicini alla sinistra possono ironizzare quanto vogliono sulla «politica del fare» di cui mena vanto il presidente del Consiglio, ma a dare ragione a Berlusconi sono, appunto, i fatti, come quelli riportati dall'editorialista del quotidiano torinese.

E se spostiamo la nostra attenzione sul prediletto di Baffino, Pier Luigi Bersani, le cose non cambiano. Ospite dieci giorni fa di Annozero, il segretario del Pd, dopo una lunga intervista a una cassaintegrata della Omsa che raccontava le sue tante difficoltà in questo periodo di crisi e chiedeva risposte ai politici presenti in studio, non ha saputo fare di meglio che spostare sùbito il discorso su Santoro e sul contenzioso col direttore generale della Rai. Altro che lavoro! Altro che disagio sociale! Meglio occuparsi delle grane del milionario conduttore tv. E poi si chiedono perché il Partito Democratico sia in crisi di consensi e gli italiani abbiano voltato le spalle alla sinistra: perché è la sinistra, e in particolare il Pd, ad aver voltato le spalle agli italiani. (Ragionpolitica)

Nessun commento: