lunedì 19 settembre 2011

La falsa verità. Davide Giacalone

Ora si torna a parlare di mafia, dell’omicidio Borsellino, della trattativa. Se ne sentiva il bisogno. Lo scrivo in modo serio, sebbene temo sia letto in chiave amaramente ironica. Mi accingo a ragionarne avvertendo la stanchezza e mettendo nel conto quella dei lettori. Ma coltivare la memoria è importante, se non si vuole abbandonare ai disonorati il racconto della nostra storia. Quindi partiamo da un fatto: avevamo ragione noi. Quel che scrivemmo era esatto.

La “vera” storia d’Italia, certificata in ben undici processi e sentenze passate in giudicato, definitive, era una balla. Dai processi agli organizzatori ed esecutori della strage di via D’Amelio (19 luglio 1992, due mesi dopo l’assassinio di Giovanni Falcone, due fatti indissolubilmente connessi), si era passati al processo ai mandanti. Ora si dice: quel procedimento va avanti. No, quel procedimento muore, assieme al riconoscimento che sia la procura che i tribunali, che le Corti d’assise, che la Corte di cassazione, hanno sbagliato tutto. E ripetutamente. Noi lo avvertimmo, ma c’è mancato poco ci accusassero d’essere complici dei mafiosi. Ora avverto: non ci sarà alcuna verità se non si avrà il coraggio di entrare dentro il mondo della procura di Palermo. Lì si trova il nodo. La gran parte dei politici sono solo pupi.

La precedente “verità” era tutta basata sulle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, che si accreditava come mafioso, partecipante ai summit della (dis)onorata società, nonché esecutore di atti materiali, destinati alla strage. Scrivemmo: ma come fate a credergli? E’ uno spiantato, un mezzo demente, un drogato, un appassionato di transessuali (la sua preferita aveva un significativo nome di battaglia: la “sdillabbrata”). Per carità, libere scelte. Diciamo che la privacy di Scarantino fu protetta assai meglio di quella di altri. Ma non mi pare il profilo del perfetto mafioso. C’è di più: la moglie di questo galantuomo lo smentì, perché nelle ore in cui sosteneva di star lì a macellare il giudice era, invece, a letto. E si smentì anche lui stesso, affermando in udienza di avere mentito e di essere stato indotto a dire quelle cose, anche mediante apposite “pillole della memoria”, che gli avevano somministrato. Ma quando mai! dissero procuratori e giudici, la verità è quella detta prima, ora mente, quando dice di avere mentito. Bravi.

Poi venne Salvatore Spatuzza, ‘u tignusu. Arrestato nel 1997 se ne è stato zitto per nove anni. Poi ha avuto una crisi mistica (che il cielo lo perdoni, ma spero non lo faccia) e ha cominciato a parlare. Nello smentire la procura e i tribunali si è dimostrato formidabile: quel che diceva era riscontrabile, ma il contrario di quel che era stato sentenziato. Puntuale arriva la santificazione a “pentito”, quindi il riconoscimento d’intrinseca credibilità, quindi l’autorizzazione a dire qualsiasi cosa gli passasse per la mente, o che altri mettevano nella sua testa di assassino. Ed ecco la trattativa, che i suoi padroni, i Graviano, avrebbero intessuto con il potere politico, nella persona di Dell’Utri, quale tramite con Berlusconi. A quel punto la decisione: sacrifichiamo i processi già fatti e allestiamone uno sui mandanti.

Che si scoprano e processino i mandanti è cosa buona e giusta, ma Spatuzza ha detto spropositi. Fu prontamente smentito dai suoi padroni, che sul resto lo lasciano dire. Graviano avrebbe trattato per evitare di scontare una pena durissima, salvo il fatto che Graviano era condannato a soli tre mesi. Graviano gli avrebbe detto che “quello di canale 5” (sottilissima allusione mafiosa, in un codice segretissimo) gli aveva “messo l’Italia in mano”. Ma dovevano fare le stragi. Solo che poi si sostiene che le stragi furono fatte per alleggerire il carcere duro, cosa che fu effettivamente decisa, e proprio dopo le stragi, che effettivamente cessarono, e che neanche erano stragi, dal governo di Carlo Azelio Ciampi, ad opera del ministro della giustizia, Giovanni Conso, cui lo aveva suggerito il capo del dipartimento carceri, Alberto Capriotti, voluto in quel posto da Oscar Luigi Scalfaro. Berlusconi, a quel tempo, si divideva fra la tv e il kit del candidato, che ci fece sorridere non poco.

Arriviemo alla prima conclusione: la teoria per cui un pentito che dice cose vere deve essere creduto per qualsiasi altra cosa dica è una baggianata. Con Giovanni Falcone vivo una cosa simile non sarebbe mai passata. E qui siamo al dunque: perché Falcone e Borsellino sono stati eliminati? Certo, non erano simpatici alla mafia e la loro condanna a morte era già scritta. Falcone lo sapeva, e lo diceva. Ma il fatto notevole è che i due muoiono quando non contano più nulla, quando sono degli sconfitti. Falcone mandato in esilio e Borsellino impedito d’indagare, per ordine del capo della procura. E quando Borsellino muore e il suo braccio destro, il carabiniere Carmelo Canale, che lui chiamava “fratello”, non si rassegna a stare zitto, anche perché gli hanno suicidato in diretta televisiva il cognato, il Carabiniere Antonino Lombardo, accusato da Leoluca Orlando Cascio ospite di Michele Santoro, finisce anche lui inquisito per mafia. Sicché dovremmo credere che Borsellino si affidava a un mafioso, essendo criminale o cretino. Canale è stato poi assolto, con formula piena, ma meriteremmo noi d’essere condannati se non lo ricordassimo ogni volta che sorge il sole.

Nel processo di revisione si sosterrà che ad ordire il depistaggio fu l’allora capo del pool investigativo, Arnaldo La Barbera, e tre suoi collaboratori (oggi uno è questore di Bergamo, uno capo della squadra mobile a Trieste e uno poliziotto a Milano). Ecco la seconda conclusione: può darsi, non lo so, ovviamente, ma so che nessun depistaggio sarebbe stato possibile, con quei mostruosi e multipli effetti processuali, se i depistati non fossero stati attivamente partecipi, quindi, se si vuol ragionare seriamente, si deve indagare sulla procura che emarginò Falcone e Borsellino. E la politica? Anche, naturalmente. A cominciare dagli avversari di Falcone, da quelli che non gli vollero dare il potere per fare quel che sapeva fare, a cominciare da Luciano Violante. Da quel voto del Csm in cui le correnti di sinistra ritennero Falcone indegno di assumere la direzione delle investigazioni antimafia. Anche altri? Tutti, se volete, ma se si continua a falsificare la storia, pendendo dalle labbra di pentiti e procuratori, il solo punto d’arrivo possibile sarà il più totale falso, la più totale menzogna. Come fin qui è stato. Come non ci siamo stancati di ripetere.

Nessun commento: