lunedì 29 novembre 2010

La sinistra scherza col morto. Giampaolo Pansa

Sembra un film. Un pessimo film di fantapolitica. C’è una dittatura da far cadere. È sufficiente sconfiggerla in Parlamento? Assolutamente no. Bisogna batterla anche nelle piazze. Detto fatto, esplode la rivolta popolare. Giovani e anziani si scontrano con le guardie armate del Tiranno. Corteo dopo corteo, ci scappa il morto. Ucciso dalle guardie, naturalmente. Il morto viene sollevato da terra e portato, in alto sulle braccia, sino alla dimora del Tiranno. La folla glielo mostra e urla: è colpa tua! In preda al terrore, il Tiranno fugge. E la libertà ritorna.
Ho detto che è un filmaccio. E spero di non vederlo mai. Me l’hanno fatto venire in mente gli infiniti cortei di questi giorni contro la riforma dell’università progettata dal ministro Mariastella Gelmini. Brutta storia, davvero brutta.
Mi ha indignato, e spaventato, l’assalto al Senato, che ha visto una squadra di incappucciati superare il primo ingresso. Il Senato, come la Camera, è di tutti gli italiani. E mi dà sgomento la domanda della Jena apparsa giovedì sulla Stampa. Diceva: «Bisogna rispettare il Senato. Anche se c’è Schifani?». Basta un dettaglio, ben poco ironico, per intuire che la sinistra non sta più scherzando con il fuoco, bensì con il morto.
Troppi politici di opposizione hanno perso la testa. Credono che salire sui tetti possa ridargli i voti che hanno perso. Si sbagliano: quando saremo chiamati alle urne, quei voti andranno tutti al moribondo Berlusconi. È inutile che Bersani entri alla Camera indossando l’eskimo, come testimonia su Libero un deputato di centrodestra, Riccardo Mazzoni. Allo stesso modo, non serve a nulla che il leader del Pd dia dell’arrogante alla Gelmini. E che Di Pietro la descriva «chiusa nel bunker come Mussolini» (Tonino, impara la storia: nel bunker ci stava Hitler, non Benito).
Anche il parallelo con i cortei degli anni Settanta non serve. Se i capi della sinistra di allora fossero saliti sul tetto del Duomo di Milano, i katanga del Movimento studentesco e degli altri gruppi extraparlamentari li avrebbero fatti volare di sotto. Oggi, invece, i politici di opposizione sono diventati tutti scalatori. Persino il futurista Fabio Granata, un signore sovrappeso, inciccionito dalle troppe sedute nei ristoranti vicini a Montecitorio.
Perché i tettaioli della Casta di sinistra e affini si sentono sicuri? Un motivo esiste. L’odierno movimento di piazza non è per niente roba di studenti. È la sommossa di un’altra Casta: quella dei baroni e dei ricercatori universitari. Non vogliono perdere i loro privilegi, tanti per i primi e pochi per i secondi. È questo che gli importa, non lo stato comatoso dell’università italiana. E rifiutano di ascoltare quanto dicono alcuni rettori di buonsenso, non certo di destra, né al servizio del Caimano.
I lettori del Riformista hanno visto quel che ha scritto Guido Fabiani, il rettore di Roma Tre. Giovedì 25 novembre, seminascosto da Repubblica, il giornalone pro-rivolta, aveva parlato Enrico Decleva, rettore della Statale di Milano e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori italiani. Intervistato da Laura Montanari, ha spiegato che l’università ha bisogno della riforma Gelmini e ha aggiunto: «Davanti ai cambiamenti esistono sempre resistenze. In questo caso, c’è un freno conservatore anche se viene da sinistra».
Decleva ha smontato all’istante lo slogan più diffuso, gridato in tutti i cortei: la Gelmini privatizza l’università, il capitalismo berlusconiano si sta mangiando i nostri atenei, orrore! Infatti il rettore di Milano spiega: «Pensano che introdurre tre esterni in un consiglio di amministrazione significhi consegnare l’università ai privati».
Il presidente dei rettori ha ragione. Tuttavia non esistono ragioni che tengano di fronte a un caos che ha un chiarissimo obiettivo politico: far cadere il governo Berlusconi. Forse non sarà un’impresa difficile, visto lo stato comatoso dell’esecutivo. Ma l’eventuale successo non cancellerà l’ipocrisia di troppi media. Giornali e tivù stanno per lo più dalla parte dei cortei. Nell’illusione di conquistare nuovi lettori e di strappare qualche frazione di audience in più.
Per portare a casa questo miserando bottino, tradiscono un’altra volta la loro missione primaria: informare in modo corretto sullo stato del paese. Di alcune testate, Repubblica per prima, nessuno si sorprende più. È da anni che il super-giornale di Ezio Mauro e di Carlo De Benedetti è diventato il nemico giurato del Caimano. Siamo di fronte a un foglio guerrigliero che ogni giorno scende in battaglia per distruggere Berlusconi. E forse vincerà perché il Cavaliere è in agonia e non appare più in grado di difendersi.
A meravigliarmi sono altri media. È il caso del telegiornale di Sky. Lo vedo quattro o cinque volte, dalla mattina presto alla sera tardi. E devo registrare la sua stupefacente deriva verso sinistra. Sin dagli inizi lo guida Emilio Carelli, cinquantotto anni, ritenuto da tutti un moderato, nato nella Mediaset del Berlusca, il volto principale del Tg5 per parecchio tempo. E dal 2003 direttore di tutte le edizioni giornaliere del tigì a pagamento.
Ma oggi il suo Skytg24 non lo riconosco più. È malato di settarismo anti-Cav. Mi sembra diventato la Telekabul di Murdoch. Un gemello del Tg3, il telegiornale rosso della Rai. Strano? Mica tanto. Il proprietario di Sky, l’australiano Rupert Murdoch, lo Squalo, non ama per niente Berlusconi. E da che mondo è mondo, l’asino va sempre legato dove vuole il padrone. Soprattutto se è un asino televisivo. (il Riformista)

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