lunedì 24 gennaio 2011

L'Albania non è un'altra Tunisia. Carlo Panella

Tre morti e una sessantina di feriti in piazza (tra questi molti poliziotti) ed ecco che, inaspettatamente, la rivolta tunisina pare contagiare la riva settentrionale del Mediterraneo e sconvolgere una Albania che pareva tanto assestata da essere divenuta nel 2009 membro della Nato, Come sempre, i “democratici” di Sali Berisha accusano i “socialisti” –oggi guidati da Edi Rama- di ogni nefandezza e sta di fatto che mentre Berisha nega addirittura che la polizia possieda le armi che hanno ucciso e ferito i manifestanti socialisti, la Procura generale ha emesso 6 ordini di cattura contro militi della Guardia Repubblicana a smentita della tesi dello stesso premier che negava che la polizia possedesse le armi che hanno sparato e ferito (anche un filmato conferma che a sparare sono stati membri della Gr). Ma è ben difficile che la dinamica albanese segua quella tunisina, anche perché quello di Berisha non è affatto un regime rigido e autoritario come quello di Ben Ali (pur essendo molto corrotto), non fosse altro perché il suo governo è frutto di regolari elezioni nel 2009. Ma Edi Rama, un fantasioso architetto che ha reso più piacevole Tirana e che ha sostituito lo storico leader socialista Fatos Nano, contesta proprio la regolarità di quel voto, accusa Berisha di brogli e forse non ha la coscienza tanto pulita quanto alle violenze scoppiate in piazza. Non è infatti questa la prima volta che il sangue scorre nelle strade albanesi, per responsabilità vuoi degli uni, vuoi degli altri, tanto che nel 1998, dopo l’uccisione in un attentato del deputato Azem Hajdari, vi fu una sorte di golpe, per iniziativa di alcuni “democratici”, che fece ben 2.000 morti. La realtà vera, di fondo, è che l’Albania paga tutt’oggi il prezzo drammatico ai 44 anni di dittatura comunista di quel folle satrapo orientale che era Enver Hoxa, che distrusse l’economia del paese, terrorizzò gli albanesi con una ferocia spietata (la sua Albania era l’unico “Stato ateo del mondo”, sacerdoti e suore vennero perseguitati e massacrati) e arrivò addirittura a schiantare il nucleo base della società, la famiglia (le migliaia di bimbi che scapparono da soli in Italia da Durazzo nel 1991 dimostrarono una incredibile assenza di vincoli e affetti familiari indotta dal comunismo). Ma dopo i primi anni caratterizzati da una illegalità totale (il sud in cui i socialisti sono maggioritari era in mano agli “scafisti” di Valona che traghettavano in Italia migliaia di clandestini e controllavano il traffico della prostituzione, il nord in cu i socialisti sono maggioritari, pullulava di traffici di ogni tipo -in testa la droga- al centro, Tirana, era e in parte è ancora sentina di ogni traffico e di molta corruzione). Ma, nonostante tutto questa, va detto che nel corso degli anni, lentamente, si è innescato uno sviluppo virtuoso: molte aziende italiane hanno fatto consistenti investimenti e creato lavoro, il paese ha iniziato a produrre e a darsi istituzioni e scuole più che decenti e la stessa vita politica ha iniziato a strutturarsi. C’è stato sì lo scandalo delle “piramidi finanziarie” che ha travolto il governo Berisha nel 1997, una anteprima dei trucchi di Bob Madoff e della peggiore Wall Street, ma poi il paese ha assorbito il colpo e il suo ingresso nella Nato è stato il suggello di una normalità non ancora acquisita, ma alle viste. Ora, una nuova, grave, scossa di assestamento, che potrà anche drammatizzarsi, ma che difficilmente produrrà un “regime change” come a Tunisi, non fosse altro perché quello di Berisha non è affatto un regime. (Libero)

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