lunedì 17 gennaio 2011

Il Toga party si aggrappa alle donnine. Filippo Facci

No, scusate, Silvio Berlusconi fu inquisito per la prima volta nel 1994, quando aveva 58 anni ed era presidente del Consiglio; Ilda Boccassini in quel 1994 aveva 45 anni, era reduce da esperienze importanti in Sicilia - sulle orme degli assassini di Falcone e Borsellino - e stava appunto per coinvolgere Berlusconi in inchieste pesantissime su corruzioni giudiziarie e sul porto delle nebbie eccetera; un terzo soggetto, Karima el Mahroug, detta Ruby, in quel 1994 si limitava a ciucciare soltanto il biberon, perché aveva un anno. Potremmo aggiungere che Pietro Forno, il pm che condivide con la Boccassini la nuova indagine su Berlusconi, nel 1994 aveva 50 anni e aveva appena fondato un suo pool sui reati sessuali, questo dopo essersi occupato per anni di terrorismo (da Prima Linea ai Nar fino ai Proletari armati per il comunismo) e ancora del plagio di Armando Verdiglione, della setta Scientology e degli aborti alla Mangiagalli; i colleghi si fidavano di lui al punto che nascosero in un suo fascicolo la lista degli affiliati alla P2. Questo era Forno. E questa era la Boccassini.
Ora, diciassette anni dopo, Silvio Berlusconi ha 75 anni, è ancora presidente del Consiglio ed è ancora inquisito dalla Procura di Milano; a inquisirlo è ancora Ilda Boccassini, che ora ha 60 anni (Pietro Forno ne ha 66) e si occupa di un filone ormai ridotto a un’improbabile concussione nonché a un reato da 5.164 euro, cioè sfruttamento della prostituzione ai danni della citata Ruby. la quale, intanto, è diventata maggiorenne e sarebbe la sfruttata. Le foto le avete viste tutti, Ruby è la classica sfruttata, la tipica vittima ingenua e priva di malizia.
Vogliamo esagerare? Allora aggiungiamo che altri importanti inquisitori di Berlusconi, frattanto, hanno fatto il loro corso: Antonio Di Pietro ha 60 anni ed è in politica da 15; Gherardo Colombo ne ha 64 e ha lasciato la magistratura da 4; Piercamillo Davigo ha 60 anni ed è giudice in Cassazione, Francesco Saverio Borrelli è in pensione. Eccetera.
Cioè, cominciate a capire? Lo capite come siamo messi? Ci sono cronisti che scrissero del celebre invito a comparire del 1994 (quello di Napoli, quello che affossò un governo e fece eco in tutto il mondo) e che adesso sono ancora lì, a scrivere dell’invitino a comparire per il caso Ruby: neppure noi che ne scriviamo da vent’anni ce ne rendiamo più conto, ormai. Ci limitiamo a registrare ogni singola puntata ma abbiamo smarrito il senso della storia, e non perché adesso sia diventata una farsa: è da almeno un decennio che è già una farsa. Siamo oltre. Non è neanche più una persecuzione giudiziaria, guardandola a cannocchiale rovesciato: è una comica che non ci fa neanche più ridere, una parodia, uno di quei sequel a basso costo in cui vedi vecchi attori macilenti che si prestano a ogni cosa, perché è sempre meglio che finire ai giardinetti.
Non fate finta di non aver capito: è chiaro che l’azione penale è obbligatoria, è ovvio che nessuno si è propriamente inventato niente (questo fermandosi ai fatti e agli attori: i reati sono un altro discorso) ed è pacifico che nel caso di Ruby l’apparenza non inganna, anche se una differenza tra una presenza e una prestazione esiste ancora, ed è appunto da stabilire. È il classico caso, questo, in cui si può dire che gli italiani - che spesso non capiscono assolutamente nulla - hanno capito tutto, e da un pezzo, e hanno anche già deciso quanto in definitiva gliene importa. Ora ci saranno strascichi politici, conflitti di competenza, polemiche infinite, schermaglie giudiziarie, attività di governo rallentate, voci di crisi e di elezioni: la situazione è classicamente grave ma non seria. Paradossalmente ha ragione Pier Luigi Bersani: «Per favore ci vengano risparmiati ulteriori mesi di avvitamento dell’Italia sui problemi di Berlusconi». E ha ragione anche Luca Barbareschi: «Perché dedicare tutto questo spazio, invece che parlare dei quattro o cinque argomenti a cui dedicherei le prime pagine dei giornali?».
Azzardiamo una risposta. Gli effetti dell’anti-berlusconismo giudiziario si sono ormai permeati nella falda civile di questo Paese, ne hanno inquinato la capacità di giudizio, mentre il pregiudizio viceversa è stato elevato a definitiva forma di (non) comunicazione politica, a target di un mercato editoriale e culturale. Tante persone anche perbene, ormai esauste, per anni hanno obiettato che in fondo i magistrati fanno solo il loro lavoro, che è andato tutto bene, che Berlusconi è ancora incensurato, che se i processi sono caduti tutti come birilli - complici le leggi ad personam - è anche perché la giustizia a suo modo funziona, e i tribunali cioè hanno il coraggio di porre tutti i distinguo del caso. L’hanno detto per anni, ora sono cose che non dice più nessuno: non in buonafede. Dopo diciassette anni di politica - e di magistratura - Silvio Berlusconi è ancora presidente del Consiglio ed è sottoposto a un’indagine per sfruttamento della prostituzione. Significa soltanto che ha vinto.(Libero)

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