lunedì 7 marzo 2011

Dalla parte del machete. Davide Giacalone

Tagliare la spesa pubblica non sarebbe affatto impopolare, se solo ci riuscissero. Con un debito pubblico giunto al 119% del prodotto interno esistono due strade: o si taglia la spesa pubblica o si taglia (mediante tasse) quella privata. Basta un rialzo dei tassi d’interesse, previsto per aprile, che già ci s’incammina sulla seconda strada. Meglio la prima. Per tagliare la spesa pubblica si può benissimo utilizzare il machete, servendosi anche di decespugliatori e seghe motorizzate. Il Presidente della Repubblica teme che ci si possa fare del male, con le lame pesanti, ma ci si può mutilare anche con le forbicine, se solo le si ficca nel punto sbagliato. E qui siamo al punto: nessuno conosce veramente questo mostro, la spesa pubblica.

E’ da quando sono nato che sento parlare di tagli alla spesa pubblica improduttiva. Da altrettanto tempo sento dire che non ci si riesce perché i cittadini beneficiati si ribellano. Ma non ha senso: se quelli che pagano sono più numerosi di quelli che incassano, per la stessa evidente ragione per cui i derubati devono sempre essere più numerosi dei ladri (altrimenti questi ultimi s’accanirebbero contro colleghi), i tagli dovrebbero essere popolarissimi e acclamati. Solo che il chirurgo è bendato e il paziente nascosto, il che complica le cose. Allora si procede con i tagli “lineari”, vale a dire un tot in meno per tutto e per tutti, il che è sia inutile che ingiusto. Inutile perché fatto con la limetta, laddove serve la mannaia, e ingiusto perché si umilia la spesa buona e si premia quella cattiva. Come procedere? Faccio due esempi, in sanità e giustizia, di come si possa tagliare, anche con la scure, migliorando la qualità del servizio.

Noi non abbiamo un servizio sanitario nazionale, ma tanti servizi sanitari regionali, dove il controllore e il controllato quasi sempre coincidono. Trattiamo i medici come funzionari e non come professionisti. Pensiamo che la spesa sia funzione delle (presunte) malattie e non dei risultati. Abbiamo un numero spropositato di ospedali, in diversi dei quali i dipendenti sono più numerosi dei malati. Tagliare: pochi grandi ospedali e tanti pronto soccorso. Si obietta: così si potrebbe dover prendere il treno per andare a trovare il congiunto. Vero, ma sempre meglio che prendere l’autobus per il funerale. Tagliare: gli acquisti devono essere centralizzati, finendola con lo scandalo di materiale che cambia prezzo a secondo di chi paga. Tagliare: i medici siano pagati a prestazione, come quando c’erano le mutue.

Discorso analogo per la giustizia: abbiamo troppi tribunali. Tagliare: i grandi tribunali funzionano in modo più produttivo ed evitano l’insorgere di continue incompatibilità. Tagliare: la digitalizzazione della giustizia c’è già costata due occhi della testa, ma i risultati sono miseri, perché la spesa è stata fatta in modo scoordinato e dissennato, quindi: centralizzare. Tagliare anche il personale: abbiamo magistrati al di sopra della media europea, in quanto al personale di cancelleria si usi, dove serve, il personale sovrabbondante di altre amministrazioni pubbliche (ve ne trovo a camionate). Tagliare i costi di gestione: affidandoli a manager che ne rispondano, il cui reddito sia funzione del risultato, e non a magistrati inadatti, a loro volta prigionieri d’amministratori irresponsabili.

Sapete chi protesterà? Qualche sindacato di mantenuti e conniventi, i sindaci dei comuni che perderanno l’ospedale e il tribunale, accompagnati dai parlamentari locali, il presidente dell’ordine dei medici e quello degli avvocati. Sapete chi ci guadagnerà? Tutti gli altri. Allora, secondo voi, chi vince? Il guaio è che le minoranze di blocco hanno due potentissimi alleati: l’ignoranza e l’incapacità di far cambiare le cose.

Su tutto questo danzava e ora si trascina una classe politica ottusa, che non comprende il nesso fra riforme e risparmi, fra cambiamento e miglioramento, sicché s’acconcia a ripetere le stesse identiche cose che sentivo quando il telegiornale era in bianco e nero. Con l’aggravante che se ne vanno solo se incappano nella malasanità, mentre hanno imparato a resistere alla malagiustizia.

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