lunedì 5 settembre 2011

Silvio, Lavitola, Tarantini & inquirenti: una mediocre commedia e personaggi modesti. Pietro Mancini

Per una sorta di nemesi, nel bel Paese – dove molti fili, quelli più delicati, del “teatrino della politica” sono manovrati, o comunque condizionati, dagli interventi a gamba tesa delle toghe – Silvio Berlusconi, che a Napoli, nel '94, ricevette dal pool milanese di Borrelli e Di Pietro l' avviso di garanzia fatale al suo primo governo, tornerà, nei prossimi giorni, sotto il Vesuvio, come testimone. Stavolta è atteso nel tribunale di Napoli e si troverà faccia a faccia con John Woodcock, che a Potenza spedì in cella Vittorio Emanuele di Savoia e che, 2 mesi fa, ha chiesto e ottenuto il trasferimento dalla Camera dei deputati a Poggioreale del suo collega e parlamentare PDL, Alfonso Papa.

Per non alimentare la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, mi auguro che Woodcock non sia – come ha scritto Sallusti, direttore de il Giornale – un sostituto procuratore che starebbe commettendo delle illegalità, «non contento di aver già incarcerato, in passato, persone, che poi sono risultate, completamente, estranee ai fatti e risarcite dallo Stato».

Certo, se sembra esagerata la notazione di un parlamentare del partito del premier, Osvaldo Napoli («Le intercettazioni contribuiscono a sconfiggere i clan criminali, ma sono la tomba della democrazia!»), tuttavia, non ci si può non interrogare sulla “stranezza”e sui non pochi aspetti oscuri dell'ennesimo “caso B.”.

Infatti, nell'istruttoria di Napoli, Berlusconi, pur essendo parte lesa, come presunta vittima di un tentativo di estorsione – che egli nega di aver subito – viene esposto alla gogna mediatica, con la pubblicazione integrale, sui giornali, delle intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura partenopea.

E non ha torto l'ex senatore campano della Margherita, Antonio Polito, che sul Corriere della Sera ha rilevato : «In questo caso, vien forte il sospetto che l'intercettazione non sia parte essenziale dell'inchiesta su un reato, ma il fine stesso dell'inchiesta».

Anche noi bocciamo, con la giusta severità, i modesti personaggi ai quali il Presidente del Consiglio ha aperto un credito, finanziario e di stima, immeritato. Tra costoro, il barese Tarantini che, in perfetto stile bipartisan, avrebbe infilato le esose escort tanto nel lettone berlusconiano di Palazzo Grazioli quanto in quello di un albergo di Bari, occupato dal dalemiano Frisullo, all'epoca vice-presidente della giunta di Nichi Vendola. Adesso è finito in cella, con la moglie – da sabato ai domiciliari – che lo avrebbe tradito con Lavitola. "Giampi" e avrebbe ricevuto dal suo "benefattore" di Arcore, nell'ultimo anno, 800 mila euro: 20 mila euro di stipendione mensile.

E proprio il furbo giornalista, editore e imprenditore ittico napoletano, Lavitola, definito dagli inquirenti "informatore riservato", e che millanta contatti con la CIA e odia Bisignani, quanto è affidabile? Certamente, l'ex militante del Psi non ci azzecca nulla con la storia, gloriosa della testata, da lui diretta, l'Avanti!, in passato guidato da leader del calibro di Nenni e Lombardi e, prima della fondazione del partito nazionale fascista, da Benito Mussolini.

Noi comprendiamo quanti, oggi, fanno del facile sarcasmo sul declino di Silvio, vittima sia dei “processi ad orologeria” – che, secondo voci captate nella ambasciata USA a Roma, lo hanno indebolito, ma non sconfitto – sia della sua incontinenza, sessuale e verbale, a notte fonda, che danno l'immagine di un leader assediato, indeciso e cupo.

Ma, in una fase politica molto delicata, con prospettive incerte della nostra economia, e caratterizzata dalla espansione della “questione immorale”, nella maggioranza e nell'opposizione, con gli inflessibili censori della morale altrui – Travaglio e Di Pietro che, quotidianamente, bacchettano i capi del PD –, non va respinto l'invito a diffidare di coloro che, calpestando la privacy dell'inquilino di Palazzo Chigi, esultano per lo sputtanamento di Berlusconi e dei suoi fantozziani interlocutori. In quanto sperano che questa commedia, tra Pirandello, "Totò e 'a mala femmina" e Boccaccio, ponga fine al suo traballante esecutivo.

Stavolta, non possiamo dar torto a Casini quando, bocciando come “incivile” la diffusione “urbi et orbi” delle registrazioni di quei cellulari bollenti, ricorda a tutti, in primis ai magistrati, le regole della democrazia liberale. Che non dovrebbero, mai, esser piegate alla convenienza politica, come fanno i regimi, secondo cui il fine giustifica ogni mezzo. E, pertanto, non cestiniamo la saggia osservazione di Antonio Polito: «Lo Stato di diritto è forma. Da tempo, nel bel Paese, somiglia a uno sformato». (Legnostorto)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Una semplice proporzione che chiamerei LA CRESTA

Lavitola:Tarantini=Fede:LeleMora