domenica 11 settembre 2011

Gli allarmisti. Ecco la lobby degli anti-italiani. Giuliano Ferrara

È stata l’estate dell’allarmismo. Gli incendia­ri si sono lavorati ben bene le Borse, la quota­zione dei titoli pubblici, i rating dei bilanci statali,compresa l’inedita svalutazione del­la tripla A che l’agenzia globale Moody’s aveva sem­pre attribuito al tesoro pubblico del Paese più ricco del mondo, gli Stati Uniti. L’allarmismo è una brutta bestia. Diffonde insicurezza e paura, smobilita risor­se utili, deprime i consumi, diffonde sfiducia, deprez­za il valore di imprese e banche, induce a comporta­menti volatili i legislatori, impedisce il varo di strate­gie per la crescita e per il lavoro, disincentiva gli inve­stimenti e la ricerca, crea agitazione, odio e invidia so­ciale. L’allarmismo fa guadagnare alcuni, pochi, e fa perdere altri, molti. È uno strumento di destabilizza­zione politica ad alto rischio, induce comportamen­ti estremisti, si muove a slavina ingrossandosi a ogni passo. Appena possono, gli allarmisti diventano de­cisamente e cinicamente catastrofisti, allora il mon­do in cui viviamo appare un’immensa minaccia che insidia la coscienza individuale e di gruppo, si comin­cia a vivere l’invivibile, ogni sforzo pare inutile, ogni strumento di reazione inservibile, lo spread sugli in­teressi dei titoli di Stato si fa orco, il calo in Borsa si fa declino ineluttabile, i mercati sembrano belve affa­mate pronte a divorare i risparmi e il frutto del lavoro, il futuro immaginario e tenebroso si mangia il presen­te e le mille lezioni del passato.

Allarmismo e catastrofismo non sono solo noti mezzi per arricchirsi rapidamente a spese dell’inge­nuità pubblica e privata, non si limitano a funziona­re come arnesi di scasso politico al servizio di lobby astute e irresponsabili, sono qualcosa di più grande e perfino tremendo: sono ideologia corrente, una fal­sa coscienza della realtà, un modo di essere o una se­conda pelle che indossa da decenni l’Occidente, con le sue fonti di informazione globalizzate, con i grup­pi di interesse che spingono per la diffusione del ter­rore negli ambienti dell’economia, della ricerca & previsione scientifica, delle agenzie internazionali che aspirano al governo del pianeta. Un mondo impaurito, che assimila i luoghi comuni sulla salute, le sciocchez­ze sulla prevenzione sistematica come forma di vita, le immagini della natura come incombente di­sastro di ogni giorno, è un mondo più facilmente asservibile a quei meccanismi irriflessi che genera­no nuovi poteri e permettono un esercizio più disinvolto di vecchi poteri. La cultura apocalittica, che abbiamo assaggiato questa estate in una forma estrema, e che ora ci mette le mani in tasca e tra­sforma un debito ampiamente ga­rantito e variamente gestibile in una potenziale insolvenza, e l’Ita­lia in un ammalato speciale den­tro­ una corsia d’ospedale in cui so­no ricoverati praticamente tutti, è il sostituto della lotta di classe no­vecentesca, dell’utopia regressi­va dell’eguaglianza universale, un vero attentato alla libertà civile e alla libertà di pensiero.

Non è facile, ma Berlusconi do­vrebbe cercare di sottrarsi alla te­naglia che vuole fare di lui un im­putato in servizio permanente ef­fettivo e adesso anche il cerbero che è delegato a gestire a colpi di tasse e patrimoniali un’emergen­za dopo l’altra. La battaglia contro il declinismo, contro l’avvilente rappresentazione confindustria­le e sindacale di un Paese in perico­lo, dovrebbe stare al primo punto della sua agenda liberale. Come si è visto a Francoforte, un aspetto decisivo della famosa crisi da debi­to, che partendo dall’Europa ha contaminato mezzo mondo, è la grave divisione della Germania sul da farsi, l’irresolutezza politi­ca pronta a tutto e a niente con la quale si affronta l’ovvio problema di un’Europa monetaria unica pri­va di un serio cointeressamento dell’unione a un destino economi­co e istituzionale comune, priva di un centro di comando sottratto a miopie ed egoismi nazionali. Ma la guerra contro i catastrofisti interessati al ribasso finanziario si può combattere e vincere solo se si associa alla campagna contro l’ideologia del declino universale e della paura verdeggiante, ecolo­gica, sanitaria, previdenziale, tut­ti aspetti decisivi di un modo di vi­ta fondato su un’ingenua inconsa­pevolezza della contingenza del mondo. (il Giornale)

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